PIETRO CITATI, la Repubblica 25/6/2010, 25 giugno 2010
LO SPETTACOLO QUOTIDIANO DELLA VITA E DELLA MENTE
In un passo di Emma, Jane Austen si confessò per sempre. Emma attende in un negozio che un´amica faccia acquisti: il tempo passa, lei si annoia, e si affaccia alla porta; Mr. Perry cammina in fretta, Mr. William Cox entra nel suo ufficio, uno sporadico fattorino postale passa sul mulo, e poi c´è un macellaio col suo tagliere, una vecchietta col cestino pieno, due cani che si litigano un lurido osso... Sono povere cose: non c´è quasi nulla da vedere, come c´è poco da vedere nel villaggio normanno dove abita un´altra Emma, Madame Bovary. Ma quale differenza! La ripetizione della vita provinciale non desta in Madame Bovary che irritazione e noia. Con la sua mente luminosa, Emma (e la Austen) è felice dello spettacolo quotidiano: non desidera altro: accetta totalmente, con amore e ironia, ciò che la vita le offre; e ogni oggetto è, per lei (non è fuori luogo il vocabolo caro a Joyce), un´epifania. «Una mente vivace e tranquilla... non vede nulla che non le piaccia».
Qualsiasi romanziere che accetti così arditamente il mondo, come fanno la Austen o Dickens o Balzac o Proust, finisce per sporcarsi con la realtà: essa penetra dentro di lui, lo contamina, anche se questa contaminazione accresce il suo genio. Nel caso della Austen, invece, non accadde nulla di questo. La sua mente restò meravigliosamente pura: come dice un passo della scena che ho ricordato, non aveva bisogno di vedere niente; e si poteva dedicare alla pura contemplazione di sé stessa. «Una mente vivace e tranquilla può essere soddisfatta anche senza vedere nulla». C´era in lei, dietro l´improbo realismo e l´ironia, una zona di quiete: un fondo lievemente estatico. Aveva una mente perfettamente formata e armoniosa: una luce giusta, chiara e limpida usciva da lei, avvolgeva le cose, impregnava le persone, toccava le atmosfere e le superfici, giudicava il bene e il male, senza che nessun pregiudizio offuscasse, nemmeno per un momento, lo spirito e la rappresentazione. Come capita solo ai genii, conosceva tutti i segreti della realtà, anche senza averne esperienza.
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Tutti ricordiamo una bellissima frase di Jane Austen: «il pezzettino di avorio (lungo due pollici) su cui lavoro con un pennello così fine che, dopo molta fatica, l´effetto è minimo»; e ammiriamo i piccoli tocchi, i colori, le ombre e le screziature dell´avorio, i prodigiosi effetti indiretti, le ironie della conversazione, le piccole moralità, i piccoli misteri. Ma la Austen conosceva come nessuno l´arte di nascondersi e di occultarsi. Sullo sfondo delle sue pitture così fini e sottili, stava una mente vastissima. I suoi libri non hanno nulla a che fare con le conversation pieces, come immaginava Mario Praz in un saggio molto bello. Dobbiamo disporre Saggezza e sensibilità, Orgoglio e pregiudizio, Mansfield Park, Emma accanto ai romanzi di Balzac, Tolstoj, Dostoevskij, Proust, i creatori di mondi universali.
Quando pubblicò, nel 1811, Saggezza e sensibilità (Einaudi lo ripropone nella bella traduzione di Luce Lamberti, con una introduzione di Roberto Bertinelli, sotto il titolo Ragione e sentimento, pagg. XXII-402, euro 11), Jane Austen scoprì, una volta per sempre, il suo modo di raccontare. Aveva bisogno non di una, ma di due ottiche: qualche volta di molte. Si immergeva in sé stessa: contemplava una parte di sé, e la proiettava in un personaggio, che si staccava da lei e si allontanava a passi leggeri, diventando una figura. Subito si accorgeva che quella figura non le bastava; e estraeva dal suo animo una seconda proiezione, distinta od opposta alla prima. Così conquistava una doppia ottica: orchestrava una doppia partitura; con meravigliosi effetti pittorici e musicali di riflesso e di contrasto. Lei era sempre sulla scena, presente ed assente: condivideva i sentimenti delle due proiezioni; e insieme si prendeva gioco di loro, come se abitasse in tutti i luoghi e in nessun luogo dei suoi romanzi.
In Saggezza e sensibilità, la prima voce e il primo sguardo sono quelli di Elinor, la sorella maggiore. I suoi doni sono innumerevoli: la misura, la ragione, il buon senso, la moderazione, il controllo dei sentimenti, la prudenza, le buone maniere, il tatto, la convenienza, la discrezione, il segreto, la generosità, la sopportazione; e ad ogni piccolo tocco della Austen, innamorata del proprio personaggio, la figura di Elinor cresce davanti ai nostri occhi. Possiede la ragione, ma abita in un luogo infinitamente superiore alla ragione: quello che gli antichi chiamavano saggezza e la Austen chiama, con discrezione, sense.
La saggezza è, in primo luogo, una vasta e complessa scienza dei rapporti psicologici. Sebbene ami la solitudine, Elinor capisce gli altri: tutti gli altri, anche quelli più lontani da lei, come la sorella Marianne. Nessun pregiudizio oscura il suo sguardo. «Io non desidero altro - dice - se non indagare». Con molta buona grazia, accetta i limiti necessari dell´esistenza. E, se ha molte qualità, porta in sé il dono supremo: quello di tenere queste qualità in un equilibrio immobile, in un equilibrio oscillante e sospeso, pronto a sciogliersi in un altro equilibrio. Frequenta la società, qualche volta la sopporta: è maestra in buona conversazione, e usa il suo tatto in ogni luogo dell´altrove. Ma il suo vero regno è la casa, il piccolo cottage dove vive insieme alla madre e alle due sorelle. Lavora, in casa e nel giardino: è «sempre occupata in qualcosa», si muove senza disturbare, tessendo poco a poco la tela della «serenità domestica». Se in altri romanzi soltanto i grandi amori e le grandi azioni emanano fascino, Elinor, sola o quasi sola, nella sua casa, emana un fascino molto più grande. Così, almeno, pensa la Austen, e noi, suoi lettori.
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Marianne, la sorella minore, è bellissima: la sua pelle «è trasparente»: ha un «sorriso dolce e seducente»; e «negli occhi molto scuri c´erano una vitalità, un brio, un ardore tale, che era difficile guardarli senza rimanere incantati». Non sopporta i vecchi, la freddezza, le convenienze, la menzogna, l´ipocrisia, il controllo, la discrezione. I suoi sentimenti sono ardenti, eccessivi, senza freni, incontrollati e incontrollabili, discontinui. Ama la pittura e soprattutto la musica con un «entusiastico godimento», «un rapimento voluttuoso»: se legge versi, contagia gli ascoltatori. Crede nell´amore unico, a prima vista, che non si ripeterà mai ed esclude qualsiasi altro amore e simpatia. Esalta la verità, l´ardore e la gioia.
Se la sorella ama l´incanto della casa, Marianne ama, anzi inventa, la passeggiata. Appena la nebbia si scioglie, e un raggio di sole appare nel cielo piovoso, si avventura verso le alte colline, mentre gli squarci del cielo blu si moltiplicano e le eccitanti raffiche del vento di sud-ovest le sfiorano il viso. «Esiste - dice - felicità al mondo più grande di questa?» Tra i sentimenti, Marianne preferisce quelli che non riguardano il presente: la speranza, che si avventura nel futuro (e che Elinor non conosce) e la nostalgia del passato. Pensa con dolore alla casa e agli alberi dell´adolescenza; «Caro, caro Norland!... Quando smetterò di rimpiangerti! Quando riuscirò a sentirmi a casa in un altro luogo». E la nostalgia è grandissima, soprattutto perché Marianne sa che la natura non ricambia il suo amore: gli alberi sono inconsapevoli della gioia e del dolore che procurano, e non avvertono i mutamenti di chi passeggia sotto le loro ombre.
La Austen ama moltissimo Marianne: il suo viso, il suo riso, il suo sguardo, i suoi sentimenti, le sue inquietudini, le sue agitazioni, persino la sua isteria. Tutto ciò che fa emana un fascino opposto a quello più tenue ed esile di Elinor; il grande ed appassionato fascino romantico, che si svilupperà nei personaggi della Brontë e di Dickens. Ma la Austen non risparmia a Marianne una critica fondamentale. Non sente, non gioisce, non soffre: ma vuole sentire e soffrire: alimenta con l´intelligenza il suo dolore; lo costruisce di proposito, lo nutre, lo incoraggia, lo esagera, lo sottilizza. Qualche anno più tardi, Leopardi rivolgerà ai romantici la stessa obiezione. Sia la Austen sia Leopardi pensavano che il cuore di Elinor fosse più puro.
Col passare del tempo, i temperamenti di Elinor e di Marianne si trasformano. La discretissima Elinor conosce il fuoco della passione. Quando rivede l´uomo che amava, e sa che non è sposato, si precipita fuori dalla stanza e scoppia in lacrime di gioia. Intanto, Marianne si calma, tiene i suoi sentimenti a freno, e mette in pratica i riti della buona educazione. Poi sposa l´uomo, che un tempo aveva giudicato vecchio e freddo; e l´amore che egli nutre per lei, non suscita soltanto stima ed amicizia, ma fa nascere l´amore nel cuore di Marianne. Saggezza diventa sensibilità: sensibilità diventa saggezza. Nel punto dove i due estremi si congiungono, sta la Austen, con la sua passione moderata, la sua ironia ineffabile, e la sua musica discontinua ed armoniosa.