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 2010  giugno 28 Lunedì calendario

ENERGIA, DUE MILIARDI APPESI A UNA FIRMA


Se aspettare il Ponte sullo Stretto per auto e treni ci fa risparmiare soldi, il mancato rinnovo della connessione elettrica tra Sicilia e Calabria ci costa 800 milioni di euro l’anno. Tanto risparmieremmo in bolletta se i lavori per il nuovo elettrodotto, dopo sei anni, fossero partiti. Il caso siciliano è il più eclatante, ma i colli di bottiglia della rete elettrica nazionale sono tanti e distribuiti su tutta la penisola: le nove "mancate" autostrade dell’elettricità bloccano 2,3 miliardi di lavori e contribuiscono a tenere alti i costi dell’energia per imprese e consumatori. Una firma può costare due milioni di euro al giorno? Sì, il poco ambito primato spetta al ministero dell’Ambiente guidato da Stefania Prestigiacomo che da ottobre scorso avrebbe dovuto rendere esecutivo il progetto dell’unico "ponte" sullo Stretto di Messina al momento esistente: il collegamento della rete elettrica continentale a quella della Sicilia. Le nuove Scilla e Cariddi si chiamano SorgenteRizziconi, i due comuni che dovrebbero ospitare le estremità di un cavo da 108 Km di cui 38 sottomarini. I lavori del progetto messo a punto da Terna dovevano partire ad inizio anno, dopo l’ultimo decreto dell’ottobre 2009, ma come ha spiegato lo stesso ministro dell’Ambiente al quotidiano la Sicilia: « arrivata un’eccezione dalla Regione Sicilia che ha posto il problema della presunta incidenza negativa dell’opera sull’avifauna. stato necessario riaprire il procedimento della valutazione d’impatto ambientale». Un po’ a sorpresa nei sei anni precedenti in cui il progetto era stato esaminato dalla stessa regione Sicilia, dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, dalla regione Calabria e dai 21 comuni sulle due sponde dello Stretto, il benessere degli uccelli della zona non era stato adeguatamente preso in considerazione.
Nulla si è più mosso e, vista la congestione dell’attuale cavo, la Sicilia è di fatto elettricamente separata dal resto del Paese, anzi dal resto d’Europa. A maggio il prezzo del Kwh nell’isola è stato di 110 euro, quando sulla costa opposta costava 54 euro. Comunque da anni i prezzi alla borsa elettrica per la Sicilia sono del 50100% più alti che nel resto d’Italia. I consumatori ci rimettono perché in bolletta paghiamo la differenza tra il prezzo riconosciuto ai produttori (quello di zona) e il prezzo unico nazionale (Pun). A maggio il Pun è stato di 63,45 euro a kwh cioè 9,5 euro più alto di quello reale praticato nell’Italia continentale. Mentre tutti gli italiani compensano con circa 800 milioni l’anno gli extraprofitti dei produttori dell’isola, i siciliani pagano la loro "segregazione" con un numero più alto di black out e servizi peggiori.
Ovviamente l’economia locale non può godere dei 700 milioni di euro di commesse, né liberarsi di 540 vecchi tralicci (gran parte della nuova linea sarebbe sotterranea) che pulirebbero 264 ettari di territorio. Anche dal punto di vista ecologico ogni giorno di ritardo è un vero disastro: l’energia elettrica siciliana viene prodotta, specie d’estate, da vecchie centrali ad olio combustibile, le più costose, ma anche le più inquinanti, mentre circa 700 Mw di potenza eolica installata nell’isola producono elettricità che non può essere distribuita verso nord riducendo molto il vantaggio reale della anidride carbonica evitata.
Per quanto esemplare, la vicenda della SorgenteRizziconi non può essere archiviata come la solita storia di un ministero inefficiente o dell’incapacità della classe politica meridionale di sfruttare le già poche opportunità di sviluppo. Il ministero dell’Ambiente non è mai stato l’unico responsabile dei ritardi autorizzativi, le "trappole" per un iter che dura 67 anni (contro i 6 mesi prescritti per legge) sono innumerevoli e si nascondono ovunque. I comitati ambientalisti e la diffusa sindrome Nimby (not in my backyard) riservata a centrali elettriche ed eletrodotti, rigassificatori, autostrade e ferrovie, sono la parte più visibile, ma non la più pericolosa.
Le valutazioni dei progetti sono troppo esposte al variare delle maggioranze politiche. Le elezioni (e relative promesse elettorali) per comuni, province e regioni tolgono certezza persino agli adempimenti già superati (revoca di autorizzazioni, esposti in tribunale, richieste di riaprire pratiche già concluse). E poi c’è il sistema giudiziario che ha tempi lunghi e spesso viene coinvolto dagli stessi operatori che si lamentano delle lungaggini della pubblica amministrazione.
Valutazioni generali che valgono per tutte le infrastrutture, ma che nel caso della rete elettrica hanno un’ulteriore aggravante: le mancate opere hanno un costo immediato e misurabile, ma altrettanto immediato e misurabile è vantaggio di alcuni soggetti dalla mancata realizzazione, vale a dire i produttori di elettricità che si trovano all’interno di zone poco connesse e poco concorrenziali.
Se si allarga lo sguardo a tutta la rete gestita dalla società Terna i "punti" dolenti sono equamente distribuiti sulla penisola: nove grandi elettrodotti sono in attesa di autorizzazione. I tre più importanti hanno già passato 23 anni nella fase di "concertazione" (dove questioni come il destino dell’avifauna dovrebbero essere affrontate e risolte) e da altrettanto cercano l’autorizzazione definitiva: al contrario della SorgenteRizziconi, il collegamento tra Puglia e Campania e quello tra Padova e Venezia giacciono negli uffici del ministero dello Sviluppo Economico rispettivamente dal 2006 e dal 2007.
Stanno per tagliare il traguardo dei due anni invece i progetti di elettrodotti tra Udine e Gorizia (ministero dell’Ambiente) e quello tra i comuni di Trino (Vc) e Lacchiarella (Mi), per quest’ultimo le regioni Piemonte e Lombardia non trovano un’intesa, e ora i tecnici delle nuove giunte guidate da Roberto Cota e Roberto Formigoni si sono rimessi al lavoro.
Considerando che i tempi di realizzazione sono stimati in 23 anni, se i tempi burocratici fossero stati accettabilmente rapidi potremmo già godere dei miglioramenti: vale a dire 730 Km di linee smantellate e sostituite con nuove strutture più efficienti e meno "impattanti" (interramento delle linee, riduzione della quantità di materiale utilizzato); inoltre una quota pari al consumo annuale di 70 mila persone sarebbe recuperata grazie ai minori dispersioni in rete mentre la maggiore interconnessione metterebbe 2450 Mw di capacità produttiva già esistente sul mercato (pari a circa 34 nuove centrali a gas). Infine un milione di tonnellate di Co2 emesse in meno senza cambiare la produzione attuale. In una parola ci sarebbero prezzi più bassi per imprese e consumatori grazie alla riduzione degli oneri di sistema e alla maggiore concorrenza.
Inoltre tempi brevi permetterebbero a Terna di evitare che il suo piano strategico rimanga una sorta di libro dei sogni: i progetti in Calabria e Emilia (appena un anno di ritardo rispetto alle prescrizioni di legge) non sembrano all’ordine del giorno. Ancor più avveniristici suonano le interconnessioni con la Francia e il Montenegro. Per questi due elettrodotti siamo appena all’istruttoria presso il ministero dello Sviluppo Economico, tuttora senza una guida politica. Gli accordi trovati con i due governi e la prospettiva d’importare elettricità a costi molto più bassi rispetto ai livelli nazionali sono punti a "sfavore" della realizzazione. Oltre ai ritardi burocratici immaginabili ci sarà anche la pressione degli operatori nazionali (per quanto dietro l’avventura in Montenegro ci sia l’italianissima A2A) per aspettare che la domanda elettrica nazionale torni ai livelli precrisi in modo da riassorbire gli squilibri di eccesso di offerta. Nel 2009 la potenza installata è aumentata del 5% superando i 100 Gw mentre i consumi totali sono scesi del 6,4%.
Il futuro immediato dunque si prospetta come una lotta impari tra l’opportunità di trasformare in risparmio i tanti investimenti fatti nelle centrali elettriche dell’ultimo decennio, contro l’interesse dei produttori a non eliminare i colli di bottiglia per difendere rendite e margini in tempi di bassi consumi. A fare da arbitro una politica e una burocrazia che storicamente non brillano per solerzia e tempestività (o insensibilità alle pressioni delle lobby industriali).
Il tutto lasciando sullo sfondo la vera sfida che le reti elettriche saranno chiamate ad affrontare nei prossimi anni: sopportare e gestire la moltiplicazione e l’intermittenza dell’elettricità prodotta dalle centinaia di migliaia di pannelli solari e campi eolici. In Europa già si pianificano miliardi per le smart grid del ventunesimo secolo, in Italia dobbiamo ancora capire come metterci in pari con il ventesimo.