Varie, 23 giugno 2010
MUTOLO Gaspare
MUTOLO Gaspare Palermo 5 febbraio 1940. Ex mafioso della borgata palermitana Partanna Mondello, cominciò a collaborare con Paolo Borsellino • «[...] ex killer, ex braccio destro del boss Rosario Riccobono, ex trafficante di droga [...] ollaboratore di giustizia e pittore [...] ergastoli per una miriade di omicidi, strangolamenti, lupare bianche. “Ma non ho mai ucciso donne o bambini” [...] accusa i “corleonesi, quelli di Totò Riina e dei suoi amici” di aver distrutto Cosa nostra. “Far parte di quella organizzazione era davvero una cosa eccezionale, eravamo veramente degli uomini d’onore con regole che non si possono condividere ma che comunque erano regole. Poi arrivarono loro ‘i viddani’ scesi da Corleone e rovinarono tutto, cominciarono ad uccidere anche quando non ce n’era bisogno, uccidevano donne, bambini, non si fermavano davanti a niente e così hanno distrutto Cosa nostra”. Fu in carcere che Gaspare Mutolo, maturò l’idea di cambiare vita. Ed una mano gliele diede [...] la pittura, quando insieme ad Alessandro Bronzini. che fu il suo “maestro”, cominciò a sognare, dipingendo, case, campagne e la sua Mondello [...] sono lontani ma non dimenticati, i tempi in cui uccideva, quando con la droga era diventato ricchissimo ed aveva arricchito Cosa nostra. Tempi in cui Mutolo viaggiava in Ferrari, possedeva palazzi e terreni e fiumi di denaro. Soldi accumulati anche con i sequestri di persona che Cosa nostra faceva al nord perché in Sicilia era proibito. “Nel ’75 tentammo anche di rapire Silvio Berlusconi, uno degli uomini più ricchi di Milano. Partimmo in 18 da Palermo, avevamo delle basi nel centro della città. Di Berlusconi sapevamo tutto, lo avevamo seguito per settimane intere, sapevamo i suoi percorsi, le sue abitudini. Ma quando era tutto pronto, da Palermo arrivò l’ordine di fermarci e tornammo in Sicilia”. La passione per la pittura cominciò per necessità. “Le giornate in carcere non passavano mai e quando arrivò Alessandro Bronzini cominciammo a dipingere. Fu lui ad insegnarci il mestiere. Intorno al 1987 eravamo all’Ucciardone. Nella cella di fronte c’era Luciano Liggio. Un giorno dissi a suo cugino, Pino Leggio, di suggerire a Luciano di provare a dipingere. La pittura ti faceva sentire meno pesante la detenzione e poi un mafioso che dipingeva, all’esterno, veniva visto come una persona diversa”. Cominciò così la storia di Luciano Liggio pittore. “Ma lui un quadro non lo fece mai, erano tutte opere mie e soprattutto di Bronzini, ma a Luciano volevamo bene e così un giorno pensammo di allestire una mostra. Non fu difficile, l’avvocato Salvatore Traina organizzò tutto. Poi però a fare la mostra fu soltanto Luciano Liggio, che ci mise soltanto la firma. E quei quadri furono venduti anche a dieci milioni di lire l’uno”. Gaspare Mutolo ci rimase male, ma continuò a dipingere. “La pittura mi ha cambiato la vita. Ma anche l’incontro con Falcone e Borsellino con i quali decisi di potermi aprire. Volevo tagliare con tutti ed ho cercato qualcuno che poteva capire la mafia, che ci leggesse dentro, che intuisse cosa eravamo e come eravamo. Falcone e Borsellino erano persone che avevano amore per la giustizia, per la loro terra che volevano liberare dalle catene della mafia. E, senza voler screditare nessun altro magistrato, erano persone che comprendevano gli stati d’animo di noi mafiosi”» (Francesco Viviano, “la Repubblica” 9/4/2010).