29 giugno 2010
ARGOMENTI DI: ROSARIO ROMEO, ”CAVOUR E IL SUO TEMPO”, VOLUME II TOMO I, LATERZA, BARI 1977
PRIMO CAPITOLO
PRIMA PARTE: ECONOMIA E SOCIETA’ [per la seconda parte vedi scheda seguente]
Legenda: [] = pagina
«Gravissima carestia del 1816-17» [4]
Regime di depressione nell’«economia europea dal 1817 fino alla vigilia degli anni Quaranta». Fatto 100 il prezzo medio del grano di lire 32,24 nel triennio 1815-17, si dimezza nel decennio successivo e idem gli altri cereali (granturco, segala, riso), e il vino. Tengono l’allevamento e la carne. Concorrenza dei cereali russi del Mar Nero (comincia nel 1809-11), «riapparizione sui mercati europei, dopo la lunga stagione del blocco continentale» imposto da Napoleone «dei prodotti dell’industria inglese, meccanizzatasi alcuni decenni prima dei suoi rivali». Politica deflazionista del Regno Unito, ribassi anche nell’industria. [4-5].
Lenta risalita prezzi nel Regno di Sardegna nel decennio 1828-1837, mentre vino continua a star basso [5]
Ripresa della domanda dovuta anche a espansione demografica. Abitanti del Piemonte nel 1822: 4.140.079. Nel 1848: 4.916.084 (saggio medio di incremento annuo del 6,63 per mille, inferiore però a quello del resto d’Europa) [6].
Si diminuiscono vigneti e si tagliano boschi per recuperarte terreni al «seminativo semplice» in modo da affrontare l’aumento di bocche da sfamare, ciononostante le importazioni «di grano in Terraferma» che nel 1819-24 erano state di 360.847 quintali l’anno, crebbero fino a raggiungere nel 1842-47 la media di 903.361 quintali (aggravio per la bilancia dei pagamenti) [7]
Espansione della produzione in Piemonte, dati (non troppo credibili) relativi a grano, segala e barbariato, foraggi, tutto a discapito della vite in [8-10]
Il barbariato risulta dalla semina di 1/3 di segala e di 2/3 di frumento. Ha un peso specifico lievemente inferiore a quello della segala [XIV]
«E soprattutto appare in tutto il suo rilievo l’importanza della rivoluzione attuatasi nell’agricoltura subalpina con l’introduzione del granturco, che aveva avuto inizio, come sappiamo, già nel XVII secolo, ma era giunta a termine, appunto, tra Settecento e Ottocento, quando essa divenne la coltura più frequentemente associata al grano nella rotazione biennale, contribuendo in modo decisivo alla quasi completa eliminazione del maggese» [10]
«La segala cereale inferiore» [11]
Mancano dati sulla zootecnia, «dall’allevamento del baco e dalla trattura della seta» [12]
«Largo consumo di carbone di legna, tuttora massima fonte di energia disponibile» [13]
«Nel 1835-37 si erano accertate a Leri, Montarucco e Torrone, in sede di inventario, scorte per lire 100.682,15 in bestiame, foraggi, e attrezzi agricoli, oltre a un fondo liquido di lire 60 mila e alle granaglie per la semina e per i consumi interni del fondo. Dodici anni dopo, quella cifra, ferme restando le altre dotazioni, veniva stimata a lire 134.185,68 (+33,28%); e l’incremento era in realtà maggiore, se si tien conto anche del valore di un primo consistente gruppo di moderne macchine e attrezzi agrari «da restituirsi in natura». [15, dove sono elencati anche gli incrementi dei decenni successivi].
I grandi affittuari, tipo Corio. Qualche decennio dopo, «in una memoria dell’Inchiesta Jacini, quando i processi iniziati nel secolo quarto del secolo avevano ormai raggiunto il loro pieno sviluppo»: «Il ceto dei grandi affittuari è formato da gente molto danarosa che, se ama la vita facile ed allegra nell’inverno, lavora però dal sorgere al tramontar del sole nell’estate guadagnando e risparmiando nelle annate buone e quando i contratti sono favorevoli, tanto che non di rado molti di essi diventano proprietari. L’importanza di questa classe di persone si può desumere dal fatto che per la maggior parte i suoi membri sono sindaci e consiglieri comunali dei piccoli paesi, amministratori delle Opere Pie, e quel che è più padroni della massa più considerevole di capitale circolante che esiste in paese» [16]
In [17-19] gli incrementi della rendita fondiaria, che resistette «validamente alla tendenza depressiva dei prezzi correnti anteriori al 1840, e seppe poi profittare in misura più che proporzionale della ripresa del moto ascensionale» [19].
Emina (misura piemontese) = l. 23,054974 [XII]
Sui lavoratori. Di due tipi: salariati fissi e avventizi. Gruppo più numeroso della prima categoria i boari, esemplari per le remunerazioni. «Fra il 1818 e il 1840 il reddito annuo di un boaro nel Vercellese comprendeva di solito 18 emine di segala (kg. 290), 18 di granturco (kg. 302), una di riso (kg. 18), una di ceci (kg. 18), una di fagioli (kg. 18, che a partire dal 1836 diventano due sostitituendo interamente i ceci) e inoltre 90-92 lire in contanti, e una trentina di emine (kg. 500) di granturco di zapperia. Ma nel decennio successivo sembra si possa constatare un sensibile miglioramento. A Leri questa categoria di salariati riceveva allora un grano nella misura di dieci emine l’anno (kg. 177), alle quali si uniscono un 18 emine (kg. 302) di granturco, forse dieci di segala (kg. 160), cinque di riso (kg. 90), una di fagioli (kg. 18), oltre ai consueti proventi della zapperia (kg. 500), e ad una remunerazione in contanti cresciuta a centi lire annue. Va inoltre tenuto presente che a siffatte entrate si aggiungeva, per consuetudine, l’assegnazione di un 600 fascine di legna, il godimento della casa con orto, pollaio e allevamento del maiale, metà dei bozzoli (quasi interamente spariti peraltro in quest’epoca, con l’estensione delle risaie), e il diritto alla spigolatura dopo il raccolto del grano e del riso» [19-20]
1 rubbo (25 libbre) = kg 9,221995
1 libbra (12 once) = kg. 0,368880
1 oncia = kg. 0,030740
[XII]
La nota 43 di [20] cita S. Pugliese. Due secoli di vita agricola. Produzione e valore dei terreni, contratti agrari, salari e prezzi nel Vercellese nei secoli XVIII e XIX, Torino 1908, pagina 249: «Spese di un contadino adulto in lire italiane: Abitazione 45; Illuminazione, olio di noce 1 rubbo (kg. 9,22) 11,60; 600 fascine 28; Rinnovamento mobilio 8,50; hl 5,84 di Granturco 71,72; litri 93 di Riso 22,56; litri 92 di Fagioli 13,52; kg. 16 di Cipolle 17.00; 50 litri di Frumento 10,03; 14,60 chili di Lardo 16,62; 23 chili di companatico, merluzzo 17,50; 10 chili di sale 4,70; 19,30 chili per abiti di lana 43,54; Ferri del mestiere, 9 badili 18; totale lire 283,29. Queste sarebbero le spese indispensabili. Le non indispensabili «includerebbero un ettolitro di vino e venti chili di carne, che in quelle’epoca sappiamo essere eccezionali nella dieta dei rurali della zona» [20]
Salario aumenta nel decennio successivo ma non come la rendita fondiaria. Moneta conta poco, 80 per cento remunerazioni in natura. [21]
Gli avventizi si facevano «pagare per la gran parte in denaro, cedendo agli stessi proprietari o conduttori del fondo la parte del prodotto ad essi toccata per tal via». Richiesta sempre più forte di avventizi «che la nuova agricoltura capitalistica assorbiva soprattutto nella forma di lavoro bracciantile a giornata, più elastica e meglio adatta alle esigenze di razionalità ed economictà del nuovo tipo di agricoltura». Un avventizio nel 1831-40 prendeva 346,57 lire e nel 1841-50 391,68 (in lire 1811-20, rispettivamente: 377,57 e 478,82) [22-23]
« universale, nella letteratura lombarda e piemontese del tempo, e in genere negli osservatori italiani dell’Ottocento, la deplorazione delle misere condizioni delle popolazioni rurali della pianura irrigua, alle quali concorrevano le cattive condizioni igieniche, la brevità della vita media, lo stato miserabile delle abitazioni, piccole, mancanti d’aria, con scarse finestre spesso prive di vetri e pavimenti di terra battuta, che nei mesi invernali facevano da stalla e da abitazione insieme; per non parlare della soggezione spirituale in cui gli abitanti erano tenuti […] ”Quale poi è la sorte degli operai pagati alla giornata, di coloro che appena hanno di che sostentarsi, di che ripararsi dai rigori della stagione invernale? Si esamini attentamente una famiglia di questi individui: si osservi il loro cibo, la loro bevanda; il loro vestiario e le loro suppellettili, la mobiglia e le loro biancherie, le abitazioni mal sane e per lo più nella stessa stanza medesima dei buoi e dei porci. Si consideri la loro ignoranza, il loro idiotismo… […] Nelle risaie la vita degli uomini si miete più abbondante del riso raccolto” e coloro che vi prestano la propria opera appaiono come ”larve o spettri animati da un languido soffio di vita che, sul fior dell’età, sui quarant’anni o poco più hanno di già i piedi nella tomba, ed il velo di morte è già steso sulla loro terrea faccia” (D. Milano, ”Della terra coltivata a mezzadria, in ”Gazzetta dell’Associazione agraria” VI, n. 25, 23 giugno 1848). [24]
Poiché nel Vercellese «la spesa alimentare di un adulto assorbe, a seconda del periodo, dal 35 al 40 per cento» del reddito o dal 45 al 65% a seconda che si sia salariati fissi o avventizi, il ricorso al lavoro femminile e ai figli anche giovanissimi (remunerato assai meno) era inevitabile dovendosi con le entrate rimanenti provvedere all’alloggio, all’illuminazione ecc. La Lomellina e il Novarese ancora peggio (salari pari al 60% di quelli del Vercellese) [25]
Caratteristiche dell’alimentazione in [26-28]. Carne una due volte l’anno. Pianura irrigua sta meglio di altre regioni, «dai dati della leva militare le province di Novara e Vercelli registrano una percentuale di riformati per difetto di statura […] assai minore di quella riscontrata in regioni come la Savoia, la Val d’Aosta e il Cuneese, e anche in parecchie province liguri».
Comizio agrario del Novarese 25 anni dopo l’Unità: «Del vitto non parliamone, non può essere che costantemente a base vegetale, riso, meliga, erbaggi. La carne, un pio desiderio, a meno di quella di rane che, a vero dire, può essere appetitosa, succulenta mai: del resto poi le cure della casa, dei figli non lasciano alla contadina che poco tempo per dedicarsi alla relativa caccia» [27, nota]
Salariato fisso o ”schiavendaio”. [29]
Conseguenze dell’andamento dei prezzi su mezzadri e affittuari, fine Settecento e crisi del 1817 in [28-29]. Ex mezzadri ridotti a schiavendai [30]
Caratteristiche dei contratti a mezzadria, col mezzadro ridotto alla fame in [30-31]
«La schiavenza è l’ultima delle gradazioni per cui vogliono passare i contadini che vengono in minor fortuna. La quale classe è poi la sorgente de’ giornalieri e proletarii, e la primaria nutrice di tutte le classi minime della popolazione ai vagaboni e malviventi» (Martinengo) [31-32]
Si sta peggio con la specializzazione (vedi ciclo del foraggio a Torino) [32]
Tenute mediamente da una trentina di ettari. Capitali, costi e ricavi del mezzadro in [32-33]
Tutte le considerazioni sopra tra [29] e [33] valgono per la pianura (esempio di Saluzzo).
Il 40 per cento della popolazione viveva in collina [34]. Caratteristiche dei poderi e dei contratti in [34-37] «In tal modo il Piemonte acquistava, specie nella collina, quella tipica fisionomia di paese a piccola proprietà che doveva caratterizzarlo nei decenni avvenire» [37] Cioè dalla metà del Settecento in poi l’andamento dei prezzi e la revisione continua del contratti cambia le caratteristiche della proprietà con conseguenze sociali decisive. Lanza nel 1847 relativamente alla «classe già considerevole ed ognor più crescente di piccoli possessori»: «[Essa] si compone del fior fiore dei giornalieri, dei boari, massaj ed artigiani del comune, gente industriosa, attiva e di una rigidissima economia, che appunto mediante queste buone qualità pervenne poco a poco a costruirsi un peculio, con acquistare qualche giornata di terra, [In tal modo] questi nuovi e pacifici invasori delle proprietà campestri conquistano palmo a palmo la terra, che i loro padri lavorarono per lunga serie d’anni in qualità di servi e proletarj [e] sono oramai i concorrenti più temuti dai grandi proprietari e capitalisti…» [37-38].
Dati sulla distribuzione della proprietà che mostrano l’avanzata del nuovo ceto in [38 e seguenti].
Salari e compensi in natura di varie zone in [39-42]. Il contadino guadagna poco e si salva col lavoro di moglie e figli [42].
Alimentazione di una persona di «età e di forza media» con grande tabella di protidi, lipidi, glicidi, calorie in [43] comprendente anche la toma e il vino detto verde.
La montagna occupa metà del Piemonte e due terzi della Liguria, ma è meno abitata. Dati da [44 e seguenti].
In montagna pastorizia, silvicoltura e carbone di legna. Estrema indigenza, segregazione dal resto della società per buona parte dell’anno. Maggior numero di riformati [45-46].
In montagna mangiavano «pane di segala e di orzo, cotto a dicembre per tutto l’anno, polenta, patate, «minestra con poco condimento e spesso senza sale, castagne, latticini di infima qualità e siero di latte che teneva quasi interamente il posto del vino» (Eandi) [46]. Un quinto degli abitanti affetto da cretinismo. Emigrazione verso la Francia o verso la collina o la pianura piemontese, ma bassa a causa della «debole attrazione che tuttora esercitavano i centri urbani della pianura, anch’essi legati, come vedremo, al lento ritmo della vita rurale» [46].
In Piemonte, nei 25 anni precedenti il 1848, il 15-16% della popolazione viveva in città, in Liguria dal 18 al 24 per cento. Anche qui frazionamento delle proprietà, coltivazioni specializzate, l’urbanizzazione tiene i salari alti rispetto al Piemonte. «Nuovi proprietari venuti su nel periodo francese». [47]
Arretratezza della Sardegna, vedi anche Voyage en Sardaigne di Alberto La Marmora (1839) [48-52].
Setificio da [52] in poi. Voce numero 1 nelle esportazioni. Comincia nel XV secolo, sviluppata da Emanuele Filiberto (1562-1630). «Alla metà del secolo successivo risalivano le proibizioni, rinnovate per due secoli, della esportazione dei bozzoli e delle sete gregge, volte a favorire l’industria della torcitura che, con i suoi organzini, dava il maggior contributo ai positivi risultati del commercio estero» [52]
La torcitura è una fase fondamentale della lavorazione della seta poiché l’applicazione della torsione conferisce maggiore coesione e resistenza al filo e impedisce la separazione delle bavelle.
La torcitura consiste nell’imprimere una torsione al filo di seta per ottenere tessuti con caratteristiche diverse. Tale operazione veniva effettuata nei filatoi.
Per questa operazione dal tredicesimo secolo in avanti compaiono i torcitori circolari chiamati anche ”mulini da seta”, secondo il verso di rotazione delle macchine si producono due tipi di filo:
-il filato: torsione a ”z”
-il torto: torsione a ”s”.
In passato la torcitura della seta era effettuata manualmente. Il filo da torcere era avvolto su una rocca, un bastone che reggeva la matassa; se ne svolgeva un tratto alla cui estremità veniva fissato un fuso, cioè un’asta di legno, appesantito da una fusarola.
Con la torcitura si ottengono filati più resistenti per la cucitura, il ricamo, e la tessitura, risulta diffusa dal tardo Medioevo.
A Ginevra, Zurigo e Basilea, tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo vennero prodotti filati di seta ritorti per mezzo di meccanismi azionati dall’uomo o da mulini ad acqua.
Nel diciannovesimo secolo lo stesso procedimento venne utilizzato specialmente per il cotone: l’epoca d’oro della torcitura meccanizzata nelle fabbriche iniziò dopo il 1850, in seguito alla grande domanda di filati per ricamare e cucire da parte dell’industria del ricamo [http://www.icvalledeilaghi.it/allevamenti/baco/seta/torcitura.html]
Organzino Tessuto di seta fabbricato con filato organzino, ossia dalle migliori fibre continue dipanate dal bozzolo e quindi ritorte a due, tre e più capi; l’aspetto è rigido e trasparente [http://www.linasartoria.it/tessuto_sposa_organzino.htm]
Il passo successivo nella produzione della seta consiste nel sottoporre uno o più fili di seta cruda a torsione, per rinforzarli e renderli idonei alla tessitura. Da questa materia prima si possono produrre quattro tipi di filati: l’organzino, il crêpe, il filato ritorto di seta per trama e il ritorto singolo. L’organzino si ottiene tramite una torsione in un senso, seguita da una seconda torsione, compiuta insieme a un altro filo nel senso opposto, a 4 giri per centimetro. Il crêpe è simile all’organzino, ma è sottoposto a una torsione maggiore, normalmente di 16-32 giri per centimetro. Il filato ritorto di seta per trama è ottenuto dalla torsione in un solo senso di uno o più fili di seta cruda, per 8-16 giri al centimetro. Il ritorto singolo è formato da fili di seta cruda sottoposti a torsione in un solo senso, con un numero di torsioni variabile a seconda della qualità di filato desiderata. In generale, l’organzino è utilizzato per l’ordito delle stoffe e il filato ritorto per la trama. Il crêpe è impiegato per la tessitura di stoffe dalla caratteristica crespatura, mentre il ritorto singolo è usato per tessuti sottili e lisci. [http://www.liceoberchet.it/ricerche/4o_04/seta.htm].
Concorrenza con Lione [52]
Allevamento del baco specie a Cuneo, Torino e Lomellina (vicinanza con la Lombardia e Vigevano). Arretratezza nei metodi dell’allevamento: le grandi bigattaie «che venivano diffondendosi in Francia» ottenevano 50 kg di bozzoli per oncia di seme, contro i 40 piemontesi. L’agricoltore ci rimetteva comunque. Cavour: «Non si potrebbe fare una giusta idea senza esserne stato testimonio, di tutte le pene e di tutte le fatiche che sopportano uomini e donne, nelle nostre famiglie dei paesani, negli ultimi tempi dell’educazione dei filugelli; si vedono in piedi, giorno e notte, lavorare senza posa, e sviluppare una energia ed una attività che non si otterrebbe mai da loro se lavorassero alla giornata, qualunque fosse lo stipendio che loro si accordasse» [53].
Dati sulla produzione in [53 e seguenti]. Contrabbando ad Alessandria in [55] Effetti della legge che consentiva le libere esportazioni delle sete gregge in [56]: prima si abbassa la qualità, dopo una decina di anni però dati molto positivi. Tessitura a domicilio, «a Torino i quartieri di Borgo Po, Porta Susa e Porta Nuova erano fittamente abitati dai tessitori» [58].
Sull’industria della lana vedi [60 e seguenti]. Produzione interna assai scarsa (5-20%), «dopo il sostanziale fallimento del tentativo di introdurre in Piemonte l’allevamento dei merinos su larga scala. Verso il 1840 ne sopravvissero solo tre greggi – e tra essi quello di Cavour, già della società pastorale» [60]. Importazioni dall’Europa centrale e orientale, dall’Africa mediterranea, dalla penisola iberica, dagli stati romani e dal Napoletano. Produzione interna non male, nel 1848 copriva più di un terzo della domanda. Fabbriche nel biellese, lavorazione a domicilio e fabbrica disseminata nel cuneese. Difficoltà per discesa dei prezzi anche del 40% [61]. Dati sugli impianti e lo sviluppo in [62]. Industrie a ciclo completo, cioè non specializzate, più forti in Francia e Belgio specializzati [62] Dati sulle importazioni in [62-63].
Cotone importato per tre quarti dagli Usa [63]. Cotonifici a Chieri, Vigevano, Genovesato. La più importante impresa industriale di tutti gli stati sardi era il cotonificio di Annecy, con 900 operai e 420 telai sparsi. Dazio di livelli quasi proibitivi fece conquistare il mercato interno [63]. Variazioni nelle caratteristiche degli impianti da zona a zona (meccanizzazione, lavoro a domicilio ecc.) in [64]. Molto contrabbando [65]
«Assai diffusa era anche la lavorazione della canapa e del lino, e importanti i redditi aggiuntivi, ”piccoli sì, ma sicuri”, che essa diffondeva ”nelle classi più bisognose della popolazione rurale, e particolarmente nella stagione e nelle ore men proprie alla coltivazione delle terre” (Giulio). In ogni casa, o dimora, o villaggio si tessevano questa materie…» [65].
Sull’attività siderurgica (sostanzialmente estrazione di ferro in Val d’Aosta e Savoia) vedi [66 e seguenti]. «Si trattava di un’industria tecnicamente arretrata, fondata nelle zone alpine sui bassi fuochi alle contese e in Liguria ancora ferma a quelli di tipo catalano, nei quali si riduceva direttamente in ferro il minerale, con enormi consumi di combustibile. Non che mancassero forni a pudellaggio, tentativi di utilizzare i gas di recupero e altri metodi di recente introduzione nei paesi siderurgici più progrediti: ma i 51 altiforni esistenti verso il 1840 erano ancora tutti a carbone di legna, i costi di estrazione del minerale, in miniere collocate per gran parte nelle regioni di montagna, considerevolmente elevati, e con il patrimonio forestale in rapida diminuzione si profilava già una crisi del combustibile; e la stessa politica doganale dopo il 1842 veniva orientandosi sempre più nettamente verso l’abbandono del precedente regime di altissime protezioni» [66]
Dati sulla produzione di ghisa, ferro greggio, acciaio [66-67].
«Ancora più arretrata la meccanica, nella quale le lavorazioni artigianali assorbivano presso che l’intera produzione, se si eccettua qualche fabbrica di macchine agrarie, la R. Fabbrica d’armi di Valdocco (Torino), e qualche grossa officina meccanica a Torino o a Sestri Levante. Iniziative sorte in questi anni, come la Taylor e Prandi (1846), la futura Ansaldo, erano ancora in via di realizzazione; e i cantieri genovesi restavano tuttora semplici capannoni attrezzati per i lavori di falegnameria e carpenteria richiesti dalla costruzione di navi in legno» Qualche macchinario tessile [67].
«Non diversa la struttura produttiva (molto artigianato, macchinari importati dall’estero – ndr) che caratterizzava nell’insieme il settore della chimica, per la produzione, essenzialmente, di sapone, candele e materie coloranti, dove la novità di maggior rilievo si registrò nel 1839 con l’introduzione dell’illuminazione a gas a Torino e Chambéry; per non dire delle industrie della carta e cartotecnica (assai importante in Liguria), delle pelli, del legno ecc» [68].
In generale: molto artigianato, macchine importate dall’estero (il tessile all’avanguardia), salari bassi «frenati dalla larga offerta di lavoro contadino, specialmente abbondante nelle classi d’età più giovani, e continuamente accresciuta dalla elevata natalità che caratterizza le società preindustriali». Nei piccoli centri l’operaio integrava col lavoro agricolo, in città no. Operaio adulto in Torino: 1,50 a giornata, donne 0,50, fanciulli 0,40. L’anno: 450, 150 e 120 poco superiori all’agricoltura (dove però c’erano i compensi in natura). Altri raffronti in [69]. Operaio ha a disposizione consumi alimentari peggiori del contadino [69]. Si guadagna di più a Genova [66-67]. Anche a Genova però «scarso margine alla spesa non alimentare», è anzi indispensabile «l’integrazione del reddito del capofamiglia con il lavoro dei familiari, in mancanza del quale il ricorso all’elemosina diventava inevitabile» [70]. Progresso però negli anni Quaranta documentato dalle importazioni del carbon fossile sestuplicato nel 1840 (6000 tonnellate) rispetto alle 1000 del 1819-21.
«Intorno al 1840 negli Stati sabaudi si erano dunque già verificati estesi fenomeni di tipo capitalistico, tanto in agricoltura che nelle attività non agricole, ma non aveva ancora avuto inizio un processo di industrializzazione su vasta scala» [71]. Dati in [71 e seguenti]. Ibidem dati su natalità e mortalità.
Urbanizzazione progressiva [72]. Torino e Genova nel 1848 «raggiungevano rispettivamente i 136 mila e i 100 mila abitanti, superando di gran lunga tutti gli altri centri urbani, nessuno dei quali raggiungeva allora la soglia dei 50 mila abitanti». «Queste due città accolgono una società dai lineamenti ancora per gran parte tradizionali. Anche qui infatti l’opificio e la fabbrica sono tuttora fenomeni di eccezione, su uno sfondo dominato dal piccolo esercizio commerciale, dall’artigianato e dal lavoro a domicilio a servizio del ”fabbricante” o mercante imprenditore, che dalla città si ramifica nelle campagne vicine» [72].
Censimento del 1858: attività non agricole assorbono meno del 34% della popolazione, «assai meno cioè del 42 per cento che in Inghilterra si registrava già sessant’anni prima» [72-73]. Vedi raffronto stati sardi e Inghilterra sulle esportazioni [73].
«Società pre-industriale» [74]. Descrizione del ceto contadino. «Agli occhi del ceto dirigente i contadini apparivano ”involti in una specie di barbara selvatichezza, che non sempre loro permette di scorgere le conseguenze del bene e del male” (Eandi); come segregati, insomma, dalla umanità civile, e forse dalla umanità comune, legati a una vita ”tutta meccanica o al più animale” e perciò ”valutati per il lavoro che fanno e nulla più, quasi che altro non fossero che macchine umane” (Milano, 1848). Nel sesso femminile ”trattato per lo più con la stessa umanità con cui lo trattavano gli abitatori della sponda dell’Orenoco”, le donne erano ”decrepite nel fior dell’età” a causa soprattutto della ”barbarie dei mariti” (Latty, 1837): e comune ai due sessi era ”la scostumatezza e la crapula” (ibid), essendo i braccianti, specie quando abitavano nei centri urbani, ”d’ordinario dati al vino, ed ai bagordi”. Impressioni queste a sostegno delle quali si adduceva l’appartenenza a questi ceti degli autori della ”maggior parte dei furti e delle rapine” (Eandi) e la percentuale elevatissima delle nascite illegittime, che a Torino nel 1828-37 raggiunse il 23,84 per cento, e che appariva chiaro indizio del basso livello di moralità delle classi popolari» [74-75].
Nel 1848 gli analfabeti erano il 69,20% (Sardegna: 93,67). Importanza dei venditori ambulanti «i quali vanno in giro nelle campagne, né vi è notizia consegnata in inscritti, e tale da piacere alla credula plebe, che da essi non si distribuisca a pochissimo costo» (Eandi). «Si trattava naturalmente di notizie di un certo tipo, enormi delitti o vicende comunque atte a colpire l’immaginazione popolare, ché ”in regola ordinaria gli uomini delle campagne e gli artieri non si occupano di affari politici e ne sono quasi al bujo” (Eandi)» [75]. Le comunità contadine, oltre tutto, isolate una dall’altra.
Progresso delle strade. 1840: Torino-Saluzzo in 6-7 ore. Nel 1783: due giorni. Nel 1806: 12 ore. «Le località dotate di servizi postali salivano da 227 nel 1831 a 504 nel 1847» [76]
«Nell’insieme un quadro di miseria contadina non diverso, parrebbe, da quello ben noto che caratterizza le campagne meridionali. E tuttavia sussiste, tra le due situazioni, una evidente differenza, che basta a collocarle in una cornice radicalmente diversa. In coincidenza con le crisi politiche del 1799, del 1848 e del 1860 il Mezzogiorno conobbe infatti gravissimi fenomeni di instabilità sociale nelle campagne, con i grandi moti contadini di quegli anni, le invasioni di terre, la rivendicazione dei terreni demaniali usurpati, il brigantaggio a sfondo sociale; e anche quando fatti del genere non ebbero a verificarsi nelle regioni continentali, come nel 1815, la minaccia di un nuovo Novantanove fu tuttavia presente ai ceti dominanti, mentre nel 1820 la guerra contadina esplose in Sicilia, e nel Mezzogiorno continentale si ebbero agitazioni di portata considerevole e l’inquadramento nella Carboneria, accanto ai borghesi, di elementi assai numerosi di estrazione rurale. Nulla di analogo si riscontra invece negli stati sardi, anche se tracce di rancore antiborghese possono essere individuate nella persecuzione dei giacobini nel 1799 e, fors’anche, ma in modo assai vago, nei moti aostani del 1853. Lo Stato sabaudo appare dunque garantito da una fondamentale stablità sociale che fornirà un avallo di capitale importanza anche per il liberalismo cavouriano, e che costituisce una delle ragioni decisive della finale prevalenza di esso nei confronti del liberalismo meridionale come forza dirigente nella costruzione della nuova Italia» [76-77]
Elementi della stabilità: il contadino che in qualche modo partecipa al successo dell’azienda agricola nella zona irrigua, accesso dei contadini alla proprietà della terra in collina, «sì che in questa regione ogni schema di rivoluzione contadina appariva svuotato dalla già raggiunta frantumazione della proprietà, spesso a livello particellare» [78], Contadini costruiscono Risorgimento, ma sono esclusi dalla direzione. Invece: «Assai più vasta e diretta la partecipazione degli strati popolari cittadini, in una gamma di posizioni che andrà dal lealismo monarchico delle società di mutuo soccorso al mazzinianesimo di certo artigianato, soprattutto a Genova e in Liguria» [79].