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 2010  giugno 27 Domenica calendario

LA GAFFE CHE SERVIR ALLA STORIA

In francese gaffe indica un’azione incauta che pone, chi la commette, in una situazione socialmente spiacevole. Il mio amico editorialista Michael Kinsley ha inventato una nuova categoria: la gaffe washingtoniana. Secondo lui, a Washington s’incorre in una gaffe quando qualche potente si distrae e dice la verità in pubblico; verità che di solito non si dice perché potrebbe danneggiare la propria carriera. Ovviamente, questo succede ovunque. C’è stato più di un politico che ha rovinato la propria carriera dichiarando inavvertitamente il suo vero pensiero in pubblico.
Questo è appena successo al generale Stanley McChrystal, il comandante in capo delle truppe statunitensi e delle forze Nato schierate in Afghanistan. McChrystal ha rivelato un’estrema capacità in tal senso, al punto che merita di creare una categoria propria: la gaffe afghana.
Com’è risaputo, il generale ha invitato un giornalista della rivista Rolling Stone a trascorrere alcune settimane con lui e i principali ufficiali della sua squadra (sì, Rolling Stone, la rivista dalla copertina con Lady Gaga in bikini e mitragliatrice). Il giornalista Michael Hastings l’ha accompagnato in visita alle zone di combattimento, ha partecipato alle riunioni di comando delle operazioni e ha perfino condiviso un viaggio a Parigi. In quel contesto, il generale ha spiegato chiaramente ai più vicini collaboratori il suo pensiero riguardo al ministro francese con cui si accingeva a riunirsi («...preferirei ricevere pedate nel sedere in una stanza piena di gente piuttosto che partecipare a questa cena»).
Tuttavia lo sdegno del generale non è rivolto solo ai francesi. Cosa pensa del suo comandante-capo? Barack Obama appariva «a disagio e intimidito dai generali» quando si è riunito con gli alti ranghi militari all’inizio del suo mandato. Il vicepresidente Joe Biden: chi è costui?, chiede McChrystal tra le risate. E Richard Holbrooke, l’inviato speciale per l’Afghanistan e il Pakistan la cui arroganza e stupidità sono ormai leggendarie? «Il capo dice che è come un animale ferito», afferma uno degli assistenti di McChrystal. «Le voci che parlano di un suo possibile licenziamento lo rendono molto pericoloso - spiega - Ma non verrà rimosso perché la Casa Bianca teme di più un eventuale libro in cui Holbrooke racconti tutte le vicende piuttosto che i suoi continui scivoloni».
Insomma, la squadra di McChrystal («...una compagine selezionata in forma mirata, fatta di sicari, spie, geni, patrioti, politici e maniaci») non si risparmia in quanto alla sua brutale franchezza con il giornalista.
Il capo del consiglio per la Sicurezza nazionale, generale Jim Jones? «Un pagliaccio ». I senatori John Kerry e John McCain? «Arrivano, s’incontrano con Karzai, fanno una dichiarazione in aeroporto e ritornano immediatamente per partecipare ai programmi in televisione».
Queste dichiarazioni passeranno alla storia. Non per la gaffe compiuta, ma come l’esempio estremo di decisioni che rappresentano un suicidio professionale. Quando il capo di stato maggiore americano, l’ammiraglio Mike McMullen, ha letto l’articolo, si è sentito mancare. Ha dichiarato al Washington Post: «Quando ho letto l’articolo, letteralmente, mi sono sentito male fisicamente.
Non riuscivo a credere a ciò che leggevo».
McChrystal non solo ha perso l’incarico ma ha rovinato la sua carriera. molto probabile che neppure lo stesso McChrystal riesca ancora a comprendere esattamente le ragioni per cui uscire a far baldoria e spifferare ogni tipod’indiscrezione a un reporter del magazine Rolling Stone non sia stata una buona idea. Arriverà una valanga di speculazioni sui condizionamenti psicologici del suo comportamento.
Però, andando oltre il rumore e il sensazionalismo, il reportage focalizza l’interesse dell’opinione pubblica su due importanti verità. La prima: nonostante gli statunitensi si lamentino della mancanza di funzionalità del governo di Hamid Karzai e dei suoi effetti debilitanti sulla guerra, non è meno vero che, per quanto riguarda l’Afghanistan, il comportamento di Washington è tanto anomalo quanto quello di Kabul. Le divisioni, i litigi, le discrepanze e le ostilità tra i membri dello staff militare e civile a carico della guerra sono conosciuti e, sotto molti aspetti, McChrystal è una delle vittime di queste divisioni.
La seconda: a Washington le divisioni non sono solo il frutto di rivalità e di invidie personali. C’è una grande confusione su quale sia la missione (lotta contro gli insorti o contro i terroristi?), la strategia (pacificare il nemico con denaro o annientarlo con le pallottole?), il nemico (al-Qaeda o i talebani?), gli alleati (Karzai o il Pakistan?) e soprattutto: quanto tempo, vite e danaro gli Stati Uniti e i propri alleati sono disposti a investire in questa spedizione?
La consolazione per McChrystal è che forse questo suo suicidio professionale può costringere Obama a rispondere a queste domande. Le risposte interessano a tutti, ovunque ci troviamo.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi) • IL DIBATTITO DOPO KISSINGER - SAR UN NUOVO VIETNAM? Sul Sole 24 Ore di ieri, Henry Kissinger ha paventato l’ombra del Vietnam sul futuro della guerra in Afghanistan: il paese, ha scritto, «non è mai stato pacificato dalle forze straniere» e per le forze americane ci sono «margini molto ristretti». S, UNA DELLE TRE PROSPETTIVE Generale Fabio Mini Già comandante di Kfor • Quella del Vietnam è una delle prospettive più concrete, assieme ad altre due: 1) con una forza internazionale ridotta ritornerà la guerra civile (se non ci fossero gli americani, già oggi polizia e esercito afghani non si muoverebbero di tre passi); 2) con un disimpegno più consistente, la prospettiva sarebbe il ritorno dei talebani. NUOVE STRATEGIE O EFFETTO-SAIGON Lucio Caracciolo Direttore Limes • Non è ancora un altro Vietnam ma potrebbe diventarlo se Obama non cambierà la sua strategia. L’unica strategia vincente oggi in Afghanistan, dal punto di vista americano, è quella di avviare subito il ritiro. Tutte le altre strategie, a cominciare da quella di un nuovo «surge» , finirebbero con un’evacuazione invece che con un ritiro. NO, MA I TEMPI LUNGHI NON AIUTANO Stefano Silvestri Presidente Istituto affari internazionali • La situazione è completamente diversa, quindi non parlerei di Vietnam. Però certamente il tipo di strategia condotta fino ad adesso non può riuscire senza tempi molto lunghi e questo non sembra essere nel carattere della democrazia e degli equilibri politici americani. Questo, effettivamente, potrebbe dover portare a un ripensamento.