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 2010  giugno 28 Lunedì calendario

LA BATTAGLIA DELLE CONSOLE: NINTENDO ATTACCA COL 3D SENZA OCCHIALINI


«Uno strano incrocio fra un festival di film di guerra molto cruenti e uno di cartoni animati per famiglie fatti solo di buoni sentimenti». Ecco come Tetsuya Mizuguchi, autore di videogame fra i più eclettici in circolazione, descrive l’ondata di mirabolanti esperienze interattive che andranno in scena la prossima stagione. Una singolare ambivalenza che fino a ieri distingueva aziende come Microsoft e Sony da un lato e Nintendo dall’altro, oggi diventata anima che interessa in maniera trasversale buona parte di quest’industria da 47 miliardi di euro l’anno. Settore definitivamente in bilico fra megaproduzioni sempre più violente, spettacolari, costose, dirette a quel pubblico tradizionale dei giochi elettronici capace di fagocitare cinque milioni di copie in appena ventiquattro ore senza un solo spot pubblicitario, e prodotti leggeri, semplici, a basso budget e adatti a tutti, ma che richiedono costanti investimenti in comunicazione televisiva per avere successo.
Il 3ds, la console portatile stereoscopica della Nintendo che non richiede occhialini, è un ottimo esempio della seconda scuola di pensiero. Presentata recentemente a Los Angeles, l’uscita è prevista per il 2011, sfrutta una versione riveduta e corretta della vecchia tecnologia delle cartoline a stampa lenticolare. Quelle nate negli anni Quaranta del secolo scorso che danno l’illusione della profondità se le si muove. Alla prova dei fatti funziona bene, e già questa è una grossa sorpresa, e sarà un dispositivo che sicuramente costerà poco e offrirà qualcosa di diverso rispetto a quanto sta passando su smartphone, iPad, PlayStation Portatile. Che poi è l’essenza della visione Nintendo da quando, era il 2002, alla sua guida è salito Satoru Iwata. Mai inseguire la potenza di calcolo nelle console o l’alta definizione nei videogame, come hanno fanno tutti, concentrarsi invece su tecnologie che permettano di raggiungere il maggior numero di persone possibile e si distinguano da quel che il mercato già offre. Ma soprattutto dai prezzi accessibili, che consentano di guadagnare fin da subito senza richiedere investimenti da capogiro o sforzi produttivi immani come quelli affrontati dalla Sony per la sua ultima console.
Tentano di andare nella stessa direzione sia il Move, il nuovo controller della PlayStation 3 pieno di sensori di movimento come quello del Wii che uscirà a settembre a partire da 39 euro, sia il Kinect della Microsoft previsto per novembre ma del quale non si conosce ancora il prezzo. Il più avanzato sulla carta, essendo dotato di due telecamere e microfono. Consentirà infatti di dialogare letteralmente con l’Xbox 360 attivando varie funzioni con la voce e di giocare agitando le mani e il proprio corpo senza più bisogno di joypad. Un passo avanti non da poco.
Aspettarsi però nuove ed avveniristiche forme di narrazione che sfruttino sistemi alla Minority Report è prematuro. La console Microsoft, sostengono tanti sviluppatori, non è in grado di elaborare i comandi vocali o il riconoscimento dei gesti in maniera così articolata. E poi Kinect punta a conquistare persone alla ricerca di passatempi immediati, accessibili, sociali, spinte all’acquisto più dalla pubblicità e del passaparola che dalla novità in sé per sé. Insomma, lo stesso pubblico che ha permesso al Wii di raggiungere i 70 milioni di pezzi venduti e a giochi come Wii Fit Plus o Mario Kart di restare in testa alle classifiche per mesi se non addirittura per anni.
La vera rivoluzione, il nuovo punto di riferimento, è tutta qui. I giochi, prima dell’avvento di Iwata & Co., erano prodotti da "day one", vivevano solo dei picchi di vendita iniziali. La Nintendo ha introdotto un nuovo metodo, cercando e trovando un pubblico diverso e costringendo i concorrenti a inseguirla.
"Sapremo esser presenti su entrambi i fronti", spiega Chris Lewis, vice presidente della Microsoft a capo della divisione Interactive Entertainment Business in Europa. "Ma certo, rimuovere ogni barriera fisica fra console e giocatori, così come avviene con Kinect, significa aprire la porta a coloro che fino ad oggi si sono tenuti alla larga dai videogame". E significa anche ragionare in maniera diversa, o meglio ragionare in due maniere opposte contemporaneamente, cominciando dal marketing.
Già, perché chi è stato conquistato dalle prime console della Sony proseguirà invece a sforacchiare avversari di ogni natura e stazza con il joypad e a pretendere videogame ad alto contenuto tecnologico dei quali saprà già molto prima ancora che raggiungano gli scaffali dei negozi. In questo caso il punto di riferimento è Call of Duty: Modern Warfare 2, ultimo episodio uscito lo scorso novembre di una serie di giochi di guerra votati al realismo. Costato fra i 30 e 40 milioni di euro, ne ha incassati stando ai dati ufficiali ben 800, dei quali 440 nei primi cinque giorni di vendita. Nel complesso circa un terzo di quanto fatto da Avatar di James Cameron, a fronte di un investimento di almeno sei volte inferiore.
Ed è lui l’altro modello al quale il mondo dei videogame guarda. Fonte di ispirazione per i tanti titoli di guerra mostrati all’E3, così veri da sembrare spezzoni di telegiornale, dove il sangue scorre a fiumi e dove si combatte a trecentosessanta gradi perfino nell’Afganistan dei nostri giorni. Secondo quello strano principio, divenuto prassi, che per vendere di più bisogna shoccare, calcare la mano.
"Il problema è che per ogni grande produzione di successo, ce ne sono altre venti che non vendono una copia", spiega JeanFrancois Boivin, produttore di Assassin’s Creed: Brotherhood, terzo capitolo di una delle saghe più interessanti e fortunate degli ultimi tempi. "E’ diventato un settore altamente selettivo. Quando impieghi oltre trecento persone per due o tre anni nello sviluppo di un gioco, il rischio è tale che solo pochissimi hanno le spalle larghe per correrlo. Di qui l’omogeneità, l’assomigliarsi, dei giochi di ultima generazione".
Di qui anche il fascino irresistibile della strada aperta dalla Nintendo. Meno nota, certo, e dove è sempre un solo titolo su cento a sfondare davvero. I costi di produzione però sono 30 o 40 volte più bassi, sbagliare e sperimentare dunque è ancora consentito.