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 2010  giugno 26 Sabato calendario

Sono mancate le riprese in diretta, gli applausi e l’incitamento del popolo che gioisce nel veder cadere, anche simbolicamente, il suo tiranno

Sono mancate le riprese in diretta, gli applausi e l’incitamento del popolo che gioisce nel veder cadere, anche simbolicamente, il suo tiranno. La rimozione della statua di Stalin dal centro della sua città natale in Georgia, Gori, è stato un colpo furtivo, di notte, per evitare proteste e forse scontri in un Paese che ancora non si è ripreso dall’umiliazione della guerra lampo del 2008, quando la stessa Gori fu pesantemente bombardata dai russi. Il bronzo alto sei metri, su un piedistallo di nove, è stato imbracato e tirato giù senza far rumore, caricato su un camion e portato via, verso la suo nuova destinazione, il cortile del museo dedicato al georgiano più famoso di tutti i tempi, al più sanguinario dei dittatori sovietici, che però il partito comunista locale, filo-russo, considera ancora «salvatore del mondo» per aver vinto le armate naziste «nella grande guerra patriottica» contro la Germania di Adolf Hitler. Il posto del baffuto «padre dei popoli» sovietici sarà preso da un monumento ai caduti della guerra dell’estate del 2008, per cui è stato indetto un concorso. Il presidente Mikhail Saakashvili, che ha voluto fortissimamente la rimozione, ha tenuto un profilo basso. Ha detto che «la storia non si può cambiare», che il museo staliniano resterà, con una nuova esposizione: «Queste cose vanno fatte senza vandalismi né isteria». Molto più duro il ministro alla Cultura, Nika Rurua, che ha guidato il dibattito sulla rimozione: «Stalin è stato un criminale politico, che guidò le armate russe bolsceviche in Georgia nel 1921, creò delle enclave artificiali basate sulle differenze etniche che ancora oggi creano grandi problemi. Stalin è stato l’uomo che ha rovinato il meglio della Georgia». Il divide et impera praticato da Stalin ha in effetti lasciato in eredità alla Georgia minoranze ingestibili, come in quasi tutte le repubbliche ex sovietiche. Ossezia e Abkazia sono diventate famose nel 2008, quando furono le divisioni di Putin a correre in loro soccorso, e sono oggi di fatto minuscoli Stati sovrani, e riconosciuti soltanto da Mosca, mentre si affievoliscono le proteste internazionali per «l’amputazione» subita da Tbilisi. Il colpo di mano di Saakashvili sembra rivolto quindi più alla Russia che all’opposizione interna. E forse ancor più all’alleato americano, che in queste ora sta discutendo con il presidente russo Dmitry Medvedev l’ingresso di Mosca nel Wto e la sua promozione a partner strategico. Come dire, Washington non dimenticarci, perché il sangue «dei caduti per la libertà» nel 2008 è ancora caldo. Sul fronte interno, ha protestato anche l’ex presidente Eduard Shevardnadze, che ha ammonito che la «storia non si cancella con l’abbattimento di una statua». Tanto meno quella di Iosif Vissarionovic Dzugasvili, nato a Gori nel 1879 nella famiglia di un calzolaio. Un rivoluzionario soprannominato Beso il Matto prima di diventare Stalin, che conquistò le prime pagine con il clamoroso colpo alla banca centrale di Tbilisi, nel 1907, un rapina di «autofinanziamento» rivoluzionario, e che da lì avrebbe scalato le posizioni del partito fino diventare il padrone assoluto dell’Unione Sovietica.