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 2010  giugno 27 Domenica calendario

E’ IL SECOLO DEI VOYEUR

Una mano che si protende verso l’obiettivo per oscurarlo; dietro, seminascosta dal gesto, Greta Garbo. Siamo in un club di St. Germain negli Anni 50. Lo scatto rubato è l’immagine con cui si presenta la mostra aperta alla Tate Modern, intitolata «Exposed. Voyeurism, surveillance and the camera» e curata da Sandra S. Phillips. Una esposizione fotografica quanto mai attuale, dato l’argomento, che vuole farci riflettere sull’esporre, sul mettere in mostra, e insieme, come sottintende il verbo inglese, anche la sua capacità di smascherare, di far vedere davvero, capacità che sembra possedere la macchina fotografica.
La prima sezione, «The Unseen Photographer», è dedicata allo sguardo non visto del fotografo che scatta la sua istantanea, come Walker Evans negli Anni 30 nella metropolitana di New York, di nascosto per cogliere ritratti dal vero, fuori da ogni posa, ritratti di gente qualunque. I protagonisti di queste immagini sono persone qualsiasi, i poveri, i derelitti, i barboni, ma anche operai e impiegati; dalla crisi del 1929 ai rampanti Anni 80, è un unico ritratto di umanità dolente e derelitta, inquieta e insieme svagata.
Subito dopo nelle sale dello straordinario museo inglese si passa allo sguardo indiscreto del voyeur: sesso e desiderio. Da Bellocq, il fotografo di fronte al quale posavano senza vergogna o provocazione le prostitute di New Orleans (come ci ha raccontato Susan Sontag in un bellissimo testo), fotografo di nudi prima della pornografia, ai celebri scatti di Weegee e di Brassai, ma anche di Mapplethorpe: Man in Polyster Suit, l’uomo di colore elegante e senza volto, con la patta aperta e il pene fuori. Il punto culminante di questa sezione, molto british, controllata, eppure esplicita, è la stanza dove sono proiettati in serie gli scatti di Nan Goldin, The Ballad of Sexual Dependency (1979-96), vero apice della osservazione dell’umanità alla deriva del XX secolo, uno spettacolo in cui tutti, chi più chi meno, possono riconoscere qualcosa di sé.
Naturalmente non poteva mancare la parte dedicata al fotogiornalismo, nel suo duplice e simmetrico aspetto: le foto rubate, da paparazzi, ai divi (cinema e politica), e quelle che raffigurano scene di violenza, guerra o sterminio urbano. L’assoluta mancanza di pudore e vergogna segna questa parte della mostra che ci aiuta a osservare con attenzione quello che cade sotto i nostri sguardi ogni giorno, e che probabilmente non guardiamo neppure più, per via della nostra assuefazione. Raccolte in eleganti cornici e supporti, affisse alla pareti di questa galleria di fama, le istantanee di morte - suicidi, omicidi, violenze - rivelano di nuovo la loro forza dirompente, e in alcuni casi viene davvero voglia di girare lo sguardo altrove, di passare oltre. Ma insieme a questa repulsa s’insinua una sottile forma di voyeurismo, che mescola insieme sesso e orrore, attrazione e rifiuto, quella forma di curiosità morbosa che è senza dubbio eccitante, e che ci spinge anche a spiare gli altri e, da qualche tempo, grazie al computer e a Internet, persino noi stessi.
In effetti, la parte più interessante dell’esposizione è quella intitolata «Surveillance», che spazia dalle foto aeree di zone calde del mondo, a quelle delle telecamere installate ovunque (Londra, come Milano e Roma, ne è piena), anche se la mostra appare «storica» per via dell’assenza del nostro mondo attuale, di Internet, di Facebook e di Skype, ovvero dell’esporre e insieme del sorvegliare, proprio del mondo virtuale. Guardare ossessivamente, e sorvegliare in modo altrettanto ossessivo, è il vero paradigma contemporaneo. Come ci ricorda Richard B. Woodward nel suo testo, Dare to be famous, il fenomeno delle telecamere di strada sarebbe esploso dopo l’attentato di Oklahoma City del 1995. Da allora la nostra privacy è fortemente diminuita, insieme alla esigenza di mostrarsi, di farsi ritrarre ed esporsi nei social network, una passione comune anticipata dalle immagini di Cindy Sherman che negli Anni 80 si fotografava nei panni di una sconosciuta divetta in fuga davanti a inesistenti fotografi, o si esibiva di fronte allo specchio-macchina fotografica, debitamente travestita, di volta in volta, da personaggio: Narciso al femminile.
Mostrarsi e nascondersi sono due facce della medesima medaglia, come documenta «Exposed». Nel catalogo sono raccontate anche le vicende dei paparazzi romani, di Tazio Secchiaroli in particolare, ma pure i pedinamenti di artisti come Vito Acconci e Sophie Calle. Vi appare in questo modo un mondo complesso e sfaccettato che le nuove leggi sulla «discrezione giornalistica», sulla privacy, ancora in discussione nel nostro Parlamento, ridurranno con ogni probabilità a un mondo monologante dove le persone «qualunque» continueranno ad essere fotografate e spiate in incognito, mentre i «divini» no. Loro ci guarderanno di nascosto. Il Potere è sempre più voyeuristico, ma a senso unico.