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 2010  giugno 28 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Umberto Pastini, Giardini e no. Manuale di sopravvivenza botanica, Bompiani 2010, con disegni di Pierre Le-Tan, pp

Notizie tratte da: Umberto Pastini, Giardini e no. Manuale di sopravvivenza botanica, Bompiani 2010, con disegni di Pierre Le-Tan, pp. 148, 15 euro.

IL GIARDINO DEL COLLEZIONISTA
Se non fosse esistito il collezionismo di piante, non esisterebbe il giardino quale lo intendiamo oggi. Fino alla vigilia della Rivoluzione francese per esempio, la patata era così rara che Luigi XVI se ne appuntava un fiore all’asola della marsina: meno di un secolo più tardi, grazie alla diffusione assicurata dallo scambio tra collezionisti, la facilità di adattamento del tubero e il suo potere nutritivo ne hanno favorito la monocultura in molti paesi europei.

IL GIARDINO PORNO
L’erotismo è un genere rispettabile con origini antiche, e diventa porno quando si tramuta in rappresentazione esplicita e monotona dell’atto sessuale. Qualcuno ha detto che la carne è triste. soprattutto noiosa. Come sono noiosi, ammettiamolo una volta per tutte, gli organi genitali dei vegetali, cioè i fiori. «Vieni prima del tramonto a vedere le Zinnie». Quante volte ho accettato questo invito. Che fossero Zinnie, Dalie o Ibischi c’era di tutto: mille fellatio e duemila cunnilinguis, tremila sodomizzazioni e ottomila posizioni del missionario. Un’ininterrotta orgia sempre uguale a se stessa, niente di sensuale. La scena aveva la conclamata monotonia di un quadro vivente hard-core, dal quale l’occhio rifuggiva in cerca di quella quiete in cui solo può fiorire l’eros. Credo che tra le virtù di ogni bel giardino ci sia quella di stimolare la sensualità di chi lo osserva o vi passeggia: gli antichi elisabettiani, nei giardini considerati realizzazioni del paradiso terrestre, piantavano il Timo nei vialetti e nelle rotonde, affinché dame e cavalieri, calpestandolo coi pesanti tacchi di legno alla moda, ne facessero sprigionare l’aroma. L’orgia del giardino porno rivela una frustrazione dolorosa sepolta nei nostri esteti putibondi, nelle nostre giardiniere-suorine.

IL GIARDINO DELLA SIGNORA
Il giardino in questione può essere anche il giardino di un uomo, scapolo o padre di famiglia. Questa categoria di giardinieri è contraddistinta da un’inventiva asfittica e meccanica, che si sfoga in "trovatine" e "idee originali" immancabilmente caratterizzate da una notevole dose di "signorilità". Il giardino della signora è apparentemente gremito di idee. Eppure questo giardino, ossessionato dall’originalità, tradisce il conformismo di chi lo coltiva. Accoglie solo Rose moderne e rifiorenti, prive di profumo purché dotate di colori insoliti e stridenti, e di nomi che fanno rabbrividire (come la Gina Lollobrigida, la Hollywood Star, la Fashonette, la Happiness). Il giardino della signora, così laccato, così leccato, è frutto di un lavoro sadico della terra, che non conosce riposo. Per ottenere in barba a clima e qualità del terreno dei risultati, la signora o il signore devono avere qualche dote. Sono abbonati a diverse riviste, possiedono una biblioteca di libri dedicati ai giardini, consacrano al giardinaggio la maggior parte del loro tempo libero. Ma invece di ascoltare il loro giardino gli impongono la propria voce.

IL GIARDINO DEL MILIARDARIO
Storicamente i giardini sono stati creati per il diletto dei ricchi. Con l’eccezione dei giardini di erbe medicinali annessi ai monasteri. Quello del miliardario contemporaneo è un esempio di non-giardino perché molto spesso chi lo possiede non ha un briciolo di passione. I nuovi ricchi, invece di essere felici delle loro origini, se ne vergognano atrocemente, come di una colpa. Negli ultimi anni, insieme allo yoga e alla meditazione, a sport sempre più pericolosi e elettrodomestici sempre più sofisticati, si è andata diffondendo tra i ricchi la moda del giardinaggio. Al miliardario di oggi del suo roseto non potrebbe importargliene meno. E se dopo pranzo lo mostra agli ospiti, convenuti nella sua villa per ingannare il tempo prima della partita di calcio trasmessa dalla tv che gli appartiene, è con distacco, come a dire: «Ecco. Io che ho tutto possiedo anche questa stronzata di roseto». L’attuale cultura della giovinezza è inconciliabile con il giardinaggio. In giardino, la dote forse più importante è la pazienza, poiché la condizione in cui ci si trova sempre è l’attesa. Diventi giardiniere quando, con le ossa rotte dalla fatica, scopri il piacere di aspettare. Per fortuna il miliardario e la miliardaria si possono rivolgere a un professionista. Lo si riconosce dal fatto che la professione che esercita non la si dice in italiano, bensì in inglese o in francese: un parrucchiere non è un professionista, un hair-stylist si. Un truccatore, un arredatore e un giardiniere diventano professionisti solo a patto di chiamarsi make-up artist, interior-decorator e garden-designer. Moderno o antico, classico o giapponesizzante, alla francese o informale, il giardino miliardario mette rigorosamente al bando tutte le piante che possono evocare la gente comune. non vedrai mai un Fiordaliso, un Garofano, una Dalia, un Girasole.

IL GIARDINO DI DESIGN
 fatto dal professionista per se stesso, per un suo amico che gli dà carta bianca, o per un cliente troppo in soggezione per imporre i suoi desideri. di gusto, coerente, sorprendente. Le idee che ispirano il giardino di design si chiamano statements. Deve essere facilmente leggibile e veicolare un messaggio forte, stupire a tutti i costi. Ogni giardiniere ha una relazione con la terra e secondo il designer si può ricorrere al buon gusto quando si ha a che fare con lei. Ma è il meno giardiniere tra i non giardinieri, non intuisce neppure che le piante sono vive, lo scandalo della vita vegetale gli è precluso. Tra i designer contemporanei è di gran moda il il giardino bianco. Il primo della storia fu quello di Vita Sackville-West a Sissinghurst negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. La Sackville decise di consacrare un piccolo spazio della sua proprietà a piante dalla fioritura bianca. Ma lo spazio aveva un senso proprio perché circondato da un giardino ricco come pochi altri di specie e di colori.

IL GIARDINO MORESCO
In pochi giardini l’uomo è riuscito a solleticare contemporaneamente, e con tale intensità, la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto. Pochi luoghi creati dall’uomo riescono a esprimere nello stesso tempo, e così compiutamente, un’idea di quiete e di sfarzo, di sacro e di piacere, di formalismo e naturalezza. Ora il giardino moresco occidentalizzato, con la sua esuberanza cacofonica di piante di terre lontane, i prati da golf, le piastrelle da albergo, è diventato uno degli archetipi del gusto contemporaneo – uno dei giochi del colossale luna-park per bambinoni in cui si è trasformato il mondo del tempo libero nella nostra epoca fondata sul consumo.

IL GIARDINO DEL BENZINAIO
Il giardino del benzinaio è il mio preferito. Non è un giardino nel vero senso del termine – per dimensioni, per funzione, per intenti. Eppure, è l’unico esempio di spazio verde considerato fin qui in cui l’intelligenza e la cura dell’uomo riescono a adeguarsi a un contesto ostile e trarne risultati impensabili. Ciò che intenerisce in queste aiuolette è che l’amore di chi le ha piantate, di chi ogni tanto le innaffia e smuove la terra, si è concentrato proprio in luoghi di passaggio quasi sempre brutti, infelici, accanto a bidoni delle immondizie e entrate di latrine. C’è qualcosa di eroico nella moglie del benzinaio che la sera, chiusa la cassa, messi a tavola marito e figli, esce e attacca la canna con cui disseta le sue Iris: è il bisogno di compiere quel gesto eroico, più forte della stanchezza e del richiamo sguaiato della televisione attraverso la finestra aperta.

L’ORTO URBANO
Analoghe fantasie trasportano davanti a certi casolari, o dietro casermoni popolari dove un pensionato strappa alla polvere e all’immondizia un orticello – e non c’è orticello che non abbia i suoi fiori. Questi giardinetti, eredi degli orti urbani che a partire dall’alto Medioevo consentirono alle città di sopravvivere, parlano le lingue del grande giardinaggio. Rivelano il bisogno che l’uomo ha di smuovere la terra e gran parte dell’infelicità delle persone deriva dall’aver reciso le radici che affondano in essa.

LA ROTONDA
Favorita da una nuova politica urbanistica dell’Unione europea, che ha erogato negli ultimi anni fondi continui per sostituire più semafori possibili, la rotonda, o rondò, è il marchio della periferia perpetua che è diventata la nostra campagna. Si tratta di un’aiuola di rappresentanza: sindaci, architetti, paesaggisti, in combutta con vivaisti desiderosi di pubblicità, vi concentrano più bizzarrie possibili, con l’intento di dimostrare a tutti i viaggiatori quanto spregiudicata e moderna e audace e ”colta” sia la città che il rondò annuncia o saluta.

IL GIARDINO PUBBLICO
Anche la città-negozio, la città-ipermercato, ha i suoi giardini. Che si chiamano ”spazi verdi”. Luoghi senza dimensione, ridotti alla cornice disastrata di vialetti disseminati di brutte panchine sulle quali, solo, è lecito sostare. Negli altri paesi europei le cose non vanno così. Lasciando stare l’Inghilterra, dove il giardinaggio è da secoli una passione nazionale e i giardini pubblici sono piantati, curati e vissuti con la stessa intelligenza e lo stesso amore di quelli privati. Ma in Germania, in Danimarca, in Francia, in Spagna, le aiuolette municipali si sono trasformate in composizione di verde armoniose e piene di fantasia. Il giardino pubblico richiede molte cure, senso civico e cittadini che abbiano fatto proprio il concetto di bene comune.

FARE L’AMORE IN UN PARCO
Il sesso nel verde, la camporella, "quella cosa in Lombardia" cantata struggentemente da Laura Betti negli anni Sessanta, sono stati proibiti. Nessuno sembra essersene reso conto. I cittadini hanno perduto la più sensuale possibilità di contatto e di unione con le loro città, ma non si sono ribellati. Ragazzie e ragazze, invece di carezzarsi sull’erba, si accontentano di chattare al computer. Certo, era pericoloso. Eppure nei giardini pubblici diventati spazi verdi vengono estirpati e distrutti tutti i cespugli e i muretti, tutti i fitti e i chioschi, tutti i luoghi in cui ci si potrebbe nascondere (per fare l’amore o aggredire chi passa). Ma nascondersi è uno dei piaceri più grandi di chi si trova in un giardino. Nascondersi agli altri e riprovare quell’eccitazione antica: nessuno mi vede, sono libero, posso fare quello che voglio e non fare un bel niente. Guardare le stelle e le chiome degli alberi mentre là fuori le auto sfrecciano, si chiude il bar, si spegne la luce di quella finestra al sesto piano. Sarebbe auspicabile che l’energia che le autorità investono per impedire l’amore nei giardini e nei parchi venga spesa per piantarli e curarli.

QUALCHE CONSIGLIO
Essere giardiniere significa tentare, sbagliare, incaponirsi, provare grandi delusioni e piccole soddisfazioni che incoraggiano a sbagliare di nuovo. Ma soprattutto arrendersi fino al punto di dimenticare se stessi. Obbedire al suolo, alla sua qualità, alla sua esposizione a l sole, alla qualità dell’acqua disponibile, aprire le orecchie, annusare, identificare il ritmo segreto del luogo. I grandi giardini nascono da un ascolto attentissimo della voce della natura, e sono frutto di un’umile obbedienza ai desideri del genius loci. Si potrebbe leggere qualche classico del giardinaggio, ma parlano una lingua d’altri tempi. L’unico consiglio è: rifletti molto bene prima di eliminare qualsiasi forma di vita vegetale dal luogo in cui ti accingi a piantare il giardino. Molto spesso ciò che vorresti eliminare dovrebbe esser un punto di partenza. Se quelle piante si trovano lì, non è un caso. In natura il caso non esiste. Quando ti sembrerà di conoscere a fondo il tuo terreno, inizia. Pianta ciò che ti piace veramente. Il disegno d’insieme verrà da solo, quando conoscerai ogni angolo, ogni profumo, ogni gioco di luce. Il tuo giardino metterà in luce scambi millenari tra le forze di cui i vegetali non sono che uno degli elementi: sarà come fosse lì da sempre. E non sarà più un giardino, bensì un luogo necessario. Il tuo giardino non è il risultato del tuo farlo. Il tuo giardino sei tu.