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 2010  giugno 29 Martedì calendario

QUELL´IMPRESA DIMENTICATA DI DOTTORI E INFERMIERE ITALIANI MANDATI SULLA LINEA DEL FRONTE

Gli italiani al 38° parallelo. Partirono anche loro per la Corea, in quella che lo storico britannico Max Hastings, che studiò il conflitto a fondo, giustamente definì «la piccola guerra più dura del secolo». La loro partecipazione è però una pagina di storia poco conosciuta, quasi del tutto fuori dalle indagini ufficiali. Eppure sessant´anni fa l´Italia, pur non facendo parte dell´Onu, decise di inviare sul fronte asiatico una struttura della Croce Rossa, l´Ospedale numero 68. Quel piccolo nucleo di uomini e donne, 71 in tutto, restò operativo fino al 2 gennaio 1955, più di un anno oltre la fine del conflitto. Curarono migliaia di militari e assistettero la popolazione nei momenti più difficili. Ancora oggi il popolo coreano nutre verso di loro un grande debito di riconoscenza.
L´infermiera volontaria Alma Pascutto, classe 1909, è la veterana di una pattuglia di persone, sei in tutto, tuttora in vita. I loro nomi: Gianluigi Ragazzoni, Emilio Donatoni, Giovanni Canali, Federico Bonacina e Luciano Negri.
Ogni anno, nell´anniversario dello scoppio del conflitto, il 25 giugno, le autorità di Seul li contattano invitandoli a partecipare alle cerimonie in ricordo di quel contributo.
Non fu però una facile decisione per il governo di allora. Il Paese, uscito distrutto e umiliato dalla sconfitta nella Seconda Guerra mondiale, tornava su un fronte internazionale caldissimo e ad alto rischio, dove dietro Corea del Sud e Corea del Nord si fronteggiavano Stati Uniti d´America e Cina. Oggi, nella scarsità documentale su quegli eventi una tesi di laurea, discussa nel 2007 all´Università di Alessandria e da poco aggiornata, riempie un vuoto. «Poiché l´Italia non faceva ancora parte delle Nazioni Unite - scrivono i due autori, Matteo Cannonero e Mauro Pianese nel lavoro intitolato "1951-1955: la Croce Rossa in Corea. La prima missione militare di pace della Repubblica italiana" - il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, alle prese con differenti pareri politici provenienti dalla minoranza parlamentare di sinistra, si limitò ad approvare, lo stesso 25 giugno 1950, un decreto abbastanza generico di sostegno all´azione che l´Onu aveva intrapreso in favore della Corea del Sud». Un dibattito di molti giorni impegnò in aula il ministro degli Esteri, Carlo Sforza, con l´intento di contrastare le motivazioni espresse soprattutto da Togliatti e Di Vittorio. Il più fermo di tutti fu però Pietro Nenni che, a nome del Partito socialista, definì il governo un «rimorchio» delle decisioni americane. Socialisti e comunisti, riportando le versioni dei fatti diffuse dal governo di Kim Il Sung, dalla Cina comunista e dall´Unione Sovietica, accusavano infatti la Corea del Sud di aggressione nei confronti del Nord. Sforza rispose infine così agli attacchi provenienti da sinistra: «Sarebbe un delitto non aver tutto fatto perché un giorno, non si sa quando - che Dio disperda l´augurio - Trieste potrebbe essere un´altra Corea».
Il nodo di Trieste fu dunque usato con intenzioni emotive dal governo, che sapeva di toccare un nervo sensibile. Ma il desiderio finale di Roma era quello di riaffermare il prestigio internazionale del Paese dopo la guerra, con l´obiettivo di essere ammesso a far parte dell´Onu. Risultato centrato il 14 dicembre 1955.
Fu così, comunque, che sotto la direzione del capitano medico Luigi Coia, il 12 dicembre 1951, l´Ospedale numero 68, stanziato nella cittadina di Jung-Dung-Po, non lontano da Seul, entrò in funzione. Era formato da una settantina fra medici, infermieri e truppa, con 100 posti letto e offriva la sua assistenza sia ai militari che ai civili locali. L´equipaggiamento tecnico, ricorda Cannonero oggi, «appariva antiquato e quindi non all´altezza delle analoghe unità ospedaliere statunitensi; inoltre il vestiario dei militari italiani era di tipo estivo e si rivelò inadatto al clima locale, particolarmente rigido».
Un dettaglio che non sfuggì all´occhio attento di Indro Montanelli. Proprio l´inviato speciale aveva descritto con un incipit dei suoi lo sbarco italiano in un articolo sul Corriere della Sera del 22 febbraio 1952, dal titolo "Dietro il fronte di Corea. I paisà al 38° parallelo": «Jung-Dung-Po è un borgo coreano a quattro miglia da Seul, che è a sua volta a 21 chilometri dal fronte e a 18mila dall´Italia. Eppure quasi tutta la popolazione è composta di gente che, incontrandovi per strada, vi dice, con accento squisitamente partenopeo: "Buon giorno, paisà, porca miseria!". E ridono nelle facce gialle, nelle bocche senza denti. Essi gravitano tutti, chi più chi meno, intorno all´ospedale della Croce Rossa 68».
L´Ospedale 68 funzionò egregiamente. Una volta rientrati in Italia, però, i nostri militari furono quasi dimenticati. Anche se quella italiana fu l´unica formazione, al termine del conflitto, a essere ringraziata da entrambe le parti in guerra: tanto dalla Corea del Sud e degli Stati Uniti d´America, quanto dalla Corea del Nord e dalla Cina comunista.