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 2010  giugno 26 Sabato calendario

TASSA SULLE BANCHE AMBIZIOSA E INEFFICACE


La "tassa" sulle banche sarà uno dei piatti forti al G20 di Toronto. Il Governo americano, per primo, ha presentato una proposta di legge, che proprio ieri ha trovato l´appoggio del Congresso. Il Governo inglese l´ha introdotta, a sorpresa, nella legge di bilancio per il 2011, accompagnata da un comunicato congiunto con Francia e Germania, che si sono impegnate a vararne una analoga nei prossimi mesi. L´obiettivo, evidente, è quello di esercitare pressione sulle decisioni del G20, e sul resto d´Europa. Prevedibile il coro di proteste, preventivo, dei banchieri nostrani.
La tassa sulle banche è un´imposta patrimoniale sul debito degli istituti di credito. Questo, almeno, è lo schema della tassa inglese, che ricalca il disegno di legge americano: un´imposta fissa applicata al totale dell´attivo di bilancio, sottratto il capitale vero e proprio (Tier 1), i depositi al dettaglio coperti dall´assicurazione obbligatoria e i pronti/termine su titoli di stato. La tassa grava solo sulle grandi banche, con attività superiori a 25 miliardi di euro (sono 40 nella proposta americana); con un´aliquota pari al 7 per mille, che si dimezza per il debito a lungo termine (15 per mille negli Usa).
Come ogni tassa, anche questa deve essere valutata sulla base della capacità di raggiungere gli obiettivi assegnati, senza introdurre distorsioni nell´economia. Gli obiettivi dichiarati sono tre: 1) far pagare alle banche il costo degli interventi pubblici resi necessari dalla crisi; 2) penalizzare livelli di indebitamento elevati da parte delle grandi banche; e 3) alimentare un fondo per fronteggiare eventuali crisi future.
Quanto al primo obiettivo, sarebbe stato più coerente, al posto della tassa, sospendere per le banche lo scudo fiscale creato dalle perdite e svalutazioni generate durante crisi; o almeno azzerare i crediti di imposta accumulati grazie alle perdite pregresse. Invece si è scelto di tassare le banche perché contribuiscano a ripianare il costo della crisi, ma contemporaneamente si riconoscere loro un beneficio fiscale (più grande della tassa) che origina proprio da quelle perdite che hanno causato la crisi. Inoltre, non è scontato che siano le banche a sostenere effettivamente l´onere della tassa, potendola agevolmente traslare sui clienti, con aumenti di commissioni e margini di interesse.
Per ridurre l´indebitamento sarebbero molto più efficaci i nuovi requisiti patrimoniali e limiti alla leva complessiva previsti da Basilea III; la cui introduzione però viene continuamente procrastinata. Ma non basta ridurre la leva, bisogna anche guardare alla rischiosità degli attivi. Qui la tassa può essere addirittura controproducente: colpire il debito in misura fissa, a prescindere dal suo impiego, può creare un incentivo a investire in attività più rischiose, a parità di indebitamento, per cercare di fare più utili.
Per finanziare un fondo contro i rischi futuri, la tassa è inefficiente perché non è commisurata al rischio delle attività di chi la paga, creando quindi azzardo morale. Inoltre, gravando esclusivamente sulle grandi banche, sarebbe in effetti un fondo contro i rischi generati da istituzioni troppo grandi per fallire. Sarebbe stato meglio approfittare della crisi per imporre lo smembramento dei grandi gruppi (promuovendo così la concorrenza); o almeno separare le attività rischiose da quella bancaria ordinaria, come fa, coraggiosamente, la nuova legge americana.
Troppi obiettivi, e contraddittori, per una sola tassa. Molto probabile che non li raggiungerà. Altrettanto probabile che i veri obiettivi dei governi siano altri, e inconfessabili: fare cassa con una patrimoniale su una base imponibile vasta, e poco eludibile; e acquisire credito politico agli occhi di un´opinione pubblica risentita nei confronti delle banche. Nella vicenda, una sola cosa è chiara: per le banche, il tempo dei lauti profitti è finito. Meglio che i banchieri se ne facciano una ragione, dimentichino i fasti e i compensi del passato, e si adeguino rapidamente.