Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 23/06/2010, 23 giugno 2010
SFORZA, MINISTRO DEGLI ESTERI INTELLIGENTE MA VANITOSO
In alcune sue risposte lei ha menzionato Carlo Sforza. Quando ho letto le sue memorie, intitolate «L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi», l’autore menziona il rischio che già l’Europa corse fin dal 1906 per il possibile scoppio di un conflitto. Ma davvero alla conferenza di Algeciras, cui Sforza partecipò, si «videro» 8 anni prima «i lampi precursori», della Prima guerra mondiale? Non meriterebbe che venisse approfondita la figura di Carlo Sforza il quale, prima di diventare ministro degli Esteri della nuova Repubblica ed europeista convinto, fu uno dei pochi italiani capace di scontrarsi con Churchill per il futuro del proprio Paese?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani, nelle due occasioni in cui fu ministro degli Esteri (con Giolitti dal 1920 al 1921 e con De Gasperi dal 1947 al 1951, Sforza fu responsabile di alcune scelte utili e coraggiose: il trattato di Rapallo con la Jugoslavia per la soluzione delle controversie sorte dopo la fine della Grande guerra, gli accordi con la Francia, la Germania e il Benelux per i primi passi sulla strada dell’integrazione europea, la firma del Patto Atlantico a Washington nell’aprile del 1949. Sulle sue qualità, sulle sue intuizioni politiche, sull’abilità con cui seppe emancipare il suo Paese dalle servitù del Trattato di pace del 1947, non ho dubbi. Ma Sforza fu anche vanitoso, narcisistico, perdutamente innamorato di se stesso. Nei corridoi della politica italiana e soprattutto in quelli di Palazzo Chigi si diceva che portava la sua testa come un ostensorio e si sorrideva della sua pretesa di discendere dagli Sforza, signori di Milano. Scrisse molto, soprattutto negli anni dell’esilio dopo l’avvento del fascismo al potere, e cedette spesso alla tentazione di considerare decisivi gli eventi politici a cui aveva partecipato e di rappresentarli come grandi spettacoli in cui lui era in scena o, tutt’al più, seduto in prima fila.
Alla conferenza che si tenne ad Algeciras, in Spagna, fra il gennaio e l’aprile del 1906, per la verità era nelle quinte. Aveva 34 anni, era nella carriera diplomatica da dieci anni ed era stato scelto per fare da segretario a Emilio Visconti Venosta, uno dei migliori ministri degli Esteri della storia nazionale. Fu la conferenza di Algeciras davvero così importante? Era stata convocata per iniziativa di Guglielmo II, imperatore di Germania, quando fu chiaro che la Francia aveva messo gli occhi sul sultanato del Marocco e intendeva farne un protettorato. Benché fosse membro della Triplice e alleata della Germania, l’Italia appoggiò la posizione francese, e la conferenza si concluse con un compromesso che assoggettava le finanze e le frontiere marocchine a una sorta di controllo congiunto di Francia, Spagna e Germania.
La vera crisi scoppiò nell’estate del 1911 dopo uno sbarco di truppe francesi in Marocco. Qualche settimana dopo, una cannoniera tedesca, la Panther, fece la sua apparizione di fronte al porto marocchino di Agadir. Era una prova di forza voluta da Guglielmo II. Ma l’irritazione della Gran Bretagna costrinse l’imperatore tedesco a fare un passo indietro. Vi furono trattative diplomatiche franco-tedesche che si conclusero con un accordo. La Francia avrebbe avuto mano libera in Marocco, ma avrebbe ceduto alla colonia tedesca del Camerun 272.000 km² di Africa equatoriale. Le due crisi marocchine del 1906 e del 1911 segnalano l’esistenza di un profondo dissidio franco-tedesco, ma dimostrano al tempo stesso che le intese erano possibili.
Per trovare i «lampi precursori» della Grande guerra occorre piuttosto ricordare l’annessione austriaca della Bosnia nel 1908. Le responsabilità dell’Austria-Ungheria furono complessivamente più gravi di quelle della Germania.
Sergio Romano