Guglielmo Buccheri, la Stampa 25/6/2010, 25 giugno 2010
CON LA COREA FU UN BLACK OUT. QUESTO? DISASTRO ANNUNCIATO"
[Intervista a Gianni Rivera]
Middlesbourgh, 19 luglio del ”66: un dentista coreano, Pak Doo Ik, ci sbatte in faccia la porta del Mondiale. L’Italia torna a casa subito, come quattro anni prima in Cile e come accadrà otto stagioni dopo in Germania. Racconto di spedizioni azzurre senza gloria, interrotto dalla parentesi quasi storica del secondo posto in Messico nel ”70 dopo il trionfo all’Europeo del ”68. Racconto di avventure (e disavventure) italiane con un filo conduttore, la presenza nel gruppo della nazionale di Gianni Rivera.
Slovacchia-Italia 3 a 2, come mai?
«La luce non si è spenta all’improvviso perchè la nostra eliminazione parte da lontano: nessun black-out, ma una lenta, e inesorabile, parabola discendente...».
C’è un colpevole?
«Il ko è di tutti e, tutti, devono sentirselo addosso. Questa è una macchia nella nostra storia, ma di macchie ne abbiamo avute altre e il calcio italiano è sempre riuscito a ripartire».
Come ci si rialza da una disfatta tanto inaspettata quanto rumorosa?
«Quando l’arbitro fischia la fine vorresti sprofondare. Per un attimo ho ripensato al gol del dentista coreano, la rete che ci mise fuori dai giochi nel ”66: allora fu un fulmine a ciel sereno perchè giocavamo contro una squadra sconosciuta e finimmo a gambe all’aria. Stavolta è diverso...».
Come se ne esce, allora?
«Dormi poco, sei triste, pensi al fallimento: quando giochi per l’Italia hai un paese alle spalle e se cadi è un disastro. Tornando alla Corea del Nord, ricordo di non aver chiuso occhio nel viaggio di ritorno, ma anche che giurai che non sarebbe più accaduto. No, non ho mai creduto fosse giusto chiedere scusa perchè in campo vai per dare sempre il massimo. A volte può non bastare».
Paura e rassegnazione. Questo è sembrato l’atteggiamento che ha accompagnato gli azzurri...
«Se esci al primo assalto è colpa di un’organizzazione che non ha funzionato. E’ sempre stato così. Oggi, l’Italia, ha la fortuna di aver già voltato pagina: c’è un nuovo tecnico che potrà mettersi subito al lavoro senza perdita di tempo. E, soprattutto, non dando vita al noioso balletto su una successione che è stata firmata prima della resa».
E’ tutto da cancellare nell’agenda della Nazionale in Sudafrica?
«Il nostro calcio non sta attraversando un buon momento, ma andrei piano con i processi senza appello. Dopo la Corea, ci fu la finale con il Brasile del ”70: il clamore per l’eliminazione sarà assordante, ma stiamo parlando di sport e lo sport ti dà sempre la possibilità di risorgere».
Dove ha sbagliato Lippi?
«Non abbiamo giocato con la faccia dei vincenti. Però finiamola con la storia della riconoscenza: Chiellini quattro anni fa a Berlino non c’era eppure ieri ha perso il tempo sul secondo gol della Slovacchia pur essendo stato, a mio avviso, il migliore in campo fino a quel momento».
E le colpe della Federcalcio?
«Si va a casa anche per un pizzico di sfortuna. Ripeto: la parola fine era scritta ancor prima di cominciare l’avventura e non siamo riusciti a cancellarla».
Quanto possono aver influito le polemiche extracalcistiche che hanno accompagnato il cammino della Nazionale?
«Bossi, la Padania o Calderoli? Niente. Sei ad un campionato del Mondo, l’unico obiettivo è quello di lasciare il segno. Il resto sono chiacchiere da bar e, semmai, fanno arrabbiare chi le fa e non finisce sui giornali».
Da Pak Doo Ik, il dentista coreano del ”66, a Vittek, l’ariete slovacco di ieri. Se dovesse dare un consiglio su come dimenticare più in fretta possibile, cosa direbbe?
«Non si dimentica mai. Ma guai ad abbattersi: io, una volta sbarcato di nuovo in Italia, pensai immediatamente che non ci sarebbe stata un’altra volta così. Il giorno dopo ero già con la mente al futuro perchè il calcio non muore mai. E, poi, adesso c’è la fortuna che il domani è appena cominciato: Prandelli avrà molto da lavorare, ma è preparato.».