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 2010  giugno 25 Venerdì calendario

DELL’UTRI FOGLIO

«Già, il carcere… Beh, se uno s’adatta... Lo diceva De Filippo, mi pare: chi l’ha detto che è un male?» (Marcello Dell’Utri) (Corriere della Sera 25/6;)

La sentenza della Seconda sezione penale della Corte d’Appello di Palermo nei confronti del senatore del Popolo della Libertà Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, due anni di libertà vigilata e risarcimento di 70mila euro alle parti civili, Comune e Provincia di Palermo, rappresenta la chiusura ufficiale del secondo atto di uno dei processi più seguiti negli ultimi anni nel nostro Paese (Apcom 25/6). Giovanni Bianconi: « il processo al braccio destro siciliano di Silvio Berlusconi. Ma è anche il tassello di un quadro più ampio, un capitolo importante dei rapporti tra Cosa Nostra e la politica dopo le stragi del 1992 e del 1993 che hanno accompagnato il trapasso tra le cosiddette Prima e Seconda repubblica. E il verdetto non potrà non influire sul resto della ricostruzione che si sta tentando attraverso altre indagini» (Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 25/6);

Istruito a Palermo nel 1997, il processo di primo grado si concluse l’11 dicembre del 2004 dopo 257 udienze (sono stati sentiti 270 testimoni, quaranta dei quali collaboratori di giustizia) con una sentenza che indicava il senatore Dell’Utri come un uomo a metà strada fra il mondo dorato della ricca finanza milanese e Cosa nostra. A tirare in ballo il nome di Dell’Utri era stato nel 1994 il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi parlando di Vittorio Mangano, uomo d’onore ben conosciuto negli ambienti mafiosi palermitani portato a Milano dal senatore e ufficialmente assunto da Silvio Berlusconi come stalliere. (Apcom 25/6); Lirio Abbate: «Quando varca per la prima volta i cancelli di villa San Martino, Mangano sta per compiere 34 anni: nella primavera del 1974 si trasferisce con moglie e figlie nella tenuta di Arcore. La questura di Palermo già nel 1967 l’aveva diffidato come persona pericolosa. [...] Gli uomini d’onore avevano apprezzato la sua capacità di rispettare le regole di Cosa nostra. E sono Dell’Utri e Berlusconi a definirlo come un eroe. Ufficialmente Mangano si è trovato a dirigere l’azienda agricola e la società ippica di cui Berlusconi era titolare. […] Ma in villa ricopre anche altri incarichi, molto più delicati. Per i coniugi Berlusconi avere in casa quell’uomo rappresenta una sicurezza. Prima di allora, Berlusconi aveva subito minacce, attentati nei suoi uffici di Milano, ed era stato costretto a fare i conti con almeno due tentati rapimenti: il primo ha lui come obiettivo, il secondo suo figlio Piersilvio» (Lirio Abbate, l’espresso 16/12/2009).

In base alle dichiarazioni di altri pentiti Dell’Utri avrebbe avuto rapporti di amicizia anche con storici capimafia come Gaetano Cinà, coimputato nel suo processo e condannato in primo grado a sette anni, e Stefano Bontade. Secondo i giudici di primo grado, il senatore ricopriva un ruolo da vera e propria «cerniera fra potere mafioso, politico ed economico». La mafia, in particolare, lo avrebbe usato fin dagli anni Settanta come tramite per entrare a pieno titolo nei grandi affari edilizi del Nord. (Apcom 25/6);

«Faccio l’imputato da 15 anni, è diventato quasi uno stato dell’essere e sono stanco. Arriverà il momento in cui finirà tutto e mi chiederò: ”Ora che faccio”? Mi sono insomma abituato a fare l’imputato, è diventata una cosa strutturale» (Marcello Dell’Utri) (Corriere della Sera 16/4).

Palermitano ma residente a Milano, 69 anni, Marcello Dell’Utri prima studia in collegio dai Salesiani, poi frequenta i Gesuiti. Dirigente d’azienda, diventa presto il braccio destro di Silvio Berlusconi, di cinque anni più grande, conosciuto all’università a Milano. Con il futuro presidente del Consiglio nel 1993 fonda Forza Italia. Nel 1996 è eletto alla Camera, nel 2006 e nel 2008 al Senato (Catalogo dei Viventi di Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Marsilio 2009);

«Io sono un politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Quando nel 1994 si fondò Forza Italia e si fecero le prime elezioni, le candidature le feci io: non mi sono candidato perché non avevo interesse a fare il deputato. Mi candidai alle elezioni del 1996 per proteggermi. Infatti, subito dopo, è arrivato il mandato d’arresto» (Marcello Dell’Utri) (Beatrice Borromeo, Il Fatto Quotidiano 10/2).

Il processo d’appello al senatore è cominciato il 30 giugno 2006. Il procuratore generale di Palermo, Antonino Gatto, ha chiesto per Dell’Utri la condanna a 11 anni di reclusione e di dichiarare l’estinzione del reato per Gaetano Cinnà, unico altro imputato del processo, morto nel 2006 (Corriere della Sera 16/4);

«Il procuratore generale può dire quello che vuole: non posso neanche ascoltare quello che dice e ho preferito andare a prendermi lo sfincione (una pizza tipica di Palermo, a base di cipolle, pomodoro, pan grattato e caciocavallo, ndr) a Porta Carbone. Qui non c’è fumus persecutionis, qui c’è una vampa, un incendio» (Marcello Dell’Utri dopo la richiesta di condanna in appello) (Corriere della Sera 16/4).

Gatto voleva fossero acquisite come prove anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002. Interrogato più volte, Ciancimino junior ha raccontato d’aver saputo dal padre che «Provenzano consegnò Riina ai carabinieri in cambio dell’impunità» e che, dopo l’arresto dell’ex sindaco del capoluogo, il 19 dicembre 1992, «fu Dell’Utri a subentrare nella trattativa tra lo Stato e la mafia» (Corriere della Sera 2/2). Per la corte, però, dall’esame del contenuto dei suoi interrogatori è emerso un quadro «confuso e oltremodo contraddittorio» e Ciancimino jr non è stato ammesso come teste (Il Fatto Quotidiano 17/9/2009).

«Minchiate come si fa a stare a sentire queste cose? Non mi sento neanche di andare dietro a una persona che dice il nulla totale assoluto e se lo inventa. Uno si sveglia al mattino e trova un pazzo che racconta che lei ha fatto la mattina del secolo… Ma è una cosa accettabile, possibile in un Paese normale?» (Marcello Dell’Utri dopo le parole di Massimo Ciancimino) (Corriere della Sera 13/2).

Il processo è stato poi prolungato quasi di un anno per ascoltare anche il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, cui recentemente non è stato concesso il programma di protezione perché le sue dichiarazioni sono arrivate oltre il limite dei 180 giorni previsto dalla legge (Corriere della Sera 16/6). Spatuzza, pluriomicida condannato a vari ergastoli e ora studente di Teologia, ha parlato della presunta trattativa tra mafia e Stato avvenuta tra la prima metà degli anni ’90 e il 2003-2004 i cui referenti politici sarebbero stati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Di quella trattativa Spatuzza sarebbe venuto a conoscenza tramite il boss Giuseppe Graviano la prima volta nel ’93, mentre progettavano una strage di carabinieri a Roma (poi fallita). La seconda nel ’94, quando Graviano gli disse che grazie a Berlusconi e Dell’Utri «abbiamo ottenuto quello che volevamo». L’11 dicembre 2009 il boss Filippo Graviano, in videoconferenza con l’aula di Palermo, ha però smentito le tesi di Spatuzza sostenendo di non aver mai avuto rapporti di alcun tipo con Dell’Utri. Suo fratello, Giuseppe, non ha risposto alle domande dell’accusa lamentando problemi di salute dovuti al 41 bis (Marco Imarisio, Corriere della Sera 12/12/2009).

«Quindi, è chiaro che io, purtroppo, essendo mafioso... Cioè, essendo siciliano...» (Marcello dell’Utri) (Moby Dick di Michele Santoro, Italia Uno 1999).