Danilo Taino, Corriere della Sera 30/06/2010, 30 giugno 2010
IL VOTO (BASSO) DEI MERCATI SUL G20
Mercati confusi e stupiti da come si stanno muovendo le autorità politiche e monetarie. Il G20 di Toronto, lo scorso week-end, si è concluso con impegni generici, senza leadership, divisi tra le posizioni espansive di Barack Obama e quelle rigoriste di Angela Merkel. E con una maggiore sottolineatura della necessità di ridurre i deficit pubblici rispetto al bisogno di sostenere la crescita: da questo, i timori nelle Borse di una ricaduta nella recessione delle economie dei Paesi avanzati. Nel frattempo, la Banca centrale europea (Bce) ha deciso di chiudere il sistema di finanziamento che dà liquidità alle banche su base annuale e lo ha ridotto a trimestrale: fatto che ha sollevato proteste da parte degli istituti di credito, timorosi di trovarsi in difficoltà a rifinanziarsi nei prossimi mesi.
La politica cerca insomma di tornare alla normalità pre-crisi ma i mercati non capiscono, la sentono troppo anticipata e pericolosa.
Il risultato è stato che ieri si è visto un ritorno su quelli che sono considerati rifugi sicuri, i titoli dello Stato americani, quelli giapponesi, il franco svizzero. Con l’euro penalizzato e con le banche messe al centro dell’attenzione: i mercati si domandano quale sia la solidità dei loro bilanci e si innervosiscono.
Nel pieno della crisi finanziaria, il G20 aveva mandato messaggi positivi che avevano dato fiducia ai mercati. Lo scorso week-end, a Toronto, ha invece dato l’impressione di essere inefficace, di non potere decidere. Soprattutto, è venuto meno il senso di urgenza, l’assicurazione che i governi faranno tutto il possibile per evitare una nuova recessione. «Abbiamo avuto la conferma che i politici si stanno spostando dal sostegno alla crescita a ogni costo verso la responsabilità di bilancio, e questo è negativo per la crescita», sostiene Camilla Sutton, strategista valutaria di Scotia Capital a Toronto.
A questi dubbi si aggiunge la confusione bancaria che si è creata in Europa. Innanzitutto, la Bce ha deciso di non prolungare lo schema da 442 miliardi di euro, che scade domani, con il quale finanzia le banche con liquidità per un anno. Dice che lo porterà su basi trimestrali. Il fatto è che sul mercato commerciale dell’Eurozona le banche continuano a fare fatica a trovare liquidità, soprattutto in Paesi come la Spagna, e quindi hanno bisogno di attingere alla banca centrale. E’ una situazione che va avanti da due anni e restringerla ora - sostengono gli istituti di credito - significa costringere le banche europee a prestare meno denaro all’economia reale. Una situazione che innervosisce ulteriormente chi vorrebbe investire.
In secondo luogo, c’è un certo caos sugli stress-test a cui i governi europei hanno deciso devono essere sottoposte alcune banche. Si tratta di una verifica della loro capacità di rispondere alle crisi, finalizzata a chiarire quali rischi nascondano nei loro bilanci. Ieri si è saputo che il test sarà ampliato da 25 a oltre cento banche europee e comprenderà anche una valutazione della loro esposizione ai rischi sovrani, cioè alla possibilità di default di un Paese. Il problema è che le autorità non sembrano avere una strategia, perché cento stress-test non basteranno sicuramente a chiarire la situazione: una volta fatti, i mercati vorranno sapere qual è il livello di rischio delle altre banche, soprattutto le Casse spagnole e le Landesbanken tedesche, i cui bilanci si sospetta siano pieni di titoli a alto rischio. Vorranno le autorità costringere il sistema bancario alla massima trasparenza? Se sì, sono anche disposte a sostenerne le conseguenze, cioè a pensare alla ricapitalizzazione degli istituti di credito che ne hanno bisogno? Hanno una strategia, le autorità politiche e monetarie, o navigano a vista? Domande che non danno sicurezze a chi deve investire.
A innervosire ancora di più chi investe c’è il fatto che, inaspettatamente, la Grecia ha deciso di andare la settimana prossima a raccogliere denaro sui mercati, nonostante possa evitare di farlo per tre anni grazie agli aiuti messi a disposizione dai Paesi Ue. Quello sarà un momento delicato.
Il risultato è che gli investitori comprano titoli dello Stato americani, tanto che il rendimento del T-bond a dieci anni è ormai sceso sotto al 3% e quello a due anni è a un minimo storico dello 0,6%. Oppure acquistano yen, rispetto al quale l’euro ha toccato il minimo dal 2001, e franchi svizzeri, che ieri hanno registrato il record storico nei confronti della moneta unica europea a 1,3173. E’ l’indice della confusione che sale.
Danilo Taino