Luca Tremolada, Nòva 24/6/2010;, 24 giugno 2010
LA TERZA VITA DI PLAYSTATION
«Oggi siamo i leader indiscussi del 3D». Sul palco dello Shrine auditorium di Los Angeles Kazuo Hirai appare sicuro e sollevato, sembra essersi liberato di un fantasma. Nel 2006 il numero uno di Sony entertainment prese il posto di Ken Kutaragi, il padre visionario della Playstation, ereditando la Ps3, la macchina da gioco più costosa mai realizzata nella storia – solo a partire da marzo di quest’anno sarebbe venduta in profitto – e ritrovandosi a quattro anni dal lancio dietro a Wii e Xbox 360 per numero di console vendute (35,7 milioni di console nel mondo contro 67 milioni di Wii). In questi anni ha assistito a una rivoluzione nel mondo del gaming. Ma Hirai i conti intende farli dopo. Il ciclo di vita della Ps3, ha messo in chiaro, è di 10 anni. Ma più di ogni cosa è convinto di avere trovato nel 3D l’equazione per tenere insieme le diverse anime di un gigante dell’elettronica come Sony. «Mai come oggi - spiega a Nova24 - i televisori Bravia e la Ps3, le macchine fotografiche e computer, insomma gli asset che compongono Sony possono convergere su contenuti in tre dimensioni». Anzi, proprio i videogiochiper la Playstation 3 sono attualmente l’unica sorgente per chi ha deciso di acquistare televisori 3D ready. Ma la scommessa è rischiosa. Schermi e occhialini sono ancora poco diffusi nelle case come anche chi produce i contenuti. « un po’ come con l’alta definizione – osserva Hirai ”.All’inizio ci si domandava perché passare all’Hd.Quando poi sono arrivati videogame, film e trasmissioni insomma contenuti non se lo è chiesto più nessuno. Così avverrà con il 3D. E i driver principali saranno sport, film e naturalmente videogame. Noi come con l’Hd e il Blu Ray stiamo investendo massicciamente nella produzione di contenuti ma anche i content provider dovranno fare la loro parte». Il successo di una tecnologia è legato all’ecosistema di produttori che si forma intorno a essa. E Kazuo questo la imparato nel corso della sua carriera. Nel 2006 accorciare i tempi di sviluppo dei giochi e stimolare le terze parti a scrivere programmi per Ps3 fu il primo nodo da sciogliere. I tempi dei fasti della Ps2 erano già passati. La macchina progettata da Kutaragi è stata a lungo la migliore un circolazione. E anche la più venduta al mondo. Ma il mercato è cambiato. I rivali non sono stati a guardare, introducendo nuove tecnologie portatili (Nintendo 3DS) e una vocazione sempre più casual dell’industria videoludica (Kinect di Microsoft) videoludica. In più nuovi attori (Apple) si sono affacciati. Nessuna di queste "novità" sembra però preoccupare più di tanto Hirai: «L’iPad? Perfetto per portare l’esperienza di gioco a chi non aveva mai conosciuto i videogame. Ma senza bottoni la meccanica di gioco ne risente troppo. E i game si limitano a intrattenimenti di pochi minuti». Sicuro anche su Nintendo 3DS, la vera sorpresa di quest’anno. «Non l’ho ancora provata ma sono convinto che l’esperienza in 3D più immersiva è quella con schermi e occhialini. Ci vuole tempo e ricerca per calibrare il 3D – spiega il manager e lancia un messaggio a tutti gli attori del 3D ”.Bisogna lavorare bene per garantire la migliore esperienza possibile. E ci vuole tempo». Come dire, su questa tecnologia vietato sbagliare, l’effetto deve essere soddisfacente e non dare fastidi. Anche sulla rivoluzionaria interfaccia di Microsoft Kaz Hirai non rinuncia a una battuta: «Non ho ancora provato Kinect. Ma Sony ha già esplorato con la videocamera Eye Toy ( 2003 ndr) l’opzione del gioco con il solo movimento del corpo. Crediamo che vada benissimo per games molto molto semplici. Ma se, per esempio, occorre sparare ci vuole un bottone o qualche cosa di fisico da premere ».
Chiose a parte, è difficile intuire anche solo dalle espressioni del manager giapponese se su Eye Toy qualche errore di valutazione ci sia stato. Move, il nuovo sistema di gioco che uscirà a ottobre formato da una videocamera che rileva i movimenti di un controller a forma di microfono, sembra però in termini tecnologici un passo avanti al "vecchio" Wimote di Nintendo e uno indietro a Kinect di Microsft. Ma certamente più avanti di entrambi sul fronte dell’integrazione tra questa modalità di gioco e il 3d. Non a caso Killzone 3, lo sparatutto in 3D più atteso dal pubblico della Ps3 sarà compatibile con la nuova periferica. Il che spiega bene dove Sony voglia andare a parare: 3D, effetti speciali e una interfaccia per casual e pure per hard core gamers.
Nessun indizio invece su quella che accadrà dopo la Ps3. Se è vero che Xbox sta già lavorando alla prossima console e Wii si appresta a lanciarne una nuova a breve, i dieci anni di ciclo di prodotti previsti da Hirai potrebbero non bastare. «La Ps4? Non dirò nulla – sorride il capo di Sony entertainment ”. Qualcuno pensa che la console sparirà. Tutto sarà sul cloud, disperso nel network. Il che potrebbe anche essere possibile ma funzionerebbe solo in paesi con un’alta penetrazione della banda larga come Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. E nel resto del mondo? Il business non si può permettere di investire per pochi». Ci vorrebbe una visione tecnologica di lungo termine. Forse ci vorrebbe un visionario, qualcuno potrebbe malignare. Ma oggi nei piani di Sony la prospettiva è il 3D e il business. Il fantasma di Kuturagi forse ha trovato il suo esorcista. O forse non lo troverà mai. • IL PRESUNTO FLOP DEL PLOT GAME - Qualche bel panorama, una manciata di minuti di dialoghi e poi giù a sparare per ore. David Wong, scrittore di racconti horror ha consegnato al sito per appassionati di videogame, Craked, tutta la sua delusione per come non si sono evoluti i videogame paragonandoli a B-movies. Personaggi stereotipati, dialoghi scritti per adolescenti dagli ormoni impazziti e una struttura del gioco sempre uguale a se stessa che alterna due minuti di storia ad almeno venti dedicati ai combattimenti. La tesi del suo intervento, che ha mandato su tutte le furie i cultori del gaming, è che i videogiochi, nonostante i quasi quarant’anni di storia, siano rimasti per la grandissima parte un intrattenimento ancora immaturo e, comunque, sempre uguale a se stesso. Come se il cinema avesse scelto di produrre solo film d’azione e splatter o film d’animazione per bambini. In un certo senso è così: l’E3 di quest’anno ha conosciuto una celebrazione senza precedenti degli sparatutto, un genere di giochi d’azione dove sostanzialmente si esplora un mondo in 3D imbracciando un fucile . Tuttavia, quella di Wong resta una provocazione. Se guardiamo dall’altola produzione dei videogame (si legga la pagina accanto, ndr )
dagli anni Settanta a oggi è difficile non accorgersi di quanto il prodotto videoludico sia cambiato. Non solo da un punto di vista tecnologico ma anche dei contenuti. Neppure il cinema ha conosciuto una così ampia diversificazione in generi e sottogeneri. Insomma, le eccezioni non sono eccezioni. L’elenco sarebbe lunghissimo, da Heavy Rain a Red Dead Redemption, solo per citare gli ultimi. E a dimostrarlo concorrono i moltissimi scrittori, registi e artisti che vuoi per spirito di sperimentazione vuoi perché attratti da una industria da 51 miliardi di dollari si sono convertiti al videogame lavorando a stretto contatto con softweristi e designer. Peraltro non senza qualche difficoltà dovuta alla natura del medium, come sulle pagine di Edge ,
ha sottolineato Karen Travis, autore di best seller del «New York Times» e impegnato nella trama del gioco Gears of War 3: «Ci vuole tempo per apprezzare il fatto che come scrittore non puoi controllare quello che il giocatore vede e ascolta. Puoi solo costruire la trama dentro cui lui automamente può decidere di esplorare».
Un altro tipo di scrittura quindi, sicuramente diversa nella sintassi, ma non meno complessa rispetto a quella che anima cinema e libri. «Lo sviluppo della trama e il processo di sceneggiatura è sempre vivo lungo tutte le fasi di sviluppo del gioco – spiega Haiden Blackman, executive producer della Lucas Arts ”. Il lavoro inizia presto durante la fase di pre-produzione e continua fino ai round finali di test del prodotto. Lavoriamo a fondo per assicurare che la storia e il game design possano evolvere fianco a fianco e abbiano un’influenza positiva l’uno sull’altra. Strutturare lo sviluppo della trama e dei personaggi può richiedere solo poche settimane o mesi, ma successivamente la storia progredisce di pari passo al design del gioco, cosa che richiede una revisione costante. Di solito la sceneggiatura di un film corre su una linea più diritta rispetto a quella di una trama per un videogioco, ma anche in questo caso è richiesto un enorme impegno di scrittura che può durare mesi». Le variabili in gioco in un videogame sono però superiori a quelle di un film. In primis la tecnologia. I nuovi controller presentati a Los Angeles – da Kinect a Move e prima ancora la Wii – offrono nuove opportunità di interazione. Così come il 3D applicato al gaming ha lo scopo di immergere ancora di più l’utente nell’azione e quindi nella storia. Per chi scrive la sceneggiatura, per chi progetta la trama le difficoltà quindi aumentano con il crescere dei livelli di interazione. «In un gioco in single-player che si sviluppa intorno a un personaggio centrale e a una forte struttura narrativa, il giocatore sarà portato a voler incarnare quel personaggio per diverse ore, ci deve qualcosa intorno a questo personaggio che sia piacevole o particolarmente attraente », osserva il producer di Star Wars: The Force Unleashed II, gioco atteso a ottobre. La storia conta quindi. Chiaramente non sempre: in un platform
come Supermario è e resta marginale. Ma la necessità di dare profondità e creare evoluzione sembra essere sentita anche laddove prima non c’era. Addirittura negli sparatutto, come sostiene Mark Lamia, presidente di Treyarch, lo sviluppatore che sta seguendo Call of Duty: Black Ops. Un blockbuster nel mondo videogame. Il capitolo precedente Call of Duty: Modern Warfare 2 ha incassato oltre 1 miliardo di dollari. «Per la prima volta – racconta Lamia – il personaggio ha una evoluzione. Il videogame racconta le operazioni segrete di squadre specializzate durante la guerra fredda. Per realizzarlo si sono avvalsi di attori veri per ottenere attraverso la motion capture
espressione e dialoghi realistici. La trama è stata scritta con l’ausilio di militari e consulenti, come il maggiore John L. Plaster. «Volevamo raccontare una storia – ha spiegato a «Nòva 24», Lamia ”. Lo abbiamo fatto con dialoghi, musica, sequenze cinematografiche e naturalmente con il gameplay. Conta tutto nel videogame. Anzi, sono convinto che oggi i giochi possano riassumere le altre arti. Come letteratura e il cinema. Per certi versi ”, ci pensa un attimo – sono diventati il posto migliore dove esprimere se stessi».