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 2010  giugno 23 Mercoledì calendario

«SONO COMUNISTA E VOTO SI’. L’ALTERNATIVA SI CHIAMA CAMORRA»


Si definisce «orgogliosamente e testardamente comunista». Senza tessera: non rinnova più quella del Prc da due anni. Ha votato sì «a testa alta». «Non ho niente di cui pentirmi: sono iscritto alla Fim (i metalmeccanici della Cisl, ndr), e penso che il mio sindacato abbia dato
prova di grandissima responsabilità siglando l’accordo con la Fiat».
Gerardo Giannone ha meno di quarant’anni, un pizzetto molto ideologico e una convinzione, da cui ha fatto discendere la sua scelta al referendum. «Se chiude la fabbrica consegniamo 17 mila persone alla camorra: 17 mila potenziali arruolati tra addetti diretti, indiretti e indotto. Una moltitudine a rischio di passare, armi e bagagli, dalla parte dell’antiStato. Essere comunisti, oggi, significa questo: preoccuparsi delle condizioni di contesto. E noi tutti, in questo territorio, siamo seduti su una polveriera». Lavora alla verniciatura, Gerardo: «Io il conflitto lo porto dentro la fabbrica tutti i giorni, lottando per migliorare le condizioni di lavoro dei compagni. Non mi tiro indietro, mai. La smobilitazione del Giambattista Vico farebbe crollare del 20% il Pil della Campania: i dati macroeconomici ci dicono questo, il resto sono chiacchiere. E chiacchiere e tabbacchere ”e legno ”o Banco ”e Napule nun ne
’mpegna".
Gerardo è un fiume in piena, quasi impossibile fermarlo: «Autoconfinarsi nella ridotta massimalista significa, per una parte del sindacato, favorire il disegno di questo governo e di questa maggioranza, teso ad eliminare dalla scena politica e sindacale ogni forma di dissenso organizzato. Così veramente nessuno disturberà più il manovratore. Siamo già fuori del Parlamento, vogliamo farci cacciare anche dalla fabbrica? Io con Marchionne voglio continuare ad averci a che fare, voglio continuare a contrappormi a lui su tutto: sugli orari, gli scioperi, le malattie, i turni, le condizioni di lavoro».
«Mi alzo alle quattro e mezza tutte le mattine per venire a lavorare, per essere alle cinque e mezza ai cancelli. Sette ore e quaranta: quando sono entrato in fabbrica non c’era nemmeno l’aria condizionata, si schiattava di calore. Col tempo le condizioni sono cambiate, succederà anche stavolta se saremo intelligenti e il sindacato, Fiom compresa, ritroverà compattezza e unità d’intenti. Il potere negoziale si costruisce così, stando uniti, non dividendosi. Questo accordo, se supererà l’ostacolo del referendum, può essere gestito in
maniera tale da non compromettere nessuna delle conquiste fatte dai lavoratori negli ultimi quarant’anni. Ma sarà fondamentale esserci, in fabbrica».