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 2010  giugno 24 Giovedì calendario

LA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI CHE TUTTI PERDONO

Lo confessiamo. Il nostro tradizionale ottimismo sta lentamente cedendo dinanzi al quadro generale del paese. Indagini a gogo che dimostrano una somma di interessi privati e di comportamenti illeciti che non hanno nulla a che fare con il finanziamento della politica, territori assolutamente non manutenuti con frane a ripetizione al centro, al nord e al sud, le grandi infrastrutture ancora al palo nonostante i reiterati annunci, trasporti in affanno e in perdita, diffusione di una evasione ai limiti della eversione, università e ricerca sempre più in difficoltà, abusi inquirenti e reazioni legittime ma generalizzate e infine una guerra quotidiana di tutti contro tutti sono il quadro desolante di un’Italia che declina e si frantuma. Il tutto con il corredo di manifestazioni ai limiti della comicità, dalle marce della sinistra per la libertà di stampa ai ”promotori della libertà” per finire ad un amarcord medioevale come la riunione di Pontida. Oh mia patria sì bella e perduta, avrebbe musicato anche oggi il maestro Verdi dinanzi ad un paese attraversato da una crisi di identità drammatica e da una forbice sociale sempre più larga con una minoranza sempre più ricca e una maggioranza sempre più povera.
Si, una mancanza di identità culturale per la presenza di forze politiche che sono tutte al di fuori delle culture politiche europee. L’Italia, infatti, è l’unico grande paese del vecchio continente che non ha un partito socialista né un partito democratico-cristiano né un partito liberale, le tre grandi culture europee. Siamo noi anticipatori di una nuova era di felicità politica fatta di partiti personali, o come si dice, leaderistici, o, al contrario, sono le altre grandi democrazie europee a vivere politicamente in una continuità moderna, dove cioè la modernità è data da analisi nuove e nuove risposte a bisogni recenti e antichi?
Molti intellettuali, in larga parte di sinistra, ci hanno martellato negli ultimi 15 anni spiegandoci ogni giorno che l’identità era una parola maledetta, fonte di guai e di violenza. Hanno spinto tutti noi a cancellare dalla lavagna della nostra memoria le rispettive identità politiche lasciandoci in una disperata solitudine culturale, essa, sì, fonte di un pragmatismo deteriore che alimenta a sua volta il peggiore individualismo. Persone, istituzioni elettive, organizzazioni sociali, poteri dello Stato, sono tutti contro tutti
come ci testimonia mamma TV ogni giorno e nelle manovre finanziarie manca ogni visione politica ed economica.
Sembra non esserci una percezione di ciò che accade nella società, nel suo sviluppo, nella distribuzione dei sacrifici e del benessere, nelle sue eccellenze industriali e nei centri di ricerca e nelle sue parti più deboli e disperate. Non solo mancano idee globali ma anche quando esse vi sono, manca il coraggio per sostenerle quasi ci fosse un pensiero unico economico, figlio disabile di un unico modello politico.
Un esempio per tutti. Nessuno ha il coraggio di spazzare via quell’idea balzana secondo cui i lavoratori pubblici, che in questi anni hanno meglio difeso il proprio potere d’acquisto, devono diminuirlo per essere messi al livello di quelli privati invece di pensare a creare le condizioni per cui i lavoratori privati possano, essi sì, lentamente riportarsi al potere d’acquisto dei pubblici. Sembra insomma che tutti, da destra a sinistra, vogliano un’Italia più eguale nella miseria. E così non si ha il coraggio di elevare l’età per le pensioni d’anzianità anticipando la cosiddetta quota 97 prevista già per il 2013(61 anni di età e 36 di contributi) per cui ancora oggi, in una crisi come questa, si può andare in pensione a 59 anni (e molti dirigenti pubblici lo stanno facendo). Nessuno lo propone perché una tesi come questa fa perdere qualche voto ed ha la Lega contro.
Quando il consenso diventa l’incubo ossessivo dei partiti esso si trasforma, da strumento per governare, in un obiettivo fine la se stesso annullando il coraggio delle scelte (la vicenda Pomigliano e la posizione della FiomCgil ne è una testimonianza). La politica deve avere uno sguardo più lungo della società offrendo ad essa nuovi orizzonti e nuove speranze e non, viceversa, seguirla attraverso i sondaggi. Se accade il contrario come oggi vince la grigia quotidianità con la sua malinconia e il suo appiattimento, il suo egoismo e i suoi ricatti trasversali, le sue tentazioni e i suoi abusi che non trovano più argine nella coscienza dei singoli e delle masse. Di qui il nostro scetticismo di oggi e la nostra preoccupazione per un paese che frana lentamente a valle pur avendo potenzialità altissime. Potremo sbagliare e mai come questa volta l’errore sarebbe il benvenuto.