Giorgio Salvetti, il manifesto, 29/06/2010; Gianfranco Helbling, il manifesto, 29/06/2010, 29 giugno 2010
«Che tornino a casa loro!». Già sentito. Ma questa volta l’espressione razzista è ancora più grottesca perché nel mirino non ci sono albanesi o marocchini ma italiani nordici e nordisti e perché «casa loro» è solo 500 metri più a sud, oltre la dogana del Gaggiolo che separa il Canton Ticino dal varesotto
«Che tornino a casa loro!». Già sentito. Ma questa volta l’espressione razzista è ancora più grottesca perché nel mirino non ci sono albanesi o marocchini ma italiani nordici e nordisti e perché «casa loro» è solo 500 metri più a sud, oltre la dogana del Gaggiolo che separa il Canton Ticino dal varesotto. uno degli ultimi confini d’Europa. Da queste parti da secoli si gioca sul crinale della frontiera. terra di contrabbandieri e rifugiati politici, di italiani che fanno benzina a prezzi convenienti, evadono il fisco o nascondono soldi di dubbia provenienza, ed è terra di frontalieri. Alle cinque di sera fanno la coda per ritornare dai loro posti di lavoro in Ticino alle loro case in Italia. Guadagnano in media il doppio di quello che prenderebbero in Italia e spendono meno che se restassero a vivere in Svizzera. Da sempre sono al centro di polemiche e recriminazioni. Negli ultimi anni al di qua e al di là del confine italo-svizzero si scontrano due Leghe. La «nostra» impegnata a difendere 45 mila frontalieri varesotti e comaschi a suon di agevolazioni fiscali; la loro, la Lega dei ticinesi, lanciata in una crociata contro lo straniero padano che «ci ruba il lavoro». E anche in Ticino, proprio come da noi finisce che la «sinistra» rincorre la destra e così succede che il socialista svizzero Raoul Ghisletta e il sindacalista Saverio Lurati abbiano presentato un’interpellanza contro l’invasione degli italiani. Domenica pomeriggio. Oltre confine al lavoro si trovano solo italiani. «Non è più la Svizzera di una volta», si lamenta Marta, benzinaia italiana a due passi dalla dogana. Ed è vero: ai tempi della lira svalutata chi guadagnava in Franchi al cambio raddoppiava lo stipendio. Oggi non è più così ma l’oscillazione delle monete continua a essere la variabile più importante per questi nostri emigranti. Negli ultimi mesi il cambio è salito a vantaggio del Franco da 1,50 per un euro a 1,30 per un euro. Significa che per chi guadagna in Franchi e vive con euro c’è stato di fatto un aumento di stipendi di circa il 10%. Ma non è solo per questo che i frontalieri continuano ad aumentare. Nel 2009 gli occupati svizzeri sono cresciuti dello 0,3% mentre gli stranieri del 2%, in Ticino i frontalieri sono aumentati del 1,3%, arrivando a coprire il 25% dei posti. Laura è cassiera in un negozio vicino Chiasso: «Non è che lo stipendio svizzero è poi così alto, sono gli stipendi italiani che restano al palo da troppi anni. E ora con la crisi, tra precarietà e disoccupazione, per fortuna che noi qui abbiamo la Svizzera a due passi. Ma non pensate che facciamo i nababbi. Mentre una volta in tempi di magra lasciavano a casa noi, adesso ci tengono ancora più stretti perchè ci pagano meno. Gli svizzeri si lamentano. Ma sono gli italiani che mandano avanti il Ticino». Simone è capo cantiere, lavora come edile in Ticino da quasi 20 anni e vive in Italia. Anche lui è convinto che la crisi aumenti il numero dei frontalieri. «Un muratore che lavora in Svizzera guadagna al mese 2000 euro, contro i 1200 dell’Italia - racconta - ammesso che da noi sia in regola. Lì infatti il lavoro nero non esiste, volano multe salatissime». Basti pensare che in Ticino sono stati pescati solo 650 lavoratori in nero in due anni. In Italia bastano due giorni. E la precarietà? «C’è anche di là - spiega Simone - ma molto meno, ti danno permessi di lavoro da 6 mesi, da un anno o da 5 anni. Ci sono anche altri stranieri in cantiere: portoghesi, slavi....Gli slavi dopo la guerra in Jugoslavia sono arrivati come rifugiati, sono stati naturalizzati e fanno anche le guardie cantonali. Però più o meno sul lavoro abbiamo tutti gli stessi diritti. Noi italiani siamo disposti a prendere meno ma alla fine prendiamo come gli altri». Diego, lavora in un’industria di orologeria vicino Bellinzona dove l’80% degli operai sono nostri connazionali. frontaliere dal 1971. «Da quei tempi la situazione è molto migliorata, allora sì che gli italiani erano visti male e c’era razzismo. Ormai siamo ben inseriti. Sono operaio specializzato e guadagno 5000 franchi al mese. E in più adesso c’è il secondo pilastro, una specie di assicurazione calcolata in busta con cui ci danno una liquidazione quando rientriamo definitivamente in Italia. Noi però paghiamo le tasse per la salute ma non ne usufruiamo, abbiamo solo 6 mesi di disoccupazione mentre gli svizzeri hanno due anni all’85% dello stipendio, una specie di reddito sociale che noi italiani ce lo sogniamo». Giovanni in Italia vota Lega. In Svizzera ha fatto di tutto, dalla pulizia della marijuana quando era stata semi-legalizzata al cameriere. «Ho fatto anche la cavia per i test delle medicine su umani. Funziona così: ti ospitano una settimana in una clinica, ti fanno vedere film e ti danno da mangiare mentre ti somministrano i medicinali. Insomma non fai niente e guadagni mica male. Ovviamente eravamo tutti italiani o anche peggio...albanesi e quella gente lì». Addio Lugano bella.. C’è sempre qualcuno più a sud di te: noi. ****** Canton Ticino dove i migranti siamo noi Quello dei frontalieri che sarebbero troppi è un dibattito ricorrente in Ticino da oltre quarant’anni. Negli anni ’60 il boom economico in Svizzera, le nuove ambizioni professionali dei ticinesi sempre più attratti dal terziario e l’afflusso di manodopera dal meridione alle province del Nord Italia determinarono un primo flusso di lavoratori dalle regioni di confine. Da allora il numero dei frontalieri in Ticino ha oscillato fra i 30 e i 50 mila. Oggi sono circa 45 mila, su un totale di 175 mila impiegati in Ticino: un lavoratore ticinese su quattro vive in Lombardia o Piemonte e ogni giorno attraversa il confine per la pagnotta. Il contributo dato dai frontalieri al benessere economico dei ticinesi dovrebbe essere chiaro. Eppure, a cadenze regolari, riesplode la polemica: i frontalieri sarebbero troppi e, ovviamente, porterebbero via il lavoro ai ticinesi. Fino alla fine degli anni ’90 bastava una rapida occhiata alle statistiche per dimostrare che l’assunto non è vero: i primi a pagare una crisi economica erano sempre i frontalieri, che a lungo hanno funzionato da ammortizzatori congiunturali - il loro numero diminuiva col rallentare dell’economia. Questa crisi presenta invece un aspetto nuovo: in Ticino sono diminuiti i posti di lavoro, ma non stanno diminuendo i frontalieri. Questo si spiega anche con l’entrata in vigore fra Svizzera e Ue della libera circolazione delle persone: mentre in passato i frontalieri dovevano avere un’autorizzazione per lavorare in Svizzera, ora possono farlo come in qualsiasi altro paese dell’Ue. Sull’ambiguità della situazione ha buon gioco la polemica della Lega dei ticinesi. Tanto che nel dibattito è dovuta intervenire al parlamento federale la ministra dell’economia e presidente della Confederazione Doris Leuthard. Secondo Leuthard, il fatto che nel 2009 in Ticino sia aumentato il numero di frontalieri mentre cresceva la disoccupazione non significa che gli italiani rubino il lavoro ai locali. Anche se, «laddove vi sono molti lavoratori stranieri la ricerca di un nuovo impiego dura di più». «I frontalieri sono un elemento di stimolo per l’economia - prosegue Leuthard - e durante questa crisi nelle regioni di frontiera la disoccupazione non è cresciuta più velocemente rispetto ad altre regioni». Nessun fenomeno di sostituzione. Semplicemente i frontalieri eseguono quei lavori che i ticinesi non sono disposti a svolgere, o perché considerati poco prestigiosi, oppure perché con quel che ci si guadagna in Svizzera non si vive. In un certo senso il Ticino è sempre stato, per la Svizzera, il primo avamposto della delocalizzazione. Negli anni ’70 c’era una fiorente industria dell’abbigliamento tenuta in piedi da manodopera frontaliera. Ora che la Cina è maledettamente vicina, in Ticino non si cuce più un bottone. Resta, sul fronte industriale, una forte presenza dell’orologeria, legata al patrio suolo dalla necessità di presentarsi col marchio «Made in Switzerland». Ma a montare i movimenti sono mani lombarde o piemontesi quasi sempre femminili per 2500 franchi lordi (circa 1700 euro), un salario con il quale qui non si campa. Altri settori con forte presenza di frontalieri sono edilizia, artigianato, turismo, ristorazione, vendita, logistica, call center e sanità: negli ospedali pubblici un terzo degli infermieri è costituito da frontalieri.