Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 25 Venerdì calendario

ESERCITO EUROPEO ANCORA DA ARMARE

Pensavano in grande i Mon­net, gli Schuman e gli Ade­nauer, i De Gasperi, gli Sfor­za e gli Spaak. Vagheggiavano per l’Europa una comunità militare so­vrannazionale, baluardo all’ine­luttabile declino del continente po­st- bellico. L’idea naufragò quasi su­bito e nessuno osò più riesumarla. La politica ’difensiva’ dell’Unione europea può riassumersi oggi in poche parole: procedure comples­se, istituzioni fragili e forze limita­te. Mancano un comando operati­vo, boicottato apertamente dai bri­tannici, e una voce stabile nel bi­lancio. Si vorrebbero 60mila uo­mini capaci, se necessario, d’in­tervenire contemporaneamente in due teatri distinti, per almeno due anni. Ma fino al 2014, e presumi­bilmente oltre, sarebbe impossibi­le proiettarli oltremare. Il trattato di Lisbona auspica sen­za imporre. Introduce il principio di un fondo ad hoc per gestire le operazioni militari e una clausola di solidarietà fra Stati membri, il cui casus foederis scatterebbe an­che in caso di guerra difensiva. Ma ogni volta che delinei scenari lun­gimiranti, preserva il diritto di ve­to e di recesso. Ha tuttavia un me­rito: aver compreso che la difesa, prima di accomunare, dividerà la Ue: vanno in tal senso le coopera­zioni rafforzate fra gruppi di Pae­si più omogenei, sorta di avan­guardie capaci di decisioni ambi­ziose e più spedite. Ma quali? Tut­te le azioni esterne, ora ampliate all’antiterrorismo, richiedono u­na deliberazione unanime del Consiglio e l’euro-paralisi è sem­pre dietro l’angolo. la lotta pluridecennale fra velleità comunitarie e gollismo intergo­vernativo, in cui comincia a insi­nuarsi anche il Parlamento, sem­pre più affascinato dalle tematiche della politica difensiva. L’Assem­blea dei popoli europei sta affer­mandosi come una sorta di think tank: dibatte, presenta mozioni ed esercita un’influenza indiretta gra­zie al potere di bilancio. E qui si tocca un altro tasto dolente. L’in­tera costruzione comunitaria si regge su un portafoglio non più o­pulento della regione Lombardia: 100 miliardi di euro circa, metà dei quali già ipotecati dalla politica a­gricola (40%) e dalle spese di eser­cizio (10%). Come se non bastasse, gli investimenti nella difesa hanno scarsa priorità sia per la Ue, sia per gran parte dei Paesi che la com­pongono: nel decennio 1999-2009, sono diminuiti dal 2,1 all’1,63% del Pil. I tagli annunciati quasi ovun­que lasciano desumere un altro de­cennio di decurtazioni.
Sia chiaro, dall’esordio della poli­tica di difesa a oggi, qualcosa è ma­turato. Sono nati 18 gruppi tattici, disponibili a rotazione e forti di 1.500 uomini ciascuno. Sono state rafforzate le componenti leggere preesistenti, tanto terrestri (Eu­rofor), quanto marittime (Euro­marfor), ed è stato avviato un mec­canismo di prontezza operativa. L’esperimento più riuscito sareb­be la brigata franco-tedesca (Bfa), se non fosse che i 5mila uomini, inquadrati nell’Eurocorpo, sono scarsamente integrati. In Afgani­stan, lo stato maggiore e il coman­dante della Bfa hanno capeggiato la brigata multinazionale di Kabul, in seno all’Isaf.
Con il 110° reggimento di fanteria, c’era un ufficiale francese di cui conserviamo l’anonimato nel rife­rirne il racconto: «Sono stato in tea­tro tre volte, con i tedeschi. Ognu­no aveva responsabilità sul proprio settore, rigorosamente separato e uni-nazionale. Ci si è limitati a qualche pattuglia congiunta, più per compiacere la stampa che per forgiare uno spirito comune».
Finora, la Ue ha accumulato 25 mi­cro- missioni, fra Balcani, Caucaso, Medioriente, Africa e A­sia. Quando è stata chiamata a intervenire in Ciad (2008), ha fati­cato non poco a reperi­re uomini e mezzi. Dei 4.300 soldati previsti, ben 600 son rimasti sul­la carta. I restanti han­no operato grazie alla collaborazione tecnica ed elicotteristica russa, senza incidere minima­mente sulle condizioni di sicurezza del Paese o­spitante.
Se non altro, l’Eufor Ciad ha avuto il merito di eviden­ziare il progressivo coinvolgimen­to della Commissione nell’iter de­cisionale della politica di difesa. un fatto nuovo, ratificato dal Trat­tato di Lisbona, e meritevole di es­ser segnalato, anche perché la di­rezione ’affari esteri’ è più florida dell’insieme politica estera e poli­tica di difesa. In Commissione è un susseguirsi d’iniziative, a partire dalla duplice direttiva del 2009, emanata per fa­vorire l’integrazione del mercato della difesa e preservare la base tecnico-industriale del comparto europeo. Gli Stati membri hanno tempo fino a giugno 2011 per a­dottare nelle commesse militari procedure tanto omogenee quan­to trasparenti, limitare il protezio­nismo interno e promuovere acqui­sti dal respiro euro­peo. Tutto bene, se non fosse che il re­gime sanzionatorio e di controllo è ca­rente in più parti e darà adito a molte­plici incogruenze.
Quando l’Agenzia europea per la difesa si è data pe­na di conteggiare i programmi e­sistenti nel settore dei blindati ne ha censiti ben 23: uno spreco di risorse in un settore meno strate­gico di altri. Nella ’fortezza Eu­ropa’ almeno 10 aziende vanta­no competenze ’irrinunciabili’ nel ramo, monopolizzano i ri­spettivi mercati e si disputano gli altrui senza esclusione di colpi.
Nonostante l’impellenza di siner­gie cooperative, nulla è stato fatto: la francese Nexter e la tedesca Kmw sembravano propendere per un dimostratore tecnologico, ma il partenariato è rimasto lettera mor­ta. Sopravvive solo il Boxer, pro­getto nato come tedesco-olandese e divenuto ’pan-germanico’.
La divisione infraeuropea fa il gio­co dei concorrenti statunitensi: Ge­neral Dynamics ha fatto shopping in Austria, Spagna e Svizzera, pri­ma di accaparrarsi una commessa britannica da 2 miliardi di sterline. E dire che le opportunità di ricer­ca congiunta non mancherebbero certo: nell’elettronica e nella ve­tronica, nella robotica terrestre e nella blindatura dei mezzi.