Diego Motta, Avvenire 25/6/2010, 25 giugno 2010
PRATO, NELL’INCUBO DI CHINATOWN
L’ aria è irrespirabile, i sacchi dell’immondizia neppure nascosti, i letti sfatti a pochi metri dai macchinari. Ji Lin si è appena alzato, sbadiglia ancora, mentre Ziang Ye Juan ha paura. Non si aspettava questa visita di primo mattino, da parte delle forze dell’ordine. Deve essere un incubo. He Bein sta dando le proprie generalità a un ufficiale di polizia, due ragazzi capiscono subito quel che sta succedendo e scappano da una finestra laterale, altri si nascondono dietro enormi scatoloni. solo un controllo di routine nella zona industriale di Prato, in una delle stamperie di tessuti «made in China» spuntate come funghi in questi anni, ma basta questo per aprire uno squarcio drammatico sullo sfruttamento della manodopera immigrata nel nostro Paese.
Stabilimenti tessili aperti 24 ore su 24, con turni di 16 ore. Si lavora ininterrottamente, si mangia mentre si lavora, ci si riposa in fabbrica. Sono gli stabilimenti dormitorio, dove è vietato uscire anche solo per prendere una boccata d’aria. Sui materassi qualcuno ha abbandonato un pc portatile, dietro alle scale sono accatastate diverse paia di ciabatte, sopra il frigorifero c’è cibo andato a male. L’odore che arriva dalle cucine è nauseabondo. «Per loro è normale lavorare, mangiare e dormire nello stesso posto» spiega Bruno Buzzi, che coordina le operazioni per conto della Questura di Prato.
A un certo punto, dal nulla compaiono in tre e si siedono vicino alla spazzatura. Sono distrutti dalla fatica, hanno lo sguardo perso, forse non riescono neppure ad alzarsi. la scena peggiore, ricorda uno dei tanti fotogrammi che arrivano da qualche zona sperduta dell’Asia. Ma siamo nel cuore dell’Italia, in Toscana. Non parlano, o meglio, parla solo la loro rassegnazione. Sanno già che verranno identificati, portati via, interrogati. Se i loro capi (ammesso che vengano individuati) rischiano di incorrere nel reato di sfruttamento della manodopera clandestina, loro sono irregolari a tutti gli effetti