Mauro Cereda, Avvenire 23/6/2010, 23 giugno 2010
TERZA ET AL LAVORO
Gli italiani (e le italiane) devono lavorare di più, devono restare più a lungo nel mercato del lavoro. La questione dell’innalzamento dell’età pensionabile è da tempo al centro dell’agenda politica, non solo nazionale. Il problema è che l’allungamento della vita media e il contemporaneo abbassamento del tasso di natalità (oltre alla crescita dei contratti a tempo determinato) mettono a rischio la solidità del sistema previdenziale, perché nel futuro i contributi versati dagli ’attivi’ non saranno sufficienti a garantire l’assegno a chi è a riposo. Da qui la necessità di intervenire. «Ormai – osserva Paolo Iacci, vicepresidente di Aidp, Associazione italiana per la direzione del personale – dobbiamo metterci nell’ordine di idee che dovremo lavorare tutti di più. Non c’è scelta. Ci sono studi che stimano un innalzamento tendenziale dell’età pensionistica e fissano la prossima soglia a 70 anni. L’Italia ha un tasso di attività tra la popolazione del 48%, troppo basso rispetto al 54% dell’Unione europea.
Bisogna far emergere il sommerso, ma anche accrescere il numero delle persone che lavorano».
C’è pero un nodo da affrontare: come si concilia questa esigenza con il fatto che spesso i lavoratori maturi sono i primi ad essere licenziati in caso di crisi (e non solo) e poi incontrano molte dif ficoltà a ricollocarsi o riconvertirsi? «Stando così le cose – risponde Armando Rinaldi, vicepresidente di Atdal Over 40,
associazione che assiste i senior – non c’è possibilità di conciliazione. Noi stimiamo che in Italia vi sia 1 milione e mezzo di ultraquarantenni disoccupati.
Tra questi, tanti hanno perso il lavoro da uno o due anni, non riescono a ritrovarlo, e aspettano solo di andare in pensione. Se gli sposti il traguardo un po’ più in là, li getti nella disperazione.
Conosco gente che nell’attesa si è mangiata i risparmi di una vita».
Su questo problema Rinaldi ha appena scritto una lettera al presidente Napolitano.
«L’innalzamento dell’età pensionabile – avverte Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda, Associazione direttori risorse umane – ce lo chiede l’Unione europea, è una misura opportuna e gestibile anche in Italia. Certo, esiste una questione legata ai senior . Le aziende ne fanno un discorso di costi e di competenze tecniche. Il problema si porrà soprattutto nelle realtà che non investono in formazione e in quelle dove il costo del lavoro ha un’alta incidenza sul prodotto finito».
Quello della formazione è un tasto delicato. Per rimanere nel mercato un lavoratore, ancor più se ha superato gli ’anta’, ha bisogno di aggiornarsi e di riqualificarsi. Ma serve anche un rinnovamento culturale. «Occorre un cambio di mentalità – aggiunge Iacci – a tutti i livelli.
Delle aziende, che devono rendersi conto che una persona a 50 e più anni non è da buttare via, ma ha ancora risorse da spendere. Dei sindacati, che devono capire che la strada dei prepensionamenti non va più bene. Delle istituzioni, che devono mettere in campo strumenti che favoriscano l’occupazione dei senior . E degli stessi lavoratori, che devono accettare di mettersi in gioco. Ho un amico, dirigente in una banca d’affari in Usa: è stato licenziato e adesso vende, con soddisfazione, auto d’epoca. In Italia lo prenderebbero per matto».
Tuttavia non è facile rimettersi in discussione per chi, magari, ha lavorato per una vita nello stesso posto, con la stessa mansione.
Forse è anche questione di volontà. «Ma siamo proprio sicuri – insiste Citterio – che lo cerchino tutti un lavoro? Io ho l’impressione che qualcuno preferisca mettersi in tasca l’assegno dell’ammortizzatore sociale e poi lavorare in nero fino alla pensione. Detto questo, in effetti esiste il rischio concreto di trovarsi a spasso, soprattutto per chi lavora nelle piccole imprese, meno attente alla formazione rispetto a quelle grandi. Però è anche vero che, spesso, le realtà piccole sono come una famiglia: l’imprenditore ha fiducia nei suoi dipendenti, li conosce e si tiene anche quello che ha superato i 60 anni».
Chi opera a contatto diretto con i senior non è tranquillo. Le preoccupazioni prevalgono sull’ottimismo. Dalla sua l’over 40-45enne ha l’esperienza, ma l’età resta un discrimine importante, soprattutto quando bisogna cercare un nuovo impiego. «So di persone – nota Rinaldi – che sono state trattate male a un colloquio perché non avevano messo la data di nascita nel curriculum. Comunque, qualsiasi intervento in materia previdenziale dovrebbe essere proceduto da una vera riforma degli ammortizzatori sociali: se ne parla da anni, ma non si fa nulla. Se non creo degli strumenti di sostegno al reddito e di politica attiva per il ricollocamento non ha senso innalzare l’età pensionabile. Però servono iniziative serie.