Ariel David, Il Riformista 25/6/2010, 25 giugno 2010
ORA BOICOTTANO ANCHE I GAY ISRAELIANI
Tel Aviv. Salvo ripensamenti, quest’anno al Gay Pride di Madrid gli omosessuali israeliani non saranno graditi. Gli organizzatori hanno sbarrato le porte alle bandiere arcobaleno con la stella di David per protestare contro il blitz dell’esercito israeliano sulle navi che cercavano di rompere l’embargo a Gaza. Il ritiro dell’invito alla delegazione israeliana cancella dalla sfilata dell’orgoglio omosessuale uno dei paesi più progressisti al mondo, e sicuramente il più avanzato in Medio Oriente, in fatto di riconoscimento dei diritti Lgbt, sigla che include lesbiche, gay, bisessuali e transgender.
Unioni di fatto e parità di diritti con le coppie etero sono benefici ormai acquisiti per gli omosessuali israeliani. I gay possono adottare bambini o avere figli biologici tramite fecondazione artificiale o utero in affitto, anche se per ora quest’ultima strada è percorribile solo all’estero. Mentre negli Stati Uniti l’amministrazione Obama fatica a cancellare la legge che impedisce ai gay dichiarati di servire nell’esercito, nelle file di Tsahal gli omosessuali non si nascondono e i transgender possono scegliere se essere considerati uomini o donne.
«Rimangono le tensioni con gli ebrei più ortodossi, ma in quanto a diritti siamo fra i primi al mondo», dice al Riformista Adi Yagoda, esperto legale di Agudah, la principale associazione Lgbt del paese.
Ma Israele è anche un rifugio per migliaia di gay palestinesi che nei territori controllati da Hamas e dall’Autorità Palestinese rischiano il carcere, la tortura e la morte per mano della legge o dei propri famigliari. «Come in tutti i territori dove la legge coranica influisce sulla società, anche a Gaza e in Cisgiordania l’omosessualità è inaccettabile», spiega Shaul Ganon, volontario di Agudah che da anni cerca di aiutare i gay palestinesi che fuggono in Israele.
Fino allo scoppio della Seconda Intifada la situazione era ancora tollerabile, soprattutto a Ramallah, la città più laica della Cisgiordania. Ma con il riaccendersi delle ostilità nel 2000 e con la presa del potere dei fondamentalisti islamici di Hamas nella Striscia di Gaza gli omosessuali palestinesi sono diventati delle vittime designate.
Oltre a sparizioni improvvise, pestaggi, omicidi d’onore in famiglia o condanne per ”immoralità”, gli omosessuali devono ora affrontare anche l’accusa più grave, quella di collaborazionismo.
«Se sei gay sei ricattabile, quindi sei considerato automaticamente un collaboratore d’Israele – spiega Ganor – E una condanna a morte per collaborazionismo provoca meno domande fra la popolazione e le associazioni per i diritti umani».
Ganon non rivela i nomi dei suoi protetti ma si commuove quando ricorda le loro storie.
«Uno l’hanno arrestato a Nablus quando gli hanno trovato in macchina un film porno. Poiché queste cose lì non si trovano, hanno deciso che doveva avere contatti con il nemico: dopo otto mesi di torture in carcere è fuggito durante un’operazione israeliana nella città, implorando i soldati di portarlo in salvo».
Spesso, agli omosessuali, come ad altri rei di atti considerati immorali, è offerta la possibilità di redimere il proprio onore e quello della famiglia diventando ”martiri” in un attentato suicida contro gli israeliani.
Nel 2004, una kamikaze palestinese, madre di due bambini, ha ucciso quattro israeliani ad un valico di Gaza, espiando così il suo adulterio. finita meglio per un ragazzo fuggito in Israele quando la Jihad Islamica ha tentato di affidargli una borsa piena di esplosivo. «Diceva: io voglio solo vivere, non voglio uccidere nessuno», ricorda Ganor.
Anche se spesso le autorità chiudono un occhio, i gay palestinesi non hanno vita facile in Israele. Considerati dei clandestini e dei potenziali rischi per la sicurezza, possono essere espulsi, e al terzo arresto si aprono per loro le porte del carcere.
La legge prevede pene anche per compagni e amici israeliani scoperti ad aiutarli. Ancora una volta è il conflitto a peggiorare la loro situazione: i membri stranieri di una coppia di fatto, etero o gay, possono essere regolarizzati, ma in questo caso Israele teme di creare un precedente che legittimi il rientro di milioni di profughi palestinesi. Concentrandosi a Tel Aviv, la capitale gay d’Israele, gli omosessuali palestinesi vivono di espedienti e di prostituzione, esposti alla vendetta dei famigliari che in alcuni casi li raggiunge anche nel cuore dello Stato ebraico. La soluzione migliore è una fuga all’estero, ma anche qui entra in gioco la politica.
«La maggior parte dei paesi Ue non collabora, perché concedergli asilo significherebbe riconoscere che i palestinesi danno la caccia ai gay, e questo non è politicamente conveniente», dice Ganor.
Malgrado i diritti conquistati in casa e il lavoro a favore degli omosessuali palestinesi, Agudah e le altre associazioni gay israeliane non sfileranno ai primi di luglio a Madrid. Antonio Poveda, presidente della federazione Lgbt spagnola ha detto al quotidiano britannico The Guardian che una partecipazione israeliana sarebbe «una barbarie» dopo la morte di nove attivisti negli scontri a bordo della nave turca Mavi Marmara.
Ribatte Ganor: «Abbiamo dimostrato che, almeno tra gay, israeliani e palestinesi possono superare le loro differenze e prendersi cura l’uno dell’altro. Questo era il messaggio che avremmo voluto portare a Madrid».