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 2010  giugno 27 Domenica calendario

THOMPSON, ALTRO CHE RADICAL CHIC

Essere un intellettuale di sinistra, con le do­vute eccezioni, in Ita­lia equivale ad arruo­larsi in un esercito ove adempiere a un certo nume­ro­di obblighi quali firmare appel­li, vigilare sul fascismo incalzan­te, gridare alla censura e nei casi irrimediabili fare la morale al po­polo bue. Per questo un personaggio co­me lo statunitense Hunter S. Thompson (1937-2005)è impen­sabile dalle nostre parti. Ed è per questo che solo di recente gli edi­tori italiani, soprattutto B.C.Da­lai, mostrano interesse per le sue opere. Una è molto famosa an­che da noi, in virtù della riduzio­ne cinematografica di Terry Gil­liam con Johnny Depp protagoni­sta: Paura e disgusto a Las Vegas
(nei tascabili Bompiani, con ap­pendice sulla cultura psichedeli­ca firmata tra gli altri da Alessan­dro Baricco e Fernanda Pivano). Altre meriterebbero uguale suc­cesso, ad esempio il romanzo-re­portage Hell’s Angels ( in catalogo presso Shake e B.C.Dalai), un ri­tratto formidabile delle gang di motociclisti americani, frequen­tati a lungo dall’autore. Molto bel­la è anche l’antologia di scritti giornalistici Paure, deliri e la gran­de pesca allo squalo (B.C.Dalai editore, pagg. 284, euro 18,5, in li­breria dal 29 giugno). Quando si dice «giornalismo» si intende «giornalismo gonzo»,come lo de­finì Hunter S. Thompson. Niente di più lontano dai fatti separati dalle opinioni, regola anglosasso­ne felicemente infranta da molti giganti del giornalismo anglosas­sone ( Tom Wolfe, Truman Capo­te, Norman Mailer, Joan Didion per limitarci ai classici). Qui i fatti ci sono ma sono raccontati in pri­ma persona con lo stile e la verve del grande narratore.
Thompson sfugge agli schemi italici. Uomo di sinistra, anche ra­dicale. Eppure individualista: im­pensabile la sua presenza all’in­terno di un branco che rilancia le parole d’ordine del momento. Uomo di sinistra, e orgoglioso pa­triota. Cosa molto diversa dalla statolatria (o partitolatria) impe­rante tra i nostri registi, scrittori e cantanti. Potete immaginare un membro della nostra intellighen­tia levare un inno alle armi? No. Thompson adorava le armi. Rite­neva il loro possesso un diritto in­discutibile. Il cittadino, sostene­va, deve potersi difendere. Non dai ladri. Dallo Stato, che un gior­no potrebbe decidere di allunga­r­e le mani e pretendere troppo po­tere. Amava così tanto pistole e polvere da sparo che, sapendosi vicino alla morte, avvenuta per al­tro in circostanze misteriose, co­me ultimo desiderio chiese agli amici di sparare le sue ceneri nel­lo spazio con un cannone. Il desi­de­rio fu esaudito grazie alla muni­ficenza di Johnny Depp. Quando Thompson decise di «impegnar­si », invece di mandare un fax a Re­pubblica , prese la via maestra. Si candidò in solitudine alla carica di sceriffo della contea di Pitkin, Colorado. Era sicuro che nessu­no avrebbe avuto il coraggio di vo­tare un tizio inaffidabile, un ec­centrico avvezzo ad esagerare con alcol e droghe di vario tipo. Perse per una manciata di voti.
Nel nuovo libro, troverete uno dei terreni preferiti da questo au­tore. Il reportage sportivo pronto a deragliare in avventura, oppure pronto a diventare un sapido in­treccio di costume e politica. Odiato a morte dai colleghi «esperti», scommettitore consu­mato, bevitore incallito, Thomp­son forza tutte le situazioni in cui, alla fine, si trova immerso fino al collo. La grande pesca alla squalo dovrebbe raccontare (per Play­boy
del 1974) un torneo interna­zionale di pesca d’altura. Thomp­s­on si annoia subito e inizia un ca­rosello di bevute in compagnia della malavita locale. Segue fuga disastrosa dall’isoletta messica­na. Divagazioni? Sì, ma con una strategia. Perché alla fine lo scrit­tore inseguito da loschi individui prezzolati dalle istituzioni si rive­la un perdente che si dimena co­me un pesce spada in acqua ag­ganciato a un amo. Divertente, spiazzante e a suo modo profon­do.
Le pagine dedicate alla boxe for­niscono un ritratto (con intervi­sta) di Mohammed Ali colto fra il primo e il secondo incontro con Leon Spinks (siamo nel 1978). Il fascino di Ali è quello di «una spe­cie di Jay Gatsby scuro- non nero, ma con una testa che non sareb­be mai stata bianca ». Il pugile vo­­leva tutto, e ha ottenuto quasi tut­to: il titolo di campione del mon­do, il successo, e perfino un ruolo politico indiretto ma di primo pia­no ( fu lui a rifiutare il servizio mili­tare con queste parole: «Nessun vietcong mi ha mai chiamato ne­gro », finendo in carcere). Follia e grandezza: «Questa è la differen­za fra Muhammad Ali e tutti noi. Venne, vide, e anche se non vinse totalmente, ci è arrivato più vici­no di chiunque altro nel corso di questa generazione funesta».
Nei servizi sul football, lo sport cede il passo quasi subito alla poli­tica. Scoppia il Watergate. E Thompson è uno «specialista» di Richard Nixon per averlo seguito come cronista durante le campa­gne elettorali e per aver condiviso con lui proprio la passione per la palla ovale. Thompson, a partire dal 1973, descrive il declino del presidente, seguito dalle dimis­sioni e dal perdono ottenuto dal successore Gerald Ford. Per lo scrittore, Nixon è un delinquente comune. Non sarebbe però Hun­ter S. Thompson se si fermasse al­la demonizzazione dell’avversa­rio. E, quando l’autore descrive l’inquilino della Casa Bianca co­me un teppista di strada, non dob­biamo dimenticare che anche Thompson appartiene a pieno ti­tolo alla categoria (a sentire lui, da giovane avrebbe anche svali­giato una stazione di servizio). In fondo «tutta la carriera politica- e in effetti tutta la sua vita- è un de­primente monumento all’idea che neanche la pura schizofrenia o una psicosi maligna possano impedire a un perdente determi­nato di salire sulla cima di questa strana società che abbiamo co­struito in nome della ”democra­zia” e della ”libera impresa”». Il bicchiere è sia mezzo piano sia mezzo vuoto.
Nixon mostrava «alla vecchia élite politica di Washington lo stesso tipo di disprezzo che i gio­vani ladruncoli di Georgetown sembrano avere nei confronti dei ricchi e dei potenti». Con la diffe­renza che i ricchi e i potenti della vecchia élite politica non sono mi­gliori del rivale ma solo meno sfacciati e più ipocriti. L’unica al­ternativa possibile a Nixon era «la stessa sciagurata accozzaglia di ronzini sfiancati che negli ultimi vent’anni ha appestato l’aria con le sue stronzate».Un’accozzaglia che avrebbe colato a picco gli Usa più velocemente di quanto abbia fatto Nixon stesso.