Claudia Guasco, Il Messaggero 24/6/2010, 24 giugno 2010
UN CAVILLO INGUAIA REN: NEGATA LA LIBERT VIGILATA
Dopo quarant’anni di carcere, ci sperava davvero. «Sono successi due episodi che mi auguro siano premonitori», confida nel corridoio al terzo piano del palazzo di giustizia, in attesa dell’udienza davanti ai magistrati del Tribunale di sorveglianza. «Ieri ho trovato due rondini nella cella e ci ho messo un bel po’ a farle uscire, mentre mia moglie Antonella ha sognato il volo di una farfalla». Due ore dopo Renato Vallanzasca è costretto ad ammettere che le premonizioni non esistono: il collegio presieduto da Maria Laura Fadda ha dichiarato inammissibile la sua richiesta di libertà condizionale, grazie alla quale avrebbe potuto scontare il resto della pena fuori dal carcere in libertà vigilata.
L’ex capo della banda della Comasina, che negli anni Settanta ha seminato il terrore a Milano con una feroce e intensa attività criminale fatta di rapine, sequestri di persona, traffico d’armi e di droga, accusa il colpo. Se ne va in fretta, scuro in volto, la moglie che cerca di consolarlo. «Non gli ha fatto certo piacere vedere respinta l’istanza che gli avrebbe potuto dare la libertà. Ma la ripresenteremo al più presto», annuncia il suo avvocato Alessandro Bonalume. Anche perché, spiega, la decisione presa dai magistrati è conseguenza solo di un «vizio procedurale» e non di merito. «Un intoppo burocratico che ha bloccato tutto»: Vallanzasca non ha pagato la multa di 3.000 euro derivante dal cumulo pena di alcune condanne a lui inflitte in passato. Ma per accedere alla libertà condizionale l’imputato deve aver adempiuto a tutti gli obblighi civili e pecuniari che derivano dai reati per cui è stato condannato, da qui l’inammissibilità. Il ”bel René” però è pronto a ripartire all’attacco. «Nei prossimi giorni depositeremo una nuova istanza e così verrà fissata un’altra udienza: nel merito siamo nel giusto - ribadisce il suo legale - perché Vallanzasca è la dimostrazione che la detenzione funziona e un cambiamento c’è stato». Nel frattempo l’uomo che è stato uno dei personaggi di spicco della mala milanese, condannato a 4 ergastoli e a 260 anni di carcere, continuerà a beneficiare del permesso di lavoro e a uscire ogni mattina dalla sua cella a Bollate per recarsi nella cooperativa che produce borse in pelle. Ironia della sorte, al suo primo giorno da dipendente (l’8 marzo) gli hanno rubato la bicicletta con cui era andato al laboratorio. Ieri mattina, per l’appuntamento con i magistrati, era un po’ nervoso ma ottimista. Si è presentato con largo anticipo, in camicia a righe, mocassini scamosciati e occhiali blu. «La libertà vigilata sarebbe un gran bel passo in avanti», ammette prima di essere chiamato dai giudici. Ha trascorso due terzi della sua vita dietro le sbarre e assicura di essere diverso. «Ho detto basta tanti anni fa, la ”mala” non è più quella d’un tempo. Chi mi conosce bene, come magistrati e poliziotti di una certa età, sa che sono cambiato». Vallanzasca si rivolge ad Antonella con gesti affettuosi e dispensa aneddoti, come quella volta che nel ”71 finì in prigione sotto falsa identità: «Mi trovarono in macchina dei passamontagna, avevo in tasca il tesserino universitario di un giovane e così ho scontato sei mesi con il suo nome». Il boss che ebbe come testimone delle prime nozze Francis Turatello dice che ora «i miei migliori amici sono i magistrati e le forze dell’ordine, con i quali ho a che fare da tanto tempo». Un uomo nuovo, ma non troppo. «Sono ancora ”fumantino”. Una volta però me le andavo a cercare, adesso se non mi infastidiscono non faccio niente». E se il paparazzo Fabrizio Corona si facesse avanti come ha fatto con Pietro Maso? «Voglio vivere con dignità la vita che mi resta», taglia corto René.