Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 21 Lunedì calendario

SUMMIT SULLE BALENE

La Commissione baleniera internazionale (Iwc), riunitasi nella località marocchina di Agadir, ha fallito nel tentativo di trovare un compromesso tra i Paesi favorevoli alla caccia e quelli contrari. Sul fronte anti-caccia Stati Uniti e Brasile hanno infatti denunciato «l’incapacità di passare a un nuovo paradigma» e la «mancanza di maturità politica», mentre dall’altra parte il Giappone ritiene che «non vi sia in vista alcuna prospettiva di accordo», nonostante le proposte di compromesso avanzate da Tokyo. Il Giappone ha infatti offerto di «dimezzare le quote di caccia nell’emisfero australe, di sospendere la concessione di nuovi permessi e di accettare dei meccanismi di controllo internazionale a bordo dei suoi pescherecci», mentre i Paesi contrari «vogliono solo la fine della caccia nell’Antartico, il che non è realistico», ha dichiarato il capo-delegazione nipponico, il neozelandese Glenn Inwood. Il Giappone, insieme a Norvegia e Islanda, è il solo Paese che autorizza la caccia alle balene - sotto il pretesto di un controverso progetto scientifico, dato che la pesca commerciale è attualmente vietata in base alla moratoria in vigore dal 1986 - rispettando delle quote unilaterali; la Iwc cerca di raggiungere un accordo al suo interno anche per riprendere il controllo delle quote di pesca nel rispetto delle raccomandazioni dei biologi marini, in modo da garantire la salvaguardia delle specie cacciate.

IN MAROCCO SI DISCUTE SUL BANDO ALLA CACCIA. MA IL GIAPPONE SFIDA LA COMUNIT INTERNAZIONALE E CONTINUA A UCCIDERE CETACEI. ECCO PERCH - Nell´ora dell´intervallo, ogni giorno nelle scuole di Ayukawa si ripete un rito feroce. Tutti gli studenti nel cestino della colazione trovano la razione quotidiana di carne di balena. Cruda, in stile sashimi, o fritta come tempura, con salsa di soya o ketchup. Mangiarla non è un obbligo dietetico, è un gesto di patriottismo. Addentando i bocconcini teneri, grassi e nutrienti, quei ragazzi sono al centro di uno scontro di civiltà. la guerra a oltranza del Giappone contro la messa al bando internazionale della caccia alle balene. Uno scontro che per i giapponesi ha un significato unico, incomprensibile per il resto del mondo: l´ultimo simbolo della loro diversità, la resistenza contro l´omologazione.
Una nazione ricca, civile, con alti livelli d´istruzione, spesso all´avanguardia nella tutela dell´ambiente. Cosa spinge il Giappone a sfidare l´opinione pubblica mondiale, America in testa, per continuare la caccia alle balene? « nei nostri geni, è un pezzo della nostra cultura». Così risponde da anni l´ultraottantenne Shigehiko Azumi, ex sindaco di Ayukawa, il porto storico delle baleniere giapponesi. Tanti la pensano come lui, una netta maggioranza di giapponesi, senza distinzione di età. Anche quelli che non hanno mai assaggiato un sashimi di balena come quello che servono nell´unico hotel per turisti di Ayukawa.
Questo spiega la battaglia solitaria con cui il governo di Tokyo continua a difendere la caccia alle balene. «Esclusivamente per ragioni di ricerca scientifica», spiega il portavoce del ministero degli Esteri Jiro Okuyama. Questa è la foglia di fico, la fragile finzione a cui si aggrappa la diplomazia nipponica nelle conferenze internazionali. Dietro c´è qualcosa di più profondo. il senso di un´identità perduta, triturata da un secolo di emulazione dell´Occidente. Per uno scherzo beffardo della storia, il Sol Levante si aggrappa disperatamente a un simbolo che non è suo. Sui manuali di storia a Tokyo non v´è traccia di questa impostura e perfino tra i giapponesi più colti solo pochi osano alzare il velo sulla grande menzogna. Ma la verità è questa: la loro manìa per la carne di balena fu imposta dal generale Douglas MacArthur, il vincitore della guerra del Pacifico, comandante capo delle forze di occupazione americane alla fine della seconda guerra mondiale. il paese di "Moby Dick" e del capitano Achab, quello che oggi guida la crociata in difesa dei cetacei, che fu all´origine di questa grottesca finzione. L´equivoco affonda le sue radici nella complicata storia di amore-odio fra i giapponesi e l´Occidente, dall´arrivo della cannoniera del commodoro Perry nel 1852 fino ai nostri giorni.
Ayukawa, sulla punta di una penisola nel Giappone nord-orientale, è sonnolenta e depressa da molti anni. Quasi una città-fantasma, costretta a vivere di ricordi. Sono lontani i tempi in cui la capitale asiatica della caccia alle balene brulicava di attività, era la gemella-rivale asiatica di Nantucket, il porto del New England descritto nel romanzo di Herman Melville. Le navi della "caccia maledetta" continuano a salpare da Ayukawa e la cattura di una sola balena vale 100.000 dollari sul mercato del pesce di Tsukiji a Tokyo. Ma i consumi della carne pregiata sono diminuiti anche sul mercato interno, sono appena un ventesimo rispetto al record storico di 226.000 tonnellate toccato nel 1962. La campagna internazionale per proteggere i grandi mammiferi marini dal 1986 in poi ha spinto Ayukawa verso un lento e penoso declino. All´avanguardia nella difesa della specie minacciata dall´estinzione, ci sono proprio gli ambientalisti americani. Le loro gesta hanno una risonanza mondiale. "The Cove", il documentario sulla caccia ai delfini in Giappone, è stato premiato con l´Oscar (e subito messo al bando dai cinema giapponesi per le minacce dell´estrema destra). Gli stessi autori del film, guidati dal regista Louie Psihoyos, sono stati i protagonisti di una "coda" spettacolare tre mesi fa. A pochi chilometri da Hollywood, sulla spiaggia californiana di Santa Monica, hanno scoperto un sushi-bar giapponese, The Hump, che serviva carne di balena sfidando il divieto federale. Smascherato dalla troupe con webcam e microfoni, il proprietario ha dovuto chiudere, ora rischia 200.000 dollari di multa e fino a un anno di carcere. Una piccola Pearl Harbor a rovescia, con gli ambientalisti californiani nella parte dei vendicatori. La West Coast degli Stati Uniti è la punta avanzata dell´offensiva contro i "barbari" che vogliono lo sterminio delle balenottere.
Eppure 150 anni fa è proprio l´America il centro mondiale della caccia alle balene. Philip Hoare, biologo e storico, ne ha fatto il centro della sua ricerca monumentale: "The Whale, in Search of the Giants of the Sea". Nel Settecento e nella prima metà dell´Ottocento, ricorda Hoare, «la caccia alle balene e lo sfruttamento industriale delle loro risorse, sono l´equivalente di quello che oggi è il business del petrolio». Prima che l´industria estrattiva faccia dei progressi verso la trivellazione, terrestre e marina, il carburante più usato per le lampade a olio è il grasso dei cetacei. Per Andrew Delbianco, docente alla Columbia University, «è irresistibile l´analogia fra la spietata caccia all´olio delle balene ai tempi di Melville, e l´avidità di petrolio nel XXI secolo». L´America è l´Arabia Saudita dell´epopea delle baleniere. All´apice del boom, gli Stati Uniti esportano in Europa fino a un milione di galloni all´anno di olio di cetacei. La competizione è così sfrenata da sacrificare la sicurezza. La fine del capitano Achab in "Moby Dick" è ispirata da una vicenda vera, il naufragio della baleniera Essex nel 1820, colpita e affondata da un gigantesco mammifero nel Pacifico meridionale.
Il traffico di balene spiega la stessa missione del commodoro Matthew Perry, che al comando della Flotta Nera piega l´isolazionismo giapponese e costringe lo shogunato di Tokugawa ad aprirsi al commercio con l´America. La priorità di Perry è assicurare alle baleniere Usa il libero accesso alle acque del Pacifico orientale e meridionale. In seguito i pescatori giapponesi, ad Ayukawa e in altri porti, adottano le tecniche americane per la pesca dei cetacei. Ma il consumo locale della carne resta limitato. solo dopo la seconda guerra mondiale che le cose cambiano. Dopo la resa incondizionata dell´imperatore Hirohito nel 1945, il Giappone distrutto dai bombardamenti (incluse due atomiche) è a corto di ogni risorsa naturale. Raccolti agricoli e allevamenti sono allo stremo. il generale MacArthur a imporre in tutte le scuole la carne di balena come alimento quotidiano: proteine a buon mercato, le uniche accessibili in quegli anni. «All´inizio - ricorda lo scienziato ambientale Shuichi Kitoh dell´università di Tokyo - molti giapponesi la trovavano immangiabile». E allora nel paese distrutto dalla guerra il governo fa quello che solo in una civiltà confuciana può sembrare possibile. Paternalismo autoritario e propaganda riescono a «convincere la popolazione che la carne di balena è parte delle nostre tradizioni, un pezzo di cultura nazionale», dice Kitoh. All´inizio degli anni Settanta, quando in Occidente ha inizio la campagna per proteggere le balene, la difesa dell´identità nazionale fa scattare la reazione. Ayako Okubo, ricercatore oceaonografico, non ha dubbi su quel che agita il subconscio dei suoi connazionali, e li rende così refrattari alle pressioni: «Ai giapponesi non piace particolarmente la carne di balena. Ma piace ancora meno sentirsi vietare il consumo dagli stranieri. uno dei pochi terreni su cui abbiamo la capacità di dire no all´America».
FEDERICO RAMPINI Repubblica 24/6/2010;

MA LA CACCIA AI CETACEI SAR ANCORA VIETATA - L´ipotesi di accordo è franata dopo 48 ore di riunioni ininterrotte. Ad Agadir, in Marocco, il vertice per decidere il futuro delle balene si concluderà ufficialmente domani, ma di fatto si è già arreso di fronte all´evidenza: non c´è intesa possibile tra chi vuole continuare a cacciare i giganti del mare sopravvissuti a secoli di sterminio e il fronte degli ambientalisti sostenuto con particolare forza da Europa, Australia e Nuova Zelanda, ma appoggiato anche dagli Stati Uniti e dai paesi leader dell´America latina.
Con ogni probabilità la riunione della Commissione baleniera internazionale getterà la spugna congelando lo stato di fatto: la caccia alle balene è vietata dal 1986, ma continua ad essere praticata da Giappone, Norvegia e Islanda che si auto-assegnano delle quote giustificandole come «prelievo per motivi scientifici»: 35 mila balene sono state uccise in 24 anni ufficialmente per le analisi, di fatto per il sushi.
Un´ipocrisia che i rappresentanti degli 88 paesi aderenti alla Commissione baleniera hanno provato a sanare con scarso successo. Del resto il testo in discussione era stato subito sepolto dalle critiche. La proposta consisteva in una piccola riduzione delle quote illegittime in cambio della loro legalizzazione: uccidere qualche balena in meno ma avendo il diritto di farlo.
L´idea ha fatto infuriare gli australiani che considerano il whale watching una bandiera nazionale e conoscono molte balene per nome. Il 31 maggio scorso Camberra ha presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell´Aja in cui si afferma «non vogliamo che le balene continuino ad essere uccise in nome della scienza nell´oceano australe». Sulla stessa posizione è la Nuova Zelanda.
Una sfida aperta agli australiani avrebbe rischiato di riproporre lo scenario del 2007, quando il Giappone aveva deciso di riprendere la caccia alle megattere, famose per la silhouette facilmente riconoscibile e i salti acrobatici, e Camberra, per bloccare la mattanza, aveva mosso navi e aerei militari in modo da creare una vigilanza continua tra i ghiacci dell´area antartica: una campagna con foto, video, prelievi, calcoli matematici per valutare con precisione quante balene ancora sopravvivono attorno al continente di ghiaccio.
A peggiorare ulteriormente il clima della conferenza di Agadir sono state poi le voci sempre più insistenti sul pressing di Tokio a caccia del sostegno dei piccoli paesi iscritti alla Commissione baleniera. Pochi giorni fa il settimanale Sunday Times ha pubblicato un articolo in cui racconta come i suoi reporter si siano fatti passare per portavoce di un gruppo di pressione riuscendo a documentare i tentativi di corruzione da parte del Giappone: favori contro voti per la ripresa della caccia ai giganti del mare.
Tra i paesi indicati come disponibili a generosi rimborsi spese e a significativi investimenti di scambio figurano: Saint Kitts e Nevis, Kiribati, Isole Marshall, Costa d´Avorio e Granada. Il ministro degli Esteri di Tokyo ha sostenuto che il governo giapponese non paga le spese di viaggio di delegazioni di altri paesi. Ma le dichiarazioni dei diretti interessati sul Sunday Times lo smentiscono. Geoffrey Nanyaro, che rappresenta la Tanzania all´Iwc, ha poi aggiunto un altro elemento: massaggi di tipo particolare rientrerebbero nel pacchetto dei benefit offerti a chi si schiera per la caccia alle balene.
La polemica ha scardinato lo schieramento favorevole agli arpioni. A una verifica più attenta si è scoperto che alcuni dei piccoli Stati non avevano pagato la quota annuale e non potevano votare. E, tre giorni dopo la pubblicazione della denuncia sul Sunday Times, il governo di Palau, un arcipelago del Pacifico, ha deciso di ritirare l´appoggio alle proposte giapponesi.
Ieri sera è arrivata la resa. L´Enpa (Ente nazionale per la protezione animali) è stato il primo a dare l´annuncio del fallimento della manovra anti moratoria parlando di sconfitta del Giappone. «Il cosiddetto compromesso era un presa in giro», aggiunge Giorgia Monti, responsabile mare di Greenpeace. «Oggi, in una stagione di normale illegalità, vengono uccise poco più di 1.500 balene. La proposta avrebbe assegnato a Norvegia, Islanda e Giappone la possibilità di massacrare legalmente quasi 1400 balene l´anno per i primi 5 anni. Non è di questo che c´è bisogno nell´anno internazionale di difesa della biodiversità».
ANTONIO CIANCIULLO Repubblica 24/6/2010