Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 24 Giovedì calendario

LA MARATONA IN AULA NON FERMA IL BAR SPORT

Il malumore è comprensibile, ma probabilmente appartiene a chi non abbia seguito la partita a Montecitorio. Lì, è stato uno spasso. Lì, il coraggio e l’estro mancati agli azzurri del calcio sono stati distribuiti con dovizia brasiliana, tutto un colpo di tacco e una rovesciata regolamentare. Insomma, un tripudio. Ed era cominciato con l’Italia dei Valori impegnata a fissare i congiuntivi giusti per difendere la cultura: passeranno sul nostro corpo, dicevano, prima di tagliare un euro agli enti lirici. Avevano trascorso la notte in aula e ieri mattina alla Camera erano già ciondolanti, le cravatte lente, le barbe lunghe, le braghe stropicciate e la solita plumbea determinazione. Discutevano (un aperitivino) se fosse più grave l’assenza di Pierferdinando Casini, che aveva mollato per un sonno di quattro ore, o il cedimento di virilità di Tonino Di Pietro, accasciato ronfante sullo scranno.
Quelli dell’Idv, ecco, annunciavano dunque l’ostruzionismo, non avrebbero fatto muovere foglia, occupato ogni spazio per parlare, e nella persona dell’onorevole Pierfelice Zazzera arrivavano - che classe! - alla recita dei sacri versi di Goffredo Mameli. Lì c’era l’applauso, col magone bipartisan però, perché la partita stava andando a cominciare. Ma ormai gli illustri emiciclanti si erano zappati i piedi da sé, a furia di fare i fenomeni. Di Pietro aveva accusato Pd e Udc di intelligenza col nemico allo scopo di sgombrare in tempo per il fischio d’inizio. E Casini allora si era indignato: sarete voi che volete vedere la partita, noi resteremo qui a votare finché servirà.
E’ andata così, insomma. Non potevano più tirarsi indietro. E chi alle 15, a un’ora dal match, ancora sosteneva che siamo in Italia, e che la seduta in un modo o nell’altro sarebbe stata sospesa, non aveva considerato che effettivamente siamo in Italia: il genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione. Ma soprattutto è improvvisazione. «Stanno girando i link», avvertivano in Trasatlantico. E cioè gli indirizzi internet cui collegarsi per assistere a Italia-Slovacchia. Alle 15,50 l’aula era piena. I computer erano tutti aperti, si cominciava a navigare, a cliccare, a maledire gli intoppi della tecnologia. Qualcuno però ce la faceva. Da lassù, dalle tribune, i giornalisti vedevano qui e là la grinta di Ringhio Gattuso alle note dell’inno. Insomma, mentre tutto il Paese guardava la partita, i deputati, per darsi finalmente un tono, dicevano di non guardarla, ma la guardavano. Un semplice intrico di onesta italitudine. Sennonché il bello doveva ancora cominciare.
Si stava ancora sullo zero a zero, era metà del primo tempo, e qualche svogliato cronista si era trascinato in sala stampa per seguire la sfida, poiché i portatili degli onorevoli erano troppo distanti per apprezzare la manovra. Ed è lì che dal nulla è comparso un commesso armato di telecomando. Uno a uno, ha spento tutti i televisori, e proprio mentre segnava la Slovacchia, e intanto che gli spettatori si spostavano sull’apparecchio a fianco per vedere il replay, il commesso lo spegnava, inesorabile, fino all’ultimo schermo. Minacciato di morte, il gufo confessava che l’idea era stata di tal Roberto Iezzi, capo dell’ufficio stampa di Montecitorio. «Questa è la Camera! Non è uno stadio!», diceva Iezzi iratissimo, raggiunto al telefono.
Ma nel frattempo tutti si erano organizzati. Si accendevano tv in stanzine dimenticate, si trovavano drappelli di tifosi in angusti corridoi. I parlamentari uscivano a ogni votazione per l’aggiornamento, verso monitor di fortuna, e poi tornavano in aula con scatti invidiabili da uno Iaquinta. Alla sala Berlinguer, del gruppo Pd, c’erano maxischermo, poltroncine e aria condizionata. I commessi e i portaborse, che la gremivano, cacciavano gli intrusi della stampa. Rosi Bindi, presidente di turno, aggiornava i colleghi: ha segnato la Slovacchia.
Ma i più sapevano, si connettevano coi computer, coi BlackBerry, con l’iPhone. E più passava il tempo più annacquava il pudore. Il problema era lo sfasamento delle connessioni: qualcuno era indietro di due minuti, altri di dieci, e i parlamentari non si raccapezzavano. Si sentiva uno strillo: «Due a due!». E un altro: «Ma sei ciucco? Siamo tre a uno». Comunque, al due a zero la Bindi segnalava il tracollo. Al primo gol dell’Italia si sentivano urla di gioia soffocata e si vedevamo parlamentari rientrare in aula serrando i pugni. Al due a due (poi annullato) i severi delegati del popolo accendevano i mortaretti: stava parlando Paola Goisis, della Lega, quando un boato e un formidabile applauso hanno scosso l’assemblea. La Goisis si guardava intorno, incredula del successo oratorio, finché si accorgeva che l’entusiasmo scaturiva via satellite. Il finiano Fabio Granata sveniva di felicità addosso alle colleghe leghiste. Italo Bocchino abbracciava famelico Fabrizio Cicchitto, superando tutte le incomprensioni correntizie, in una carnalità che il nuovo reggente, il vicepresidente Antonio Leone, scambiava per agguato: «Lasciate stare il collega Cicchitto!».
Ormai le notizie si inseguivano col sapore della leggenda metropolitana. Punteggi incontrollati si diffondevano di gruppo in gruppo. Si favoleggiava di triplette di Quagliarella. E mentre i dipietristi si lanciavano in ringraziamenti come alla consegna dell’Oscar - al ministro Sandro Bondi (trentacinque ore di aula) fino all’ultimo degli inservienti - per l’esempio di serietà dimostrato all’intero Paese, capannelli di colleghi cercavano di ristabilire una verità credibile. Sconfitta ed eliminazione venivano dunque certificate, la mascherata finiva in cupezza, ma restava il gusto di un pomeriggio capolavoro.