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 2010  giugno 28 Lunedì calendario

FARMACI, L’ "INTELLIGENZA" COSTA TROPPO


Mentre tra i malati di cancro, soprattutto in quelli colpiti da alcune forme particolari, torna la speranza e gli oncologi gridano al miracolo, un brivido corre tra amministratori di Asl e assessori alla Sanità. A scatenare le opposte reazioni basta il termine: farmaco "intelligente": ferma il tumore, a volte lo elimina ma arriva a costare anche 50 mila euro l’anno. E se il paziente lo deve prendere per tutta la vita il conto è astronomico.
Il farmaco "intelligente" (per gli americani "target therapy", cura a bersaglio) è una sostanza che, una volta diffusa nel corpo, attacca selettivamente un preciso meccanismo vitale della cellula cancerosa. Enormi i vantaggi rispetto alla classica chemioterapia: gli effetti collaterali (nausea, vomito, debolezza, caduta di capelli, ecc) quasi inesistenti, sopravvivenza in genere raddoppiata, in molti casi pari all’aspettativa di vita, ma soprattutto in alcuni arriva la guarigione definitiva.
Il tutto grazie a tanta ricerca, per scoprire le mutazioni del Dna che innescano il cancro, i meccanismi di moltiplicazione impazziti delle cellule, insomma gli obbiettivi "sensibili" del tumore. Altra ricerca per mettere a punto decine di candidatifarmaci e infine le sperimentazioni su centinaia di animali da laboratorio e migliaia di malati per selezionare il più efficace, quando lo si trova. Un percorso che richiede in genere dieci anni e investimenti ingenti i cui riflessi sui vedono sul costo di mercato: un anno di cura di un singolo paziente costa dai 5 mila ai 50 mila euro, a seconda del farmaco. E ogni anno, tra i 250 mila italiani che si ammalano di cancro, si stima ve ne siano almeno 20 mila con forme vulnerabili ai farmaci "intelligenti". Una popolazione in crescita: per l’aumento dei tumori, per i progressi della ricerca che incrementa quelli aggredibili e infine per il prolungamento delle sopravvivenze.
«Nei prossimi quattro anni saranno avviate le procedure per la registrazione e la richiesta di rimborso per 50 nuovi farmaci anticancro», annuncia il professor Guido Rasi, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), l’ente pubblico che autorizza la commercializzazione dei farmaci e ne fissa il prezzo, «e ciò darà un notevole contributo all’aumento della spesa farmaceutica, già in crescita per l’invecchiamento della popolazione».
Il 60% dei tumori appare dopo i 65 anni e più s’ingrossa questa fascia d’età e più crescono i casi da trattare, che le nuove cure stanno trasformando in lungosopravviventi e che quindi prendono questi farmaci per molti anni. C’è di che far saltare il banco, non solo della malconcia sanità italiana. Non è un caso che proprio Rasi di recente sia volato ad Atlanta per partecipare a un simposio con i vertici degli enti di controllo dei farmaci europei ed americani. Il tema, detto in sintesi: le strategie comuni per non arrivare al razionamento dei nuovi farmaci.
«La crescita della spesa farmaceutica sta mettendo a rischio i bilanci sanitari e lo stesso accesso dei malati alla nuove terapie, specialmente per quelle che portano benefici limitati», dice Rasi. «La conseguenza è che Stati e assicurazioni, in Europa e negli Usa, stanno cercando di controllare la spesa farmaceutica contenendo i prezzi e istituendo registri per verificare che i farmaci vadano solo ai malati che ne traggono benefici. Ma non basta e si pensa anche a non concedere il rimborso a un numero crescente di nuove medicine o a introdurre delle forme di razionamento».
Purtroppo, solo di pochi di questi farmaci si può sapere in anticipo in quali malati saranno efficaci. Per il tumore del seno o del colon, ad esempio, esistono test che svelano la presenza del "bersaglio" (in genere una mutazione particolare del Dna) nelle cellule neoplastiche dei malati. Solo questi trarranno benefici dal farmaco "intelligente". Gli altri, la maggioranza, no e quindi è inutile somministrargli la cura. Un bel risparmio. Ma nella maggior parte dei tumori il test non è fattibile, oppure avrebbe un costo di sviluppo non conveniente. In questi casi rimane il vecchio sistema empirico: dare il farmaco a tutti i malati per alcuni mesi e proseguire solo in chi ne ha tratto benefici.
«Sarebbero utili anche ricerche comparative, che mettendo a confronto farmaci simili scoprano il più efficace aggiunge Rasi e sperimentazioni sui malati più lunghe e su un numero maggiore di casi. Ma, paradossalmente, la gran quantità di dati che si genera aumenta molto i costi di ricerca e sviluppo senza invece fornire informazioni determinanti per il contenimento dei costi. La soluzione va cercata prima di tutto nell’armonizzare le attuali pratiche europee e statunitensi di efficacia comparativa. Poi va migliorato il coordinamento internazionale fra le iniziative già esistenti, con lo scambio delle esperienze migliori, chiarendo bene le differenze nelle prospettive e nelle richieste di dati da parte delle diverse agenzie regolatorie. Altrettanto importante è rendere gli effetti economici delle decisioni più prevedibili, individuando e adottando modelli comuni nel processo di ricerca e sviluppo, utili anche nelle decisioni sui prezzi e i rimborsi. Infine è necessario stimolare un dialogo precoce fra chi produce i farmaci, chi li autorizza e chi li rimborsa. E "lavorare" sugli sviluppi futuri legati, ad esempio, all’impatto della medicina personalizzata sulla individuazione dei soggetti che più beneficiano di una certa cura».
Alcune di queste strategie che legano il rimborso al numero dei casi in cui il farmaco si è rivelato efficace già si applicano in Italia. «Siamo tra i paesi europei più avanzati in questa forma di spesa "intelligente" continua Rasi e il "rimborso condizionato" è uno degli aspetti cui l’Aifa ha dedicato maggiore attenzione. Ciò è stato possibile proprio grazie alla peculiarità dell’Agenzia italiana che, comprendendo nel suo insieme tutti gli aspetti che riguardano il ciclo di vita del farmaco, dal suo sviluppo fino a tutta la sua permanenza in commercio, ha potuto utilizzare sia le informazioni prodotte durante la fase di sperimentazione clinica che quelle ottenute dal postmarketing per meglio definire il valore del farmaco a diretto beneficio della sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Ciò che oggi in Italia dobbiamo ancora fare è un profondo lavoro di condivisione di questi meccanismi. Le Regioni che li applicano poco hanno rilevanti problemi di spesa pubblica mentre quelle li applicano in modo indiscriminato hanno problemi di accesso alla cura da parte del paziente. A rendere più impegnativo il nostro lavoro si è aggiunta poi la manovra varata dal Governo per rispondere alla crisi internazionale. Sarà nostro compito gestire appropriatamente le politiche di contenimento della spesa pubblica per non creare un effetto a catena sul settore produttivo. L’impegno dell’Agenzia è quello di partire dagli spunti offerti e da quanto emerso durante il Tavolo della Farmaceutica per sviluppare manovre strutturali che possano garantire la sostenibilità del sistema sul lungo periodo».