ENZO VIZZARI, la Repubblica 24/6/2010, 24 giugno 2010
CLASSICA MA NON TROPPO "ECCO LA RICETTA PERFETTA DELLA CUCINA ITALIANA"
Tradizione o innovazione? Tradizione con innovazione. Quasi tutti d´accordo, almeno a parole, i maggiori chef italiani nella risposta al quesito di fondo posto dall´Accademia Italiana della Cucina. La ricerca «Tradizione e innovazione nella cucina italiana», presentata ieri, è stata realizzata con un questionario sottoposto a una ventina di ristoratori-cuochi d´eccellenza, da Aimo Moroni a Massimo Bottura, da Massimiliano Alajmo a Ciccio Sultano. Dice Giovanni Ballarini, presidente dell´Accademia Italiana della Cucina: «Tradizione e innovazione sono due aspetti di un´unica dinamica: un´innovazione, infatti, per ritenersi buona deve comunque accrescere o perlomeno mantenere l´autorevolezza e il valore di precedenti conoscenze». E in effetti nessuno dei cuochi interpellati ha messo in discussione il principio che non può esserci innovazione senza solide radici nella tradizione. Come nessuno, con un paio d´eccezioni, si è attribuito una connotazione netta di "tradizionalista" o di "innovatore".
Pur nella profonda differenza degli stili e delle fonti di ispirazione delle varie cucine, si coglie nelle risposte la presenza di un filo rosso che accomuna i massimi interpreti della gastronomia italiana: la grande cucina si costruisce partendo da materie prima di qualità assoluta. Unanimi sul principio, gli chef si dividono fra coloro che affermano la pregiudiziale dell´origine dei prodotti (Romano Tamani, dell´Ambasciata di Quistello, definisce la sua «cucina del territorio, rinascimentale, gonzaghesca, con prodotti locali» mentre Gaetano Alia, di Castrovillari, sceglie «verdure del nostro orto, carni e pesci da fornitori storici») e chi invece, come Carlo Cracco, Aimo Moroni, Nadia Santini e la maggioranza degli altri, dichiara di acquistare il meglio ovunque si trovi. E mentre nessuno dei cuochi interpellati si definisce fautore della cucina molecolare, quasi tutti fanno uso di tecniche moderne di preparazione e di cottura (sottovuoto, a bassa temperatura, con l´abbattitore, eccetera).
Aperti alla ricerca e alla sperimentazione, dicono di provare in media almeno venti piatti nuovi all´anno, anche se non tutti poi vengono promossi ed entrano nella carta. Meno aperti, anzi decisamente provinciali e piuttosto presuntuosi, si confermano dodici su venti dei nostri grandi chef quando confessano di non visitare gli altri colleghi e quindi conoscerne la cucina solo per ciò che leggono e sentono dire. Salvo - non emerge dalla ricerca ma è una considerazione a margine - di mostrarsi i più severi e spesso ingenerosi critici dei propri colleghi: caposcuola in questo, da sempre, è Gualtiero Marchesi, peraltro indicato da nove colleghi su venti come il «più grande maestro della cucina italiana», seguito da Nadia Santini (Dal Pescatore) citata da sei. Utile, infine, la ricerca per rilevare il livello medio dei prezzi dei ristoranti top, nei quali occorrono per un pranzo circa 150 euro a testa, vini esclusi, in linea con la media europea ma senz´altro meno di quanto si spende nei locali di pari grado francesi.
Troppi 150 euro? No, anche questo lo dice la ricerca, se si tiene conto dell´incidenza dei costi generali e in particolare di quelli della manodopera: nei venti ristoranti considerati, a fronte di una media di quarantacinque coperti per ogni servizio, ci sono otto addetti alla sala e undici alla cucina, per un totale di ben diciannove addetti, poco meno di un addetto per due clienti. Con punte record per l´Enoteca Pinchiorri di Firenze e La Pergola di Roma, non a caso oggi i due ristoranti più costosi d´Italia, dove trentasei addetti, diciotto in sala e diciotto in cucina, si prendono cura di 55-60 clienti.