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 2010  giugno 28 Lunedì calendario

INPS. I CONTI SEGRETI CATEGORIA PER CATEGORIA [+

box su invalidità e sussidi] -

La recessione morde l’Inps. Nei giorni scorsi, sul Corriere, abbiamo dato conto del bilancio consolidato. La gestione ordinaria 2009, nel suo complesso, chiude in negativo per 1,2 miliardi e il risultato finale torna in positivo per 3,3 miliardi solo in virtù della revisione dei residui attivi e passivi. Ma in quali settori morde la recessione? E come, e quanto? Per rispondere CorrierEcono

mia ha preso in esame il rendiconto delle principali gestioni dell’Inps. A cominciare dal grande fondo dei lavoratori dipendenti, il cuore dell’Istituto. L’anno scorso questo fondo ha pagato 9,8 milioni di pensioni potendo contare su 12,7 milioni di lavoratori attivi. Benché la crisi abbia tagliato 170 mila contribuenti, il rapporto resta di 1,29 lavoratori attivi per ogni pensionato: un rapporto basso, ma leggermente migliore di quello del 2004, quando era di 1,20.

Pesano i fondi speciali

Nel 2009, l’importo erogato arriva a 102 miliardi ed è finanziato per 85,8 miliardi dalla contribuzione di imprese e lavoratori, per 8,4 miliardi dai trasferimenti dello Stato e per 6,6 miliardi dai trasferimenti da altre gestioni dello stesso Inps, in particolare dalla gestione delle cosiddette prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti. A quest’ultima gestione affluiscono i contributi di imprese e lavoratori dedicati alla cassa integrazione ordinaria e ai contributi figurativi di chi è sospeso dal lavoro e dunque dal salario. Fino al 2008, il risultato di questa particolare gestione era attivo per 5-6 miliardi. Nel 2009, si è ridotto a quasi nulla: in sostanziale costanza di contributi, la cassa integrazione è quadruplicata e le indennità di licenziamento sono aumentate del 40%.

Il risultato operativo del fondo pensioni dei dipendenti cala da 2,9 a 1,3 miliardi, ma il risultato finale migliora da 2,5 a 4,6 miliardi per effetto delle operazioni straordinarie richiamate all’inizio.

Il grande fondo comprende anche, con contabilità separate, i vecchi fondi degli addetti al trasporto pubblico locale, delle aziende telefoniche ed elettriche e dai dirigenti del settore privato, che vi hanno conferito attività e passività per evitare il rischio di insolvenza. I nuovi dirigenti, elettrici, telefonici e così via versano direttamente al grande fondo e riceveranno trattamenti pensionistici proporzionalmente inferiori ai vecchi. Ebbene, senza l’eredità di queste categorie protette, il grande fondo avrebbe un saldo attivo per oltre 10 miliardi. E tanto basti a considerare con prudenza tutti i riformismi sulle pensioni, basati su conti superficiali e generalisti.

Dal punto di vista patrimoniale, il fondo mostra un saldo negativo, ancorché in diminuzione, per ben 118,8 miliardi. Ma il dato va visto in correlazione con il fondo per le prestazioni temporanee che, invece, mostra un patrimonio netto positivo, e in crescita, per 176,3 miliardi.

Parasubordinati in attivo

L’altro dato che continua a fare impressione è il saldo dei parasubordinati, positivo per 7,7 miliardi. Nonostante la recessione abbia fatto le sue vittime (gli iscritti al fondo sono 1,7 milioni, 91 mila in meno rispetto al 2008), il gettito contributivo è rimasto pressoché invariato grazie all’adeguamento al 25,72% dell’aliquota per quanti non hanno altra copertura previdenziale. L’utile è dovuto al fatto che le pensioni effettive oggi sono poche, 208 mila, e basse, 295 milioni è l’erogazione complessiva.

Autonomi in rosso

Più articolata è la situazione dei tre fondi in cospicua perdita: coltivatori diretti, mezzadri e coloni; artigiani e, meno, commercianti. Qui s’intrecciano vecchie e nuove pratiche clientelari con le trasformazioni dell’economia, che hanno mutato radicalmente il profilo dei questi tre settori. Le pensioni del settore agricolo, per esempio, sono oltre un milione e, sia pure di poco, il loro numero aumenta. I contribuenti di oggi sono 477 mila e diminuiscono ogni anno. L’importo medio di queste pensioni è tra i più bassi. L’aliquota contributiva pure. A favore dello sconto militano ragioni buone (sostenere indirettamente il reddito dell’agricoltura in zone svantaggiate) e meno buone (estendere l’aiuto anche altrove pur di guadagnare voti). Per pareggiare le uscite con le entrate bisognerebbe moltiplicare di parecchie volte l’aliquota a carico dei pochi che ancora lavorano in campagna. Ma sarebbe come togliere il dentifricio dallo spazzolino e cercare di rimetterlo nel tubetto.

Diminuiscono, sia pure solo di 12 mila unità, gli artigiani contribuenti e aumentano di 27 mila le pensioni. Più tonici i commercianti: 2 milioni di iscritti al fondo contribuenti e 1,3 milioni di pensioni erogate. Interessante, infine, è il rapporto tra contribuzione e prestazioni nell’anno: 0,89% per i dipendenti; 0,76% per gli artigiani, 1,03% per i commercianti e 0,29% per l’agricoltura.

Ma, poiché l’Inps è un corpo unico, alla fine contano i dati complessivi e l’effetto che le riforme fin qui fatte hanno determinato. Secondo la relazione del presidente, Antonio Mastrapasqua, la pensione media cresce del 3,8% nel grande comparto vecchiaia-anzianità (da 12.302 a 12.768 euro l’anno) e del 3,4% in totale ( da 9.248 a 9.561 euro). Questo perché vengono meno le pensioni di più antica data, il cui importo si è molto ridotto da quando, nel 1992, il governo Amato fermò la rivalutazione delle pensioni in base ai salari, e acquistano maggior peso le pensioni di più recente liquidazione e più consistenti. Ma in relazione nel 2009 le nuove pensioni cominciano a diventare sempre più magre.

La pensione media di vecchiaia e anzianità ammonta a 12.486 euro contro i 13.847 del 2008. Il taglio è del 9,8%. La relativa tenuta delle altre pensioni, tutte comunque di minor importo unitario e globale, fa sì che la pensione media dell’ intero Inps, pari a 7.733 euro, cali un po’ meno, ma la flessione è comunque dell’8,3%. E’ su questa tendenza che si fonda la tenuta nel tempo dei conti dell’Inps. Ma per la stessa ragione non dovremmo più parlare di riforma delle pensioni, ma di controriforma.
Massimo Mucchetti

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QUANTO CI COSTANO INVALIDITA’ E SUSSIDI -

L’Inps, si dice, non starebbe in piedi senza contributi pubblici. In apparenza è vero. Nel 2009, lo Stato trasferisce all’Istituto 84 miliardi di euro.

Ma questa somma serve a finanziare attività assistenziali che l’Italia associa alla previdenza e che, invece, altri Paesi affidano ad altre agenzie della spesa sociale. Il bilancio dell’Inps dà conto di come vengono impiegate tali risorse. Una parte, 16,2 miliardi, va in pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, impossibili da coprire con i contributi. Si può sfoltire, ma il beneficio andrà allo Stato, non all’Inps.

Altri 4,3 miliardi pagano il disavanzo soprattutto del fondo Fs, che tratta i dipendenti storici, mentre i nuovi sono inseriti direttamente nell’Inps. Il deficit di questo fondo aumenta mano a mano che i vecchi ferrovieri lasciano il lavoro, perché così calano i contribuenti e aumentano i pensionati. E’ il costo sociale della ristrutturazione delle ferrovie. Si può discuterne l’entità, ma non la copertura a carico della fiscalità generale. Tutto il resto, 63,8 miliardi, va alle pensioni sociali e affini (7 miliardi), alle integrazioni del minimo decise da Berlusconi (1,3 miliardi), ai prepensionamenti (1,6 miliardi), alle indennità di disoccupazione e alle casse integrazioni straordinarie e in deroga (6,5 miliardi), sostegno alla maternità e altro (0,7 miliardi), sostegni a famiglie e handicappati (2,7 miliardi), sostegni alle imprese (15,7 miliardi) e, infine, vari sostegni alle pensioni sociali e d’invalidità decisi da governi diversi (10 miliardi) nonché il supporto a tutte le pensioni, in base alla legge 88 del 1989 (16,8 miliardi).