Sissi Bellomo, Il Sole-24 Ore 24/6/2010;, 24 giugno 2010
«KIMBERLEY» IN CRISI SUL CASO ZIMBABWE - A
dieci anni dalla sua creazione, il Kimberley Process sta affrontando in questi giorni la peggiore crisi della sua storia. Una crisi di coscienza, innanzitutto. L’organismo ”nato per impedire il commercio dei "diamanti insanguinati", fonte di finanziamento di tante guerre civili – sta decidendo come comportarsi nei confronti dello Zimbabwe. Il governo del paese africano è accusato a gran voce dai movimenti per i diritti umani di non aver affatto interrotto le violenze dell’esercito nei giacimenti di Marange, un’ampia zona diamantifera che si sta rivelando ancora più ricca del previsto. Un ispettore inviato dal Kimberley Process, il sudafricano Abbey Chikane, ha tuttavia redatto un rapporto favorevole ad Harare, al termine di una recente missione nel paese: «Lo Zimbabwe – scrive Chikane – ha soddisfatto i requisiti minimi per il Kimberley Process Certification Scheme (Kpcs)». Il suo parere, insomma, è che si possa dare via libera all’esportazione delle gemme, con tanto di garanzia che non si tratta di diamanti insanguinati. Chicane riconosce che la militarizzazione dei giacimenti – avviata nel 2006 per espellere migliaia di minatori illegali, operazione che ha comportato un vero e proprio massacro – non è in linea con le raccomandazioni del Kimberley Process. Tuttavia, osserva che un ritiro immediato dell’esercito sarebbe troppo rischioso.
Di solito le raccomandazioni di un ispettore vengono recepite in modo semi-automatico dall’assemblea del Kimberley Process, di cui fanno parte esponenti di governi, società minerarie e organizzazioni per i diritti umani, in rappresentanza di 75 paesi. L’organismo, che in questi giorni è riunito a Tel Aviv, è tuttavia profondamente spaccato, con alcune prestigiose Ong – come Human Rights Watch e Global Witness – che minacciano di abbandonare l’organizzazione in caso di via libera all’export di quelli che considerano a pieno titolo "diamanti insanguinati". In crisi è lo stesso statuto del Kimberley Process, che bandisce soltanto le gemme destinate a finanziare la guerriglia e non contempla la possibilità di punire anche i governi che dovessero macchiarsi di violazioni dei diritti umani.
La posta in gioco è altissima. Anche perché un gruppo di geo-logi, sostenuto dall’Onu e dallo stesso Kimberley Process, ritiene che i giacimenti di Marange possano essere ancora più fecondi di quanto non si pensasse: addirittura tra i più ricchi del mondo, capaci di fruttare 1-1,7 miliardi di dollari l’anno. Solo nel 2010 il blocco dell’export avrebbe causato l’accantonamento di diamanti per 4,4 milioni di carati.