Francesco Verderami, Corriere della Sera 25/06/2010, 25 giugno 2010
IL CAPO LEGHISTA AL QUIRINALE PER «SMINARE» LA GIUSTIZIA’
Ieri è andato in scena l’ennesimo atto dello scontro senza fine tra Berlusconi e la magistratura. E sarà solo una coincidenza, ma certo colpisce la simultaneità delle mosse giocate dai «duellanti», con il neo ministro Brancher - fedelissimo del premier - che si è fatto scudo del «legittimo impedimento» proprio mentre il Tribunale di Milano si appellava alla Consulta contro la legge. E chissà se un giorno si saprà la vera storia sulla nomina a ministro di colui il quale - come dice Berlusconi - «è il punto di congiunzione tra me e Bossi, l’uomo che ha contribuito a trasformare un’alleanza politica in un legame personale».
Ma il problema oggi non è sapere chi fosse a conoscenza delle intenzioni del Cavaliere, se è vero che Gianni Letta - persino Gianni Letta - fino all’ultimo sia rimasto all’oscuro della nomina. Il punto è che un minuto dopo la controfirma di Napolitano, non solo l’opposizione ma anche numerosi esponenti di maggioranza hanno interpretato la scelta del premier come l’intenzione di tutelare un fedelissimo per coprirsi il fianco rispetto a una nuova offensiva giudiziaria che indirettamente avrebbe potuto colpirlo.
Può darsi che l’assuefazione all’eterno conflitto porti a far calare presto l’attenzione sul «caso Brancher», ma siccome è attorno alle leggi sulla giustizia che continuano a concentrarsi le tensioni in Parlamento, c’è il rischio di un pericoloso corto circuito. Perché al Senato è in ballo il lodo Alfano costituzionale, mattone decisivo nella costruzione della «linea Maginot» berlusconiana, mentre alla Camera va ancora sciolto il nodo sulle intercettazioni.
Avrà le sue ragioni La Russa nel sostenere che «i provvedimenti sulla giustizia, dal ”94 ad oggi, hanno avuto sempre un impatto duro ed effetti dirompenti, per via dell’opposizione della magistratura. All’inizio di questa legislatura ci siamo illusi che un’accorta gestione politica della materia ci consentisse di superare certi problemi. Non è andata così: basti ricordare la storia del lodo Alfano, su cui ci si mosse in piena sintonia con il Colle, finché non si arrivò alla Consulta...».
Ma la logica del muro contro muro, l’idea che non possa esserci alternativa, suscita in Bossi forti preoccupazioni, il timore che - avanti nello scontro - possa venire minacciato il percorso del federalismo fiscale, magari per una fine traumatica della legislatura. E c’è un motivo se ieri il Senatùr ha smentito di aver parlato con Napolitano della riforma che gli sta più a cuore: «Abbiamo discusso di altro». L’«altro» a cui si riferiva è il ddl sulle intercettazioni, su cui è ormai chiaro un coinvolgimento diretto del Quirinale.
Il capo della Lega vorrebbe sgombrare il terreno parlamentare da questa mina, ritiene che l’estenuante braccio di ferro tra Berlusconi e Fini non porti da nessuna parte, perché qualsiasi modifica al testo di legge - sebbene sostenuta dalla regia discreta del Colle - verrebbe interpretata come una vittoria del presidente della Camera sul premier. Per superare l’impasse, Bossi è allora pronto amuoversi in prima persona, a intestarsi le proposte di modifica alla legge, così da fare in modo che non ci siano vincitori e vinti nella partita.
Il ruolo di Napolitano è decisivo, è lui oggi il punto di riferimento istituzionale attorno a cui ruota la mediazione. al presidente della Repubblica che «ci siamo rivolti», ha confidato ieri Berlusconi ad alcuni ministri, rivelando un contatto diretto avvenuto due giorni fa tra l’inquilino del Quirinale e il Guardasigilli. Il capo dello Stato non si è esposto, ma i suoi uffici conoscono le proposte di modifica al testo sulle intercettazioni e le stanno vagliando.
Ecco perché - alla vigilia di un passaggio delicatissimo - va capito se la mossa di Brancher, che intende usare il legittimo impedimento «solo fino a ottobre», può provocare danni alla trattativa. questo il vero nodo politico, più importante degli imbarazzi che la scelta del neo ministro ha provocato nella maggioranza, più importante della stessa vicenda in cui Brancher è implicato, e che evoca la turbolenta stagione dei Fazio e dei Fiorani, della banca leghista Credieuronord, dei «furbetti del quartierino» e della scalata Unipol a Bnl.
Francesco Verderami