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 2010  giugno 27 Domenica calendario

CACCA D’AUTORE

Siccome siamo postmoderni, si sa - e se non lo sapete guai a presentarvi a una mostra -che l’arte è tutta una provocazione.Chi se ne frega della capacità tecnica, del fatto che qual­c­uno sappia scolpire come Michelangelo odi­pingere come Modigliani. Quel che conta è che l’opera- ma all’opera in generale si prefe­risce la performance, più effimera - abbia un impatto choc sul pubblico.
E a llo choc- che sia ottenuto con un cadave­re plastilinato o con una rana crocifissa poco importa - è bene appiccicare un po’ di ideologia. Il mix delle due cose, infatti, garantisce l’at­tenzione dei media e, conse­guentemente, quotazioni che salgono in parallelo con la fama dell’artista. Ecco spie­gato perché alla Biennale di scultura di Carrara (aperta si­no al 31 ottobre), che ospita fior fior di maestri - Ortega, Sierra, Wearing, Yona Fried­man, Gaillard, Vanessa Bee­croft - per ora si sia parlato quasi soltanto della maxi-cac­ca realizzata da Paul McCar­thy.
Ma prima che qualcuno alieno dalle dinamiche artisti­che e dalla grafia dei cognomi anglofoni si metta a pensare che un ex Beatles abbia avuto problemi intestinali, chissà perché a Carrara, riassumia­mo i fatti. McCarthy, non Mc-Cartney, è uno dei più famosi artisti statunitensi, la sua no­torietà trae origine soprattut­to dalle sue gigantesche e pro­vocatorie sculture, spesso a tema escrementizio o comun­que un po’ schifoso (ha gia re­alizzato cacche gonfiabili, mega maiali in pose sodomi­te, gingilli sessuali in formato gigante). Per la sua venuta a Carrara ha creato un escre­mento, realizzato con diverse tonnellate di travertino di Ra­polano (piaceva tanto agli etruschi per le sue sfumature che arrivano sino al marrone scuro). Il «caccone», che già sarebbe stato di dubbio gusto in un ambientazione «norma­le », è stato volutamente piaz­zato in corso Roma, davanti alla sede centrale della Cassa di Risparmio di Carrara. Il ri­belle McCharty l’ha voluto collocare davanti a una ban­ca per «combattere il capitali­smo », come ha lui stesso ripe­tuto sino allo sfinimento nei giorni scorsi.
Quindi il binomio di cui si diceva è stato realizzato alla perfezione. Una scultura che la fa «fuori dal vaso» (ma Luis Buñuel e Piero Manzoni ride­rebbero vedendo che il vec­chio trucchetto della popò funziona ancora) e una bella spolverata ideologica d’accat­to (artisti pagati una follia che protestano contro le ban­che, preferendo mettere gli assegni pieni di zero sotto il materasso). Molto meglio di come è andata delineandosi la faccenda del famoso dito di Cattelan che sarà esposto a settembre di fronte alla Borsa di Milano. Lì la provocazione­scultura, una mano con tutte le dita tagliate ad esclusione di un medio levato verso il cie­lo, è inciampata nelle ambi­guità del suo messaggio. Pri­ma si è parlato di un attacco al mercato. Poi si è detto, piut­tosto irrealisticamente, che la mano rappresenta un salu­to nazista a dita mozzate. Il ri­sultato è stato una mediazio­ne in giunta comunale - tanto per dire quanto Cattelan sia artista poco istituzionale... ­dove ha prevalso la spiegazio­ne fornita dall’assessore alla Cultura Finazzer Flory: «L’opera in questione non è un dito medio: è la mano di Hitler con quattro dita mozza­te. il gesto nazista al quale si contrappone la Borsa come istituzione liberale e demo­cratica ». Comunque il dito starà lì solo per una settima­na, mentre la mostra di Catte­lan a Palazzo Reale durerà un mese. Quanto al vero senso dell’opera: boh. Intanto Cat­telan sta zitto, mentre tutti gli altri parlano, ma una mano mozza è una mano mozza, non c’è tanto da dire. Però il dito che resta, diciamocelo, non fa impressione a nessu­no (Dante riderebbe all’idea che il trucchetto del gestac­cio funzioni ancora: «Le mani alzò con amendue le fiche, gri­dando: ”Togli, Dio, ch’a te le squadro!”»).
Leggendo sin qui non vor­remmo però che vi fosse venu­to in mente che la provocazio­ne non ci piaccia, che non le si voglia riconoscere i meriti della genialità. Li ha. Solo che i veri provocatori sono alcuni anonimi cittadini di Carrara eredi della secolare arguzia toscana. Non ce ne vogliano Cattelan, McCarthy e gli altri anticapitalisti a 24 carati co­me Chen Wenling (tra le sue opere più note un toro - sim­bolo della borsa che tira - che, sospinto da una violentissi­ma «corrente d’aria», schiac­cia contro una parete un Ber­nie Madoff in versione demo­ne) ma è così. Qualcuno ieri ha accostato alla cacca di pre­zioso travertino un molto più artigianale scopettone gigan­te, con tanto di paletta. Come a dire che per quanto le schi­fezze dell’arte siano grosse, per spazzarle via basta la for­za dell’ironia. Se è di rigore osannare McCarthy, che dire di questi sconosciuti che se fossimo critici potremmo chiamare «Anonimi maestri carraresi»? Non è la loro una performance nella perfor­mance? Non c’è in loro un’enorme forza espressiva e se non altro il coraggio di ri­schiare di beccare una bella multa se colti sul fatto (altro che discussione in giunta)? Anzi, ci viene da pensare che la rimozione dello scopetto­ne da parte degli uomini del Comune di Carrara sia un ve­ro vulnus all’espressività e al­la vivacità creativa.
Vi sembrano bischerate? Sì, esattamente. Solo che qualcuno sulle bischerate fa i milioni mentre chi ha fatto lo «Scopettone» (avra una quo­tazione anche quello?) sarà pure un bischero, ma ha cer­cato di riportarci al buon sen­so.