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 2010  giugno 27 Domenica calendario

DONNE E UOMINI SI NASCE?

Su «Nature» del 10 giugno è uscita una rassegna dei pregiudizi di genere ( gender bias) nella ricerca biomedica. Le donne sono sottorappresentate negli esperimenti clinici, in quelli per i farmaci sono il 24% dei partecipanti, la loro presenza è precisata solo nel 13% delle pubblicazioni e mancano dati sugli eventuali rischi dei farmaci in caso di gravidanza. Per di più, in duemila esperimenti svolti sui ratti nel 2009, i maschi prevalevano sulle femmine 5,5 a 1 in neuroscienze, 5 a 1 in farmacologia e 3,7 a 1 in fisiologia. La disparità non è dovuta a un tasso di mortalità maschile da tre cinque volte superiore a quello femminile, i lettori maschi si tranquillizzino. Si fonda, per esempio, su una ricerca del 1923 secondo la quale i cicli ormonali legati alla riproduzione rendono le ratte dei modelli inadeguati, come se le mammifere umane non avessero cicli analoghi.
La frustrazione espressa dai ricercatori e dalle ricercatrici intervenute su «Nature» si ritrova nel Fattore X , (Castelvecchi editore, 15,00) di due giornaliste romane, Letizia Gabaglio ed Elisa Manacorda. Ha per sottotitolo «il primo libro sulla medicina di genere scritto dalle donne e pensato per le donne», ma non può essere vero. Nel secolo scorso ne sono stati pubblicati molti, e dagli anni Settanta Noi e il nostro corpo
del collettivo delle Boston Women (Feltrinelli) resta un best-seller mondiale e il gold standard in materia. Il fattore X
non tenta di imitarlo, vuol essere una guida agile alle differenze più frequentemente trascurate dai medici di ambo i sessi e dei quali tiene invece conto l’incipiente medicina di genere. Invece di partire dalla nascita come le Boston Women, le autrici partono dalla testa e dalla psichiatria, per passare ai problemi cardiaci, polmonari, digestivi, alla percezione del dolore e alla farmacologia.
Non sappiamo se Raffaella Rumiati tenga Noi e il nostro corpo sul comodino, ma nel saggio Donne e uomini. Si nasce o si diventa? parte addirittura dal concepimento. Alla domanda del titolo risponde con due sì, temperati dalla notevole varietà individuale nella gamma che va dal marcantonio peloso alla fanciulla glabra che gli si rifugia tra le braccia. Fa ricerca in neuroscienze cognitive alla Sissa di Trieste, e dopo un’introduzione sul sesso biologico, a volte sorprendentemente difficile da determinare alla nascita, e sullo sviluppo cerebrale, si occupa delle differenze vere e presunte nei comportamenti e nelle facoltà mentali. Il leitmotiv è che gli esperimenti ben progettati – rari, ma ci sono – rimettono in discussione gli stereotipi.
Le donne sono meno capaci di ruotare mentalmente nello spazio forme astratte? Sì, ma non è un difetto congenito, si corregge con un breve allenamento al computer. In matematica, in fisica e nelle scienze in generale, la superiorità maschile è indiscutibile? In realtà, le competenze misurate disegnano una curva a campana e gli uomini prevalgono giù a destra, dove si trova il genio. Nei paesi scandinavi come negli Stati Uniti, le ragazze formate in classi separate ottengono punteggi migliori dei ragazzi nei test internazionali, e sebbene concorsi e premi siano ancora vinti dagli studenti, il divario si sta chiudendo.
Neanche per sogno, scrive John Tierney che il 7 e il 14 giugno, sul «New York Times», riprende l’idea che all’economista Lawrence Summers era costata la presidenza di Harvard: «Un fisico assunto da un’università prestigiosa deve avere caratteristiche che si trovano in una persona su 10mila, nello 0,01% in fondo alla coda lunga, dove ci sono solo uomini». E proprio la ricerca citata in Donne e uomini sulla chiusura del divario è smentita da una di Jonathan Wai e altri ricercatori del Talent Identification Program all’università Duke, anticipata online dalla rivista «Intelligence». Allora hanno ragione Summers e Tierney?
In parte. Nel 5% che eccelle nei test di matematica e di scienza degli ultimi trent’anni, Wai e i suoi colleghi hanno trovato da 3,8 a 2,6 uomini per ogni donna e pochi progressi. Però come gli esperimenti clinici, i test sono pensati da e per gli uomini e rivelano poco della creatività e del non conformismo necessari per eccellere in fisica. O in altra materia, come si vedrà dalle ricercatrici presenti all’Esof di Torino.Comunque«è probabile che fattori non cognitivi abbiano un ruolo importante nell’influenzare il perseguimento di una carriera scientifica », conclude l’articolo su «Intelligence», a proposito dei segnali dissuasivi che la società rivolge alle donne. (Un esempio a caso: se a Harvard si assumono 50 fisici per 1 fisica). Queste considerazioni sono sfuggite a Tierney, il quale dimostra così la tesi che corre discreta fra le righe di Raffaella Rumiati e non riguarda solo le differenze tra i sessi. La ricerca scientifica è invocata in pubblico quando fa comodo, e ignorata se contraddice interessi, convinzioni o pregiudizi.