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 2010  giugno 29 Martedì calendario

ARGOMENTI DI: ROSARIO ROMEO, ”CAVOUR E IL SUO TEMPO”, VOLUME II TOMO I, LATERZA, BARI 1977


PRIMO CAPITOLO
SECONDA PARTE: L’ASSOCIAZIONE AGRARIA’ [per la prima parte vedi scheda precedente]

«…borghesia imprenditoriale che era venuta facendosi strada soprattutto nel mondo dell’agricoltura ma anche in quello del commercio e dell’industria e che col suo dinamismo costringeva anche gli elementi più attivi della nobiltà a svecchiarsi e ad assumere fisionomia e caratteri legati all’impresa e non più solo alla rendita fondiaria pena lo scadimento prima economico e poi sociale» [79]

Caso di Giovanni Lanza in [79-81] e vedi anche scheda 212085 («figlio di un negoziante di ferramenta e poi medico, che tuttavia dedicò molta della propria attività a un podere di 33 ettari per la più parte a vigneto, nella zona di Casale, venutogli dal patrimonio familiare. Egli fu tra i primi a introdurre nel Monferrato aratri di ferro, seminatrici, estirpatrici; studiò e scrisse d’agricoltura; si occupò anche dell’educazione agricola dei ragazzi poveri, mirando ad ottenere, scriveva, "il miglioramento della nostra agricoltura col miglioramento morale ed intellettuale dei contadini"; "sin d’allora egli prese a frequentare, come frequentava poi anche negli ultimi anni della sua vita, tutti i mercati e le fiere della sua città, ove, confuso colla folla degli agricoltori e dei negozianti, si compiaceva di osservare, interrogare e discutere di cose agricole”»).

Lorenzo Valerio in [80] «figlio di un possidente, direttore di una manifattura di seta tra le maggiori del Piemonte ad Agliè, scrittore di problemi dell’industria e del lavoro, giornalista e promotore instancabile di iniziative e di opere sociali».

In provincia «nelle persone colte ed in quelle che hanno una qualche tintura di lettere la lettura delle gazzette estere e del paese era divenuta un vero bisogno, onde soddisfare al fomite della curiosità, ed essere giornalmente istrutti degli avvenimenti importantissimi da parecchi anni in qua occorsi nelle varie regioni del globo» (Eandi). A Saluzzo (12 mila abitanti) 53 abbonati a giornali stranieri e 43 a giornali nazionali. «Di questa ”classe civile” in contrapposizione alla rozzezza dei ceti popolari, si lodavano ”i cortesi e puliti costumi”, lo zelo con cui ”ognuno dà opera con impegno alla cura dei propri affari” e ”l’ottima qualità delle loro abitudini” [80].

Liberalismo moderato: pubblicistica, educazione popolare, beneficenza. «Graduale progresso sostenuto dall’opinione illuminata del paese, e diretto a soddisfare esigenze ed opinioni liberali per vie assai diverse dalle cospirazioni ed insurrezioni del passato. E dunque l’insistenza era tutta sulla collaborazione tra le classi, fra padroni e operai, fra nobili e borghesi. Valerio: nel primo numero de "Le letture di famiglia" (12 marzo 1842) dice che «chiunque ami la patria sua e la voglia grande e potente deve far sì che tutte le classi della società si guardino come solidarie, e si stringano in un nobile sentimento di concordia e di fratellanza, noi diremo ai poveri la carità e la beneficienza dei ricchi, ai ricchi le virtù ignorate, la vita laboriosa, i bisogni dei poveri, e diffonderemo i principi di carità e di morale che soli possono fare gli uomini felici» (vedi anche scheda 212085). Lamento del Cornero, Associazione agraria, nel 1843 sulla diffidenza reciproca.

Lotta fra nobili e non nobili in [81-82] con nota dell’Abercromby (novembre 1847) e del «suo collega napoletano» [82] (vedi sempre scheda 212085).

«Spirito innovatore dell’impresa agricola» contro «i tratti conservatori della possidenza terriera, garanzia contro ogni spinta troppo audace e sovvertitrice». Necessità, ben sentita dagli aristocratici illuminati, di allargare il consenso verso la monarchia ai nuovi ceti. Influenza della storiografia francese della Restaurazione, sensibilissima ai ceti medi. «E queste preoccupazioni dei circoli vicini alla dinastia acquistavano maggior peso nella misura in cui si incontravano adesso con la ripresa da parte liberale dell’antico sforzo, interrotto dalle amare delusioni del 1821 e del 1833, ma ora nuovamente avviato, di conquistare Carlo Alberto alla causa del movimento liberale e nazionale, moltiplicando le dimostrazioni di fiducia e le lodi all’opera già realizzata dal suo governo» [82-83].

Iniziativa di Cesare Alfieri di Sostegno per l’istituzione di «un’Associazione che tutti in sé riunisca i diversi elementi del progresso agricolo» (lettera al conte Gallina del 31 maggio 1842, firmata anche da Cavour [89]). La monarchia a sua volta voleva stabilire «più efficaci contatti con le forze vive della società piemontese». Dal Diario del Castagnetto risulta che Carlo Alberto, benché sempre contrario alla «fusion des classes», era però persuaso della necessità «de faire quelque chose pour la classe de la bourgeoisie”» [83-84].

25 agosto 1842 approvazione sovrana dello Statuto dell’Agricola [84]

«Volta a promuovere il progresso agricolo ”con premii, ricompense, diffusione di libri, con permanenti esposizioni di modelli di attrezzi rurali e con annue temporarie esposizioni di prodotti agricoli ed orticoli”, l’Associazione si proponeva, quando ne avesse avuti i mezzi, di aprire scuole di agricoltura teorico-pratiche, con annessi poderi ”dove anche si esercitasse nella pratica un buon numero di giovani”» [84]

Presidente elettivo (all’inizio Cesare Alfieri), sorveglianza di un regio commissario (Carlo Ferrero della Marmora), obbligato a «riferire alla segreteria di Stato per gli Interni ogni ”operazione di società” che gli sembrasse contraria alle leggi» [84-85]. Struttura provinciale (Comizi agrari), regolamenti interni approvati dalla segreteria agli Interni. Costituzione definitiva il 16 febbraio 1843.

Lodi del Valerio: «La più larga e utile associazione che mai sia stata fatta in questa provincia italiana» (Letture di famiglia, 5 novembre 1842). Sull’organo valeriano «assai presto si venne segnalando come inevitabile il passaggio dalle ”questioni di agronomia… a quelle d’econiomia sociale” (LDF, numero del 21 gennaio 1843)». Rapporti di Valerio col mondo liberale [86]

Valerio su Cavour: «notre jeune agronome-libéral-aristocrate» (a Camilla De La Rüe, 21 gennaio 1841) eccetera vedi nota 87. Cavour su Valerio: «un excellent homme, mais… un utopiste. J’aurais – commercialement parlant – très peu de confiance en lui» (a Hyppolite De La Rüe, 20 settembre 1844) [87nota]

Un sacco di gente – intellettuali, professionisti – che non ha niente a che vedere con l’agricoltura [87].

La Gazzetta dell’Associazione Agraria comincia a uscire il 6 aprile 1843, in italiano e francese. Problema del conflitto con la vecchia Società di Agricoltura (1795) che cambia denominazione in Accademia dell’Agricoltura. In una lettera aperta del 1° giugno 1843 si definiscono i compiti dell’Associazione: non «una Società di dotti», deve chiedere «il concorso dei pratici» perché vuole «stabilire la sua influenza nelle campagne» per la «propagazione pratico-agraria e non già agrario-scientifica» [88]

Cavour assente da Torino per viaggi all’estero dall’11 giugno 1842 fino a metà giugno 1843 (tranne un mese e mezzo nell’autunno 1842). 25 agosto 1842 è nominato consigliere residente, poi membro del comitato di statistica. Tornato, «ritmo e incisività» come in tutte le altre cose. Contro i poderi modello in un primo articolo del 30 agosto 1843. Bisognava prima di insegnarli dimostrare la netta ed evidente superiorità dei nuovi metodi su quelli in uso in Piemonte. La scienza agronomica più in voga praticata in realtà al Nord, manca teoria che spieghi successi piemontesi. Caso del barone Victor Crud che aveva tentato un podere modello nel bolognese senza ricavarne alcun reddito in 22 anni. Conservatore, ma avversione e insofferenza per il progressismo verbale, «in agricoltura e in politica, di tanti intellettuali, destituiti di ogni legame con quell’empirismo concreto e fattivo al quale egli dava importanza sempre maggiore». I bersagli della polemica si accorgono di dove va a parare. Difesa di Napoléon Donnet (attribuisce a Cavour la tesi che «nulla nel sistema attuale richieggia cangiamento e miglioramento»), di Felice Duboin («la maggior parte delle nostre terre sono lungi dal dare il prodotto di cui sono suscettibili») e di Carlo Veggi. Cavour replica all’inizio del 1844 la sperimentazione migliore esser dei privati «obbligati a tener conto di quelle considerazioni di economicità che invece sfuggivano a costosi e inefficienti istituti pubblici come quello auspicato e sottolineando che non nelle scuole poteva acquistarsi ”quella perizia nella pratica delle faccende rurali, che è la prima condizione di successo in un’impresa agricola”». [90-91]

Orientamento prevalente nell’Associazione contrario al conte. Quindi podere-modello nella tenuta demaniale della Veneria e alla fondazione dell’annesso istituto agro-forestale (brevetto del 19 agosto 1846) tutto combattuto da Cavour con ragione ché nel 1848 il terreno fu venduto al marchese di Sambuy. Cavour fece sopprimere nel 1853 [92]

Rocco Ragazzoni, direttore del ”Repertorio d’agricoltura”, difende Cavour con tale tono che il marchese della Marmora il 24 agosto 1844 chiede «’le opportune disposizioni onde la critica rimanga per lo meno nei limiti della moderazione”». Si pensa di convocare il Ragazzoni dal temutissimo colonnello Lazzari, ispettore generale di polizia, lo si manda poi davanti all’intendente generale di Torino «per severamente redarguirlo dello sconcio modo con cui si è permesso criticare, o deridere nel suo giornale gli atti ed i membri». [94-95]

2.700 soci alla fine del 1844.

Settembre 1843: «in occasione del V congresso degli scienziati italiani a Lucca, il Maestri e il Ridolfi auspicavano che l’Agraria piemontese potesse un giorno ”divenire il nucleo di un’associazione agraria italiana”».

Agosto 1844: a Salmour che chiede di consentire ai soci ”pratici” di parlare in dialetto, la maggioranza si oppose «’all’abbandono della lingua italiana, patrimonio e vincolo di tutti gli abitanti d’Italia” e deliberò ”doversene anzi con ogni sforzo, anche dall’Associazione Agraria, a cui sono ammessi gl’italiani tutti senza distinzione di sorta, mantenere ed estendere l’uso”». Tematica viva sui periodici di orientamento liberale [94-95].
Gennaio 1845: dimissioni dalla presidenza di Alfieri di Sostegno, divenuto intanto Magistrato della Riforma. [94-95]

31 gennaio 1845: assemblea generale che vuole far partecipare alle quote i comizi provinciali. Respinta da Alfieri e da Cavour.

6 marzo 1845. Si discute della rappresentanza in direzione dei comizi, che pareva accettabile anche al moderato Salmour e al commissario La Marmora. Cavour su Gazzetta (28 febbraio-7 marzo 1845) sostiene che i lavori si organizzano meglio con struttura accentrata, il marchese Massimo di Montezemolo lo accusa di farsi paladino del ”principio d’immobilità, di resistenza ad ogni impulso che possa spingere le istituzioni oltre la sfera che ne circoscrisse gli incunaboli, che mira a perpetuarne la vita e l’azione con difenderle da ogni contatto e mescolanza con elementi nuovi” e insomma di essere un esponente dello ”spirito di conservazione”». Si approva che ogni comizio abbia un rappresentante in direzione, iniziativa del Valerio e del Montezemolo, modifica statutaria il 22 marzo 1845 [96-97]

Battaglia, nella stessa assemblea, per la successione ad Alfieri di Sostegno in [97-98]. Vedi anche mio libro. Salmour: fu allora che i partiti cominciarono a prendere corpo. Romeo: «E fu allora che il conte di Cavour, per la prima volta, cominciò ad emergere come leader politico, capace di rannodare uno schieramento di opinioni e di volontà intorno alla sua guida. La sua energia, la chiarezza delle idee, la fiducia in se stesso, la sua spontanea autorevolezza di uomo del quale presto si comincerà a dire che poteva avere seguaci ma non propriamente amici, ne facevano naturalmente un capo, anche in uno schieramento nel quale figuravano esponenti della più illustre aristocrazia piemontese. Ma se queste doti erano atte a procurargli seguaci convinti e una posizione di crescente prestigio nell’Associazione – sempre più avviata a comprendere la parte più influente dell’ambiente liberale del paese – erano anche quelle che dovevano procurargli rivalità e avversioni non piccole, in una fase ancora troppo fluida perché si potesse parlare di gerarchie ben stabilite di influenza e di autorità» [98]

Due questioni: chi dovesse succedere ad Alfieri e se per dieci mesi o tre anni. Cavour candida Salmour e vuole subito tre anni. Valerio gli dice che se fa bene sarà rieletto, Si vota e vince Valerio. Poi però viene eletto Salmour, anche se Sambuy prende tanti voti. Interventi: Montezemolo e Sineo per Valerio, Despine e Salmour per Cavour. «In quella occasione insomma Cavour si trovò di fronte alcuni di coloro che saranno fra i suoi più tenaci avversari durante tutta la sua vita politica; e la discussione, anche se tuttora contenuta, dovette assumere toni che cominciarono a preoccupare il vigile marchese La Marmora. Il quale già alla vigilia dell’assemblea generale aveva segnalato al ministero dell’interno l’opportunità di ”reprimere sul loro nascere certe dichiarazioni nel seno della direzione, ora forse insignificanti ma che potrebbero farsi di maggior importanza”; e dopo la seduta si affrettava a confermare ”essere io sempre maggiormente convinto che per reprimere certe dimostrazioni forse involontarie, e risultanti, se vuolsi, in taluno dall’abitudine delle argomentazioni del foro, sia ottima cosa che il Ministero colga l’opportunità di qualche circostanza per far sentire l’azione del Governo di S.M. onde mettere così ognuno in avvertenza contro qualunque indiscrezione”. E certo, dopo di allora il tono e l’andamento della vita interna dell’Associazione appaiono radicalmente mutati» [99-100].

Salmour, presidente per undici mesi: ”parti agricole” contro ”parti politique”. Scopo del parti agricole: «d’amener par les progrès agricoles de meilleur conditions politiques». «E che dunque la sua differenza dagli oppositori era solo ispirata dalla ”crainte de compromettre à tout jamais le meme bout politique” qualora avesse secondato ”l’imprudente impatience” dello schieramente valeriano». «Le ramificazioni e l’organizzazione della corrente ”democratica”, più nettamente politicizzata, venivano gradualmente rafforzandosi con il lento innalzarsi della temperatura politica, in Piemonte e fuori del Piemonte». Stavano sempre con Salmour e Cavour anche Despine e Di Roussy. [100]

20 febbraio 1846. Assemblea per il rinnovo della carica, i democratici oppongono Sambuy, «un personaggio non certo impegnato in senso democratico ma di grande prestigio e, aggiungevano i moderati, abbastanza inesperto di politica da dar mano libera ai ben più abili capi di partito, i Valerio, Sineo e Montezemolo». I democratici all’inizio avevano pensato di candidare anche Cavour, che all’inizio non dava troppa importanza alla cosa, salvo poi mobilitare tutti i suoi amici quando Salmour gli disse che ci teneva a essere rieletto. Fu lui, scrive Salmour, che riuscì infatti «à donner de l’animation au parti agricole, à… rallier plusieurs personnes arrivant des provinces hostiles… à faire enfin reusssir». Salmour eletto per un solo voto alla seconda votazione, i democratici non volevano che si contassero i voti per delega e furono sconfitti. Cavour s’era portato amici del Circolo del Whist. Sineo: «…fu allora che si rese palese lo scopo della irruzione fatta nell’assemblea da alcuni membri del Club, i quali sparsi nei vari angoli della sala, si mettevano di quando in quando a fare urli e confusi rumori diretti ad impedire ogni regolare discussione. Questa specie di claqueurs parevano reggimentati sotto gli ordini del conte di Cavour, il quale fu veduto dar loro il segnale delle loro clamorose dimostrazioni». Questo «sistema di rumorose interruzioni per parte del conte di Cavour e dei suoi amici si riprodusse nelle sedute successive…» (non è pubblicato). Dopo la vittoria un po’ di moderati se ne vanno e quindi i democratici portano alla vicepresidenza il conte Filiberto Avogadro di Collobiano ed eleggono segretario il Valerio [101]

I moderati esclusi totalmente dalla direzione, compreso Cavour. Salmour: «…l’animation, la surexcitation des esprit qui étaient à leur comble, le retentissement facheux que devait avoir une élection faites dans de pareilles conditions…». «La discussione nella quale si decise fra l’altro di affidare agli esattori la riscossione delle quote sociali arretrate, sottolineando così ancor più il carattere ufficiale della società, proseguì fino al 23 febbraio, e Cavour ebbe ancora occasione di prendere più volte la parola (specie sull’erigendo istituto della Veneria, sedute del 20-23 febbraio). Ma la situazione si aggravò nelle settimane successive, specie dopo una seduta della direzione il 5 marzo, nella quale i neoeletti del gruppo Valerio fecero adottare una serie di misure relative alla composizione dei comitati e delle commissioni che miravano ad accrescere il loro controllo sulle assemblee generali. E fu allora che il marchese di Cavour, il 9 marzo, denunciò l’Associazione come un centro di sovversione politica, ricevendone l’ordine di preparare una modificazione dello statuto atta a ”couper court à toutes tendances ou manifestations politique”». La mattina del 9 marzo Cavour raccontò a Salmour che «son Père en revenant le matin meme de la Cour, lui avait dit che le Roi était furieux contre l’Association Agricole, et lui avait ordonné de preparer dans le plus bref délai des variations aux Statuts organiques de cette Société» [102].

Cavour impegnato col padre a mantenere il segreto. Salmour si dimette per salvarsi. Cavour «di fatto solidale con l’iniziativa». Castagnetto nel Diario (16 marzo 1846) racconta che all’Agraria «les discussions ne se resserrent pas tant dans les limites des questions agricoles qu’on ne veuille pas aussi aborder des arguments qui ont trai à l’administration générale et meme à la politique». Quanto ai comizi, «il parait que la corrispondence de l’Association avec tous les comices prend une remification qui couvre toute la surface du Pays et qu’un moyen de circulaire et meme de lettre particulière on cherche de Turin à diriger ou influencer les délibérations et l’esprit de ces comices». Le dimissioni di Salmour spiegate col fatto che l’opposizione «se montra si violente contre lui» [103].

Omodeo sostiene che Cavour non sapesse niente dell’iniziativa del padre. Improbabile [103]

11 marzo: Valerio e Buniva (bibliotecario) ammoniti dal conte Lazzari, Sineo ammonizione scritta. Castagnetto, 27 aprile 1846: «les assemblées prenaient le caractère d’une grande institution de l’Etat ce qui dans notre système pourrait offrir des très graves dangers».
17 marzo: il re avoca a sé la nomina di presidente vicepresidente e designa Filippo Avogadro di Collobiano. Valerio: a causa dell’Associazione Agraria «ebbi minacce di carcere». Dànno tutti l’associazione per morta (massimo un anno), ma interviene Cesare Alfieri per garantire «la perfetta lealtà della fazione valeriana». Valerio: «Il Re, che vuole sinceramente il bene e che ha il torto grande di non conoscere il suo popolo, e quindi di non fidarsi di esso siccome merita, si lasciò per poco travolgere dai suoi più accaniti nemici, cioè dagli Austro-gesuitico-oscurantisti. Ora, meglio illuminato sul vero stato delle cose, ha ridonata la sua protezione all’Associazione ed io, dietro personale suo invito, continuo ad occupare il posto di segretario» (10 aprile, lettera a Giacomo Ciani). [104-105]

Cavour non partecipa quasi più, scherza sulla reputazione di ”ultrarétardataire» che gli fanno Valerio e i suoi e si dichiara «convinto essere dovere dei buoni, dei veri amatori del progresso civile e della libertà moderna, di combattere a sinistra, come a destra e di non lasciare agli esagerati, a quei che più odiano i nobili, di ciò ch’essi amino il popolo, il libero impero sull’opinione pubblica». Impopolarità, «tout le monde m’abandonnait». Episodio del Castelli (fine 1847, vedi mio libro). Valerio vittorioso, soci 2.900 nel 1847 e 3.371 nel 1848, però sempre più alto numero di quelli che non vogliono pagare le quote [106-107].

Nella seduta del 20 febbraio 1846 l’assemblea dell’Agraria gli preferì l’avvocato Daziani «che ha l’anima altrettanto vile, quanto ha brutte le sembianze». [106]

Cavour a Costa de Beauregard, ottobre 1847: «il y a huit ans j’était assez populaire. Je ne le suis plus du tout. Dans la Société agraire, j’ai combattu avec énergie un parti liberal exagéré. Le gouvernement a soutenu ce partie; m’a donné tort, et j’ai perdu en meme tems ma position dans l’Association et la faveur des libéraux. Je n’ai rien fait pour l’acquerir de nouveau…» [107].

L’adesione di Carlo Alberto al partito valeriano testimonia delle incertezze del sovrano (decisioni «violentemente contrastanti con altri atteggiamenti chiaramente ispirati a tutt’altro indirizzo»). D’altra parte «fa certo onore al suo senso politico l’aver saputo distinguere il carattere sostanziale» della corrente cosiddetta democratica «al di là degli interessati allarmismi con cui era stata presentata» [108 e 113].

Natura della democrazia «impersonata dai Valerio, Sineo, Lanza, Montezemolo» che controllano l’Agraria nella seconda fase della sua esistenza. Intanto, non cessarono di collaborare con i moderati (Alfieri, Giovanetti, Charles Despine e «financo il conte di Castagnetto, segretario privato del sovrano»). Collobiano impegnato a reprimere le imprudenze dei più esagitati. «Per ciò che riguarda costoro, non v’è dubbio che essi facevano largo posto ad accenti ed atteggiamenti di tipo popolareggiante e tribunizio, sì che ad esempio al Valerio toccò in quegli anni il soprannome, fra ironico e intimorito, di Caio Gracco». Sensibilità delle Letture di famiglia per problemi dei ceti popolari. [108]

Nel 1844-45 Valerio organizza una società di pubblici scaldatoi o di soccorsi invernali che «fra il dicembre 1844 e il febbraio 1845 mise in funzione sei locali in cui venivano ospitati fino a 3.000 poveri al giorno, ai quali si distribuivano cibo e soccorsi, si tenevano letture e si consentiva di continuare il proprio lavoro». Valerio: «Della statistica, che i nostri comitati di beneficenza hanno fatta, risulta che Torino, con 120 mila abitanti, conta 30 mila poveri» (a Enrico Mayer, 12 luglio 1845). Quindi «tous le maux de ce bas monde ne viennent pas des radicaux e des comunistes». Il governo vietò poi ogni insediamento in quella sede e proibì che l’anno dopo l’esperienza si ripetesse [108-109].

Giovanni Baracco a Gioberti, 18 marzo 1846: «in questa radunanza i parlanti … affettavano di usare formole parlamentarie, e non contenti di dire: ”Domando la parola, chiamo la divisione della proposizione”, giunse uno a dire voto per ammendamento» [109 nota]

L’«imitazione di procedure e linguaggio parlamentari» si estese ai contenuti delle discussioni, sicché al congresso di Casale vi fu un ampio dibattito sul problema dei furti di legna «qualche anno prima affrontato anche da Marx». L’avvocato Farina: «il furto della legna è divenuto una necessità per i contadini, i quali trovansi affatto privi del necessario combustibile per far cuocere i propri cibi». Il conte Casanova, proprietario del Vercellese, idem. Il marchese Balbi Piovera: «i proprietari i quali lasciano mancare i contadini loro dipendenti del quantitativo di legna ad essi indispensabilmente necessario, sono più riprovevoli di coloro che se lo appropriano e meriterebbero di essere in loro luogo processati». Giovanetti esprime «meraviglia che per uno slancio di generosità inconsiderata un’assemblea di proprietarii facciasi ad accusare se stessa di lasciare languire nel bisogno i propri contadini» [110] Aristocrazia terriera più a sinistra di Valerio [111]

Però anche Cavour, disapprovando il severissimo editto del 16 settembre 1845 contro i ladri di campagna, dichiara di aver «rabbrividito leggendo una cotale profanazione di tutti i principii di diritto e equità» e di non credere affatto che «le prescrizioni musulmane in esso proclamate erano assolutamente necessarie per frenare la crescente immoralità della gente di campagna» (Cavour a Giovanetti 5 dicembre 1845, Epistolario III).

Primavera-estate 1847, giro di vite, soppressione Letture di famiglia, ira di Valerio contro i Petitti, i Balbo, gli Azeglio «caporioni del liberalismo che meriterebbero di essere svergognati in faccia di tutta Italia», «oh povero, poverissimo paese, dove nissuno osa fare un passo se non è capitanato almeno da un marchese» [112]. Torna subito a collaborare col re quando questi manifesta di nuovo intendimenti patriottici (lettera di Casale, lettera del Castagnetto a Valerio del 10 ottobre 1847 garantisce «come Sua Maestà, non seguendo altra influenza che la propria convinzione, sappia apprezzare il movimento e cammini perseveratamente per la via che si è fissata» [112]

«Insomma nella corrente democratica vi erano certo aperture e sensibilità sociali ignote al moderatismo cavouriano, e una ostentata preferenza per metodi politici meno cauti di quelli che Cavour auspicava nella situazione di allora; ed è anche probabile che vi fosse una diffidenza in qualche misura minore davanti alle possibili conseguenze sociali di un rivolgimento politico». Posizioni però che non impedivano collaborazione col moderatismo. Valerio stesso non può non essere considerato un moderato. Era inoltre «nell’interesse della monarchia conservare buoni rapporti con forze la cui influenza era crescente nel paese, e che in fondo continuavano a muoversi nell’ambito della legalità esistente; mentre le loro aspirazioni nazionali potevano invece trasformarsi, un giorno, in utili strumenti per quelle iniziative italiane, indeterminate come non mai, ma tuttavia presenti, che Carlo Alberto continuava a vagheggiare». [113]

Grave errore di Cavour: «essersi lasciato identificare non già con la causa generale del moderatismo, ma con quella di una frazione minoritaria, e socialmente esposta su posizioni indifendibili, della nobiltà, in un momento in cui tutto l’orientamento degli spiriti, anche moderati, era ormai diventato intollerante di atteggiamenti e pretese nobiliari». Petitti definisce il gruppo di Cavour «alcuni giovani prepotenti ed alteri». «E l’insistenza sulla parte che nello scontro ebbero ”l’indole alquanto irascibile” e il temperamento imperioso del conte ritornava con vari accenti in tutte le testimonianze di quei fatti. Si trattava certamente della intolleranza, assai maggiore di quella che a parità di circostanze è riservata a figure più sbiadite e incolori, che nelle occasioni di tensione e di scontro suole investire le personalità superiori e nettamente rilevate: specie quando, come accadeva nel Cavour di quegli anni, certi tratti erano accentuati dalla ormai acquisita sicurezza di sé, e rafforzati dall’aperto riconoscimento che anche alcuni uomini del livello di Auguste De La Rive facevano della «votre haute intelligence dont je reconnois toute la superiorité»; senza che a moderare quei tratti fosse ancora intervenuto l’autocontrollo derivante dall’esperienza e dalla pratica degli affari politici. Si aggiunga l’errore tattico e politico ancora più grave di aver fatto ricorso o di aver consentito che il padre facesse ricorso all’intervento impopolarissimo della polizia senza riuscire a conservare il segreto o quanto meno a distinguere nettamente le proprie responsabilità, in un paese dove troppe e troppo lunghe esperienze avevano reso l’opinione liberale oltremodo sensibile in materia. Anche qui, è facile scorgere le radici di un gesto del genere nella tendenzz quasi irresistibile dell’uomo a imporre sempre e in ogni circostanza la propria volontà, nella scarsa stima ch’egli faceva degli avversari, nella spregiudicatezza innata e accresciuta proprio in quegli anni dalla sua esperienza di uomo d’affari. Ma il risultato togliendo credito e prestigio al Cavour presso buona parte dello schieramento liberale sarà di ridurne grandemente le possibilità d’azione e l’influenza politica in questi anni decisivi che vanno dal 1846 alla vigilia del 1848-49 con riflessi che non saranno del tutto spenti neanche durante le vicende di quel biennio: e ciò nonostante che le opinioni del conte rimanessero, come egli ripeteva con giustificata convinzione e sicurezza, ”qual furono sempre liberali e progressive” (a Giovanetti, febbraio-marzo 1846)» [114-115].

Petitti a Gioberti, 31 gennaio 1848. Di tutto l’episodio dell’Agraria «Cavour pagò duramente il fio, e Valerio ebbe compiuta vendetta, perocché il primo venne colpito da un assoluto ostracismo ed abbenché sia incontestabilmente il più valente agronomo del nostro paese lo si vide escluso per voto unanime da tutti i comitati dell’Associazione [115 nota].