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 2010  giugno 27 Domenica calendario

«IO IN UNA FONDAZIONE? QUEL MONDO MI INTERESSA»

In un colloquio con «La Stampa», Giovanni Bazoli ha invitato Torino a guardare avanti, dopo il tormentato accordo tra le fondazioni sulle nomine a Intesa Sanpaolo. Il sindaco Sergio Chiamparino concorda, ma al «Corriere» non nasconde una riserva: «Tutti vogliamo guardare avanti, tanto è vero che non coltiviamo vendette, benché nessuno abbia capito perché la Compagnia di Sanpaolo abbia proposto due candidati per la presidenza gestionale della banca invece di uno. Ma dire, come fa Bazoli, che Torino ha guadagnato con la fusione è troppo. Sarà anche vero, ma il vissuto della città rimane diverso, e questo è un problema».
Quale rapporto, dunque, tra Comune e banca?
«Siamo intermediati dalle fondazioni. Personalità come il governatore Draghi o il banchiere Passera ne riconoscono il grande ruolo ai fini della stabilità. Economisti come Giavazzi, invece, si augurano che escano dalle banche».
Anche Angelo Benessia, presidente della Compagnia, e Andrea Beltratti, da voi mandato in Intesa Sanpaolo, se lo sono augurati…
«Salvo poi cambiare opinione». E lei che ne pensa? «Meglio se le fondazioni conservano le posizioni. Garantiscono non solo gli assetti azionari, ma anche il territorio. E tuttavia le fondazioni non possono essere autoreferenziali». E lo sono? «Il rischio è immanente. Avendo risorse, le fondazioni hanno sempre più influenza. Non usurpano nulla, ma è naturale che si formino gruppi d’interesse che tendono a perpetuarsi».
Allude all’era lunga di Guzzetti?
Abbiamo perso qualcosa nel territorio».
Passera e Profumo, con chi va più d’accordo?
«Ho più familiarità con Profumo, ma il sindaco ragiona sui fatti. Anche quando Crt venne assorbita in Unicredit ci furono tensioni. Certo, meno che per il Sanpaolo che aveva dimensioni
e valenze simboliche maggiori».
La fusione Sanpaolo-Intesa, si disse, scongiurò un’Opa del Santander.
«Non so quanto fossero fondati certi timori. Probabilmente, gli spagnoli avrebbero garantito più visibilità al marchio Sanpaolo, ma riconosco che, essendo Madrid molto più lontana di Milano,
i problemi reali sarebbero stati maggiori».
C’era l’opzione Monte dei Paschi.
«Con il senno di poi, sarebbe stata migliore».
Ma se si trattava del tricolore, non bastava il presidio di Bankitalia, rafforzato da clausole statutarie antiscalata?
«Certo, un conto è crescere perché lo si ritiene utile e un altro conto sarebbe gonfiarsi a scopi difensivi. Di questo passo finiremmo ad avere un’unica banca, grandissima, non scalabile, ma anche inefficiente e anticoncorrenziale».
E’ soddisfatto delle fondazioni nel territorio?
«Interpretano una logica comunitaria che aiuta il paese a stare nella globalizzazione meglio che con il conflitto di classe. Fanno bene per cultura, assistenza e ricerca. Con il private equity non speculativo aiutano il social housing, la valorizzazione del patrimonio demaniale trasferito agli enti locali, la capitalizzazione delle piccole emedie imprese. Ma la nuova sfida sarà l’investimento, a fianco degli enti locali, nelle reti a cominciare dagli acquedotti, reti distinte dalla gestione da mettere in concorrenza».
Signor sindaco, nel 2011 scade il suo mandato. La vedremo alla testa di una delle grandi fondazioni torinesi?
«Il mondo delle fondazioni mi interessa, coltiva con la gente e i territori lo stesso legame di un municipio. Ma non so se ne sarei capace».
«Quando dissi che Guzzetti rappresentava un potere forte non muovevo un’accusa, ma riconoscevo le sue capacità di dialogo equilibrato con il territorio. Se vogliamo, c’era anche un po’ di invidia, pensando alla debolezza dei torinesi».
Cosa decide un Comune e cosa una fondazione?
«Enti locali e società civile, secondo statuto, scelgono i vertici delle fondazioni e questi quelli delle banche».
E allora perché lei si è occupato di presidenze in Intesa Sanpaolo?
«Il sindaco può ben esprimere un’opinione! L’autonomia una fondazione se la conquista con la sua credibilità, non sulla base del silenzio degli stakeholder».
Eppure, curie e università, pur presenti nelle fondazioni, tacciono.
«Il comune è considerato in città l’azionista di riferimento, ma per l’ accumulo di consuetudini, non per statuto».
Lo dica: volete influenzare il credito.
«No. Ma se non desta scandalo il fatto che il sindaco di Torino chieda a Sergio Marchionne di valorizzare gli stabilimenti della Fiat, non capisco perché sorprenda analoga richiesta a una grande banca. Il modello bancario prevalente va bene? Una volta il direttore di filiale ti incontrava sul sagrato o al bar del paese e capiva oltre la contabilità. Oggi c’è troppa burocrazia e troppo centralismo. Sono concetti espressi anche da Draghi. Ma è chiaro che nessun sindaco può surrogare l’analisi bancaria del merito di credito».
In Piemonte avevano sede San Paolo, Crt e Popolare di Novara. Oggi sono tutte confluite altrove. Bene o male?
«Abbiamo guadagnato nuove professionalità. Siamo meno provinciali.
Massimo Mucchetti