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 2010  giugno 25 Venerdì calendario

IL SUPERLOBBISTA IN DISGRAZIA VA A LAVORARE IN PIZZERIA

Uscito qualche giorno fa dal carcere dopo 43 mesi di detenzione, il superlobbista che era stato l’uomo-chiave del sistema di potere repubblicano durante gran parte della presidenza Bush, riparte lavorando per una pizzeria. Jack Abramoff, confinato fino al prossimo dicembre in una sorta di libertà vigilata sotto la sorveglianza dell’autorità carceraria, è stato assunto da Tov Pizza: un locale di Baltimora che serve a una clientela composta soprattutto da ebrei osservanti, pizze in versione «kosher», hamburger vegetali e ziti al forno.
I giornalisti che sono andati a cercarlo dopo che il Baltimore Jewish
Times aveva dato la notizia, sono rimasti delusi: speravano di vederlo interno a impastare e infornare. Invece Jack, che non può rilasciare interviste finché rimane in semilibertà, è rimasto nell’ufficio del locale, dove svolge soprattutto lavoro contabile. Si è limitato a far sapere che considera Ron Rosenbluth, il proprietario che l’ha assunto, uno «tzaddik», cioè un uomo «pio e giusto».
Rosenbluth l’ha messa in termini di solidarietà religiosa: «Perché non dovevo assumerlo? Qui siamo tutti ebrei e aiutare a ricominciare un fratello che ha imboccato un percorso di redenzione è la quintessenza dell’ebraismo».
Qualcuno pensa che Abramoff sia davvero cambiato, che Tov Pizza sia l’inizio di una nuova vita dell’uomo che corrompeva parlamentari e funzionari pubblici: gente che spesso attirava invitandola nei ristoranti di sua proprietà e nelle «suite» private che aveva affittato negli stadi di baseball e football americano. Del resto l’ex «power broker» aveva indossato i panni del «pentito» già all’inizio del 2006 quando, con le sue confessioni, ottenne una condanna relativamente mite (sei anni, successivamente ridotti a tre emezzo) mandando in galera due collaboratori di Bush alla Casa Bianca, un deputato repubblicano e otto tra lobbisti e funzionari del Congresso.
Le sue rivelazioni furono il colpo di grazia per il partito repubblicano e il suo leader, Tom DeLay, costretto a dimettersi sotto gli attacchi di un senatore del suo stesso partito, deciso a fare pulizia nel fronte conservatore: un certo John McCain che proprio allora si guadagnò il soprannome di «Mastrolindo».
Altri sono convinti che Abramoff stia solo aspettando la scadenza di dicembre per porre fine alla «penitenza» in pizzeria. Sì, è vero, in carcere si è guadagnato il rispetto di tutti (e anche uno sconto di pena) impartendo ogni giorno lezioni basate sulla Torah a un gruppo di detenuti ebrei ortodossi.
Ma Jack, figlio di una ricca famiglia di Atlantic City, la Las Vegas della East Coast, non aveva rinunciato ai suoi comportamenti criminali nemmeno dopo aver abbracciato la fede degli ortodossi «rinati». E’ il caso, ad esempio, delle truffe perpetrate ai danni di alcune tribù indiane. Celebre quella contro il popolo dei Tigua, in Texas. Abramoff montò una campagna tra i suoi amici conservatori per far chiudere il casinò della Roccia che Parla, in nome dei valori etici della gente del Texas, che, diceva, considera immorale il gioco d’azzardo.
In realtà Jack voleva semplicemente mettere alle corde un pericoloso concorrente di un altro casinò da lui sponsorizzato: quello di Kinder, edificato in Louisiana molto vicino al confine col Texas.
Abramoff ottenne che al casinò dei Tigua fosse revocata la licenza ma, qualche tempo dopo, si presentò dal capotribù offrendogli i suoi buoni uffici per riaverla indietro. In cambio, si intende, di una consulenza di due milioni di dollari. Comportamenti assai lontani dalle scelte etiche da lui professate nella sua comunità. Truffe e ricatti che gli fruttarono decine di milioni di dollari. Un bottino dal quale, per placare la sua coscienza di amico di Israele, alla fine tirò fuori qualche spicciolo per l’acquisto di equipaggiamenti destinati a una scuola di cecchini nella Cisgiordania occupata dallo Stato ebraico.
Quattro anni fa la caduta di Abramoff coincise con l’incredibile naufragio del partito repubblicano: una forza politica che sembrava destinata a mantenere per decenni il controllo del Congresso, travolta dagli scandali e sconfitta nelle elezioni di «mid term» del novembre 2006. Ora, proprio mentre il supercorruttore protagonista di quella stagione torna libero, i repubblicani – un partito senza leader nè programmi che fino a qualche tempo fa sembrava alla deriva – vanno incontro a una sorprendente riscossa mentre crolla la popolarità dei democratici.
Curioso. Così come è curioso che le «lobby», attaccate quattro anni fa proprio dai repubblicani alla disperata ricerca di rifarsi una verginità dopo gli scandali, oggi siano tornate più potenti che mai. Nonostante la promessa di Obama di ridimensionare la loro influenza.
Massimo Gaggi