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 2010  giugno 30 Mercoledì calendario

AYAD Ibi

AYAD Ibi Dahkla (Marocco) 30 marzo 1988. Genitori, fratello e sorella morti in conseguenza del rogo alla stazione di Viareggio del 29 giugno 2009, il 29 giugno 2010 divenne cittadina italiana • «La notte in cui la sua casa prese fuoco, Mohamed Ayad tornò indietro, verso l’inferno di fiamme e gas da cui era appena fuggito. Doveva tornare indietro. Voleva mettere in salvo i documenti che gli avrebbero permesso un giorno di coronare il suo sogno: diventare un cittadino italiano e regalare un futuro migliore ai suoi figli. Non ce la fece: morì nella notte maledetta che incendiò Viareggio e straziò decine di famiglie. [...] Prima di quel 29 giugno, la vita di Ibi era la vita di una ragazza come tante altre. A quindici anni, insieme con la madre e al fratello Hamza, aveva lasciato Casablanca, in Marocco, per raggiungere il padre, che ormai da tempo nella cittadina portuale versiliana aveva trovato lavoro come operaio. La famiglia Ayad si era sistemata in un appartamento in via Ponchielli, la strada che costeggia la ferrovia, a due passi dalla stazione. I ragazzi si erano bene inseriti, avevano imparato in fretta l’italiano, studiavano con impegno e si erano fatti degli amici. Dopo qualche anno, ed era arrivata Amin, la piccola di casa [...] la felicità di quella famiglia fu spazzata via in una manciata di secondi. Quando cominciarono le esplosioni, e l’aria di via Ponchielli si incendiò, Ibi fu la prima a fuggire. La sua prontezza di riflessi le ha salvato la vita e, al tempo stesso, l’ha condannata a sopravvivere alla sua famiglia. La sorellina rimase in casa, incapace di muoversi per il terrore di quella barriera di fuoco che le impediva l’uscita. Il fratello Hamza, con il coraggio dei suoi 17 anni, affrontò il fumo e le fiamme per salvarla, ma finì per pagare con la vita quel gesto che commosse tutta la città. Nessuno degli Ayad era destinato a farcela: Amin fu ricoverata al Bambin Gesù di Roma, con ustioni sul 90% del corpo. Per un giorno rimase sospesa tra la vita e la morte, poi si arrese. Dopo fu la volta del padre, che era stato ricoverato a Cesena. Ibi rimase ancora qualche giorno al capezzale della madre, tormentata dagli inevitabili, quanto assurdi, sensi di colpa: il 2 luglio, giorno della morte della madre, si ritrovò completamente sola. Intorno a lei, l’affetto di tutta la città. Ma le forze per andare avanti, Ibi, ha dovuto trovarle dentro di sé. A starle accanto, il fidanzato con cui da tempo condivideva progetti e speranze e che [...] è diventato suo marito [...]» (Maria Vittoria Giannotti, ”La Stampa” 30/6/2010).