Mario Platero, Il Sole-24 Ore 25/6/2010;, 25 giugno 2010
OBAMA RIPRENDE IL BASTONE DEL COMANDO
Straordinaria capacità di reazione: su questo non ci sono dubbi. Barack Obama, lo abbiamo visto nel modo in cui ha gestito l’affare McChrystal, ha trasformato uno smacco mediatico in una dimostrazione di solidità. Ha giocato al rilancio, ha licenziato il generale ribelle, ha impugnato il bastone di comando, ha dato l’impressione di essere in controllo di una guerra che non va bene. Ma la partita al rilancio è la chiave di volta su cui da alcuni mesi il presidente costruisce i suoi contrattacchi, con un problema: tecnicamente e politicamente questi rilanci sono stati impeccabili. Peccato che poi non si traducano in un cambiamento di umore e in un aumento dei consensi interni. Il paradosso perciò è che oggi, arrivando al G-8/G-20 canadese, Barack Obama si presenterà forte all’estero e debole in casa. Sul piano della percezione internazionale, infatti, il suo carniere è molto più ricco di quanto non fosse appena qualche mese fa.
Ha chiuso l’importante partita sui cambi con la Cina.
Proprio quando la spina economica tornava a pungere, con la crisi europea e le incertezze di mercato, l’America si è assicurata due svolte a Pechino: l’indebolimento del dollaro sullo yuan e il passaggio potenzialmente strutturale in Cina da un’economia che galoppava sulle esportazioni a un’economia che darà più spazio alla domanda interna e alle importazioni. Restano incertezze su tempi e modi.
Ma il principio è passato.E l’Europa e il cancelliere Angela Merkel, anche loro sotto l’attacco di Obama per le preferenze – restrittive”in materia di politica fiscale, restano indietro anni luce. Ora Washington chiederà a Berlino, partendo da una posizione più forte, di sottoscrivere un altro principio: lo stimolo prevarrà sul rigore se le incertezze economiche per crescita e stabilità finanziaria dovessero peggiorare. Il presidente ha anche ottenuto la risoluzione che impone sanzioni contro l’Iran e ha incassato una concessione da Israele: ci sarà un’apertura per la consegna di derrate alimentari e medicinali a Gaza. Ha recuperato il dialogo con Mosca, come abbiamo visto ieri dall’incontro alla Casa Bianca con Dimitri Medvedev, e avanzato la causa del disarmo nucleare. Temi questi, che saranno centrali al G-8 politico e su cui Obama non sarà costretto alla difensiva.
Sul piano interno il presidente ha già portato in politica il disastro ambientale del Golfo del Messico. Sempre seguendo il principio del rilancio, per la prima volta ha parlato alla nazione dall’Ufficio Ovale. E ha portato la sua quarta sfida ai repubblicani: dopo sanità, finanza e immigrazione chiede ora la riforma energetica. su questo rilancio - e sul ”reality check”del disastro ecologico Bp/Marea Nera - che al vertice canadese il presidente giocherà la sua partita ambientale. Sul piano interno Obama è andato anche avanti con la sfida populista.
Dopo assicurazioni mediche e banche, ha attaccato le compagnie petrolifere. E ha incassato un assegno da 20 miliardi di dollari dalla Bp. Corredato da un ”bonus” gradito e inaspettato: le scuse alla Bp del deputato repubblicano del Texas John Barton per l«aggressività dell’amministrazione contro gli inglesi ». Parole che hanno gettato lo scompiglio fra la leadership repubblicana, improvvisamente sulla difensiva sulla marea nera, e costretto Barton a chiedere scusa per le scuse.
Sulla carta dunque, la poltica del rilancio ha pagato. E a Toronto Obama cercherà di vendere al meglio il suo carniere. Ma perché non riesce a venderlo ai suoi concittadini? Due sondaggi del New York Times/Cbs e del Wall Street Journal/Nbc di ieri e due giorni fa, confermano che sulla marea nera Obama prende brutti voti e che l’umore degli americani che guardano avanti è pessimista. C’è ovviamente il problema economico: pacchetti di stimolo, esenzioni fiscali, interessi a tasso zero non hanno ancora portato a regime il colosso economico americano.
Ma l’economia da sola oggi non basta a spiegare questa debolezza interna di Obama. Ci sono infatti altri due limiti molto più radicati nel carattere stesso di questo presidente. Dai suoi interventi, dai suoi atteggiamenti, dal rifiuto di parlare per 54 giorni con le ”aziende”, con i protagonisti del settore dopo lo ”spill”, dal diktat imposto alla Bp (soprattutto in materia di dividendi) abbiamo avuto la conferma che il sentimento di Obama è uno dei più ”antibusiness” che abbiamo mai visto alla Casa Bianca negli ultimi 50 anni. Due giorni fa Ivan Seidenberg, il Ceo di Verizon e presidente della Business Roundtable, una delle più grandi associazioni industriali americane, lo ha persino formalizzato in una dichiarazione scritta.
Sul fronte internazionale poi, la gestione della crisi con la Turchia, un alleato dell’Occidente alla deriva verso il Medio Oriente, conferma che troppo spesso il presidente manca di polso, non ha il coraggio di giocare d’anticipo, dà l’impressione di essere incerto e confuso quando si tratta di andare controcorrente. Essere antibusiness e non avere polso non sono due cose da poco. Gli americani non sono per natura – antibusiness”, e in politica estera preferiscono essere temuti e rispettati piuttosto che amati e ignorati. Ma Obama impara sul campo.
Con l’affare McChrystal si è accorto che il decisionismo paga più del gesto magnanimo. Presto si accorgerà che il dialogo con il mondo degli affari è più importante del confronto. Anche per l’opinione pubblica. Intanto, nonostante il pessimismo estremo di ieri di Karl Rove sul Wall Street Journal, qualche segnale in arrivo dal gioco al rilancio per Obama c’è: i sondaggi medi di Real Clear Politics lo danno attorno al 48%. Un paio di mesi fa era al 41-44 per cento.