Francesco Manacorda, La Stampa 23/6/2010, 23 giugno 2010
LA PARTITA DEI TERRENI SCONTRO SUL PREZZO E COMPRATORI IN FUGA
Promette di essere l’Expo della Terra. Per ora è quello dei terreni. Terreni agricoli, per la precisione. Un milione di metri quadri a Nord-Ovest di Milano, accanto alla nuova Fiera di Rho-Pero, che dovranno trasformarsi nella sede dell’Expo 2015. E proprio sui terreni, che oggi appartengono per il 70% alla Fondazione Fiera di Milano - soci pubblici che vanno dagli enti locali, compresa la Regione, alle camere di Commercio - presieduta da Gianpiero Cantoni e per il restante 30% alla famiglia Cabassi, immobiliaristi di lungo corso, si sta giocando un braccio di ferro lungo e durissimo tra i proprietari e gli enti pubblici - la stessa Regione, Provincia e Comune di Milano - che quei terreni dovrebbero rilevare.
Nella Milano del mattone, che dopo la grande crisi finanziaria sta faticosamente sistemando alcune partite fondamentali - dal nuovo assetto di Citylife dove salgono le Assicurazioni Generali, alla vendita dell’ex area Falck che fu di Zunino e ora è delle banche - la mano che si gioca sui terreni dell’Expo è fondamentale non solo per l’esposizione stessa, ma anche per disegnare la nuova mappa della città allargata, con strade, ferrovie e servizi che renderanno appetibile quella che oggi è una terra di nessuno, stretta tra campagna e periferia.
Ma sull’acquisto gravano due incognite. Quella del compratore e quella del prezzo. Il milione di metri quadri dovrebbe infatti essere acquistato da una nuova società mista dove Comune di Milano, Provincia e Regione Lombardia avrebbero avuto il 33% ciascuno. Mai condizionale fu più d’obbligo, perché nei giorni scorsi il presidente della Provincia Guido Podestà ha già fatto capire che i soldi per la società non ci sono. E anche il Comune, con il patto si stabilità che ne limita le risorse, potrebbe avere i suoi problemi. la partita appare allora in mano alla Regione, guidata da Roberto Formigoni: riuscirà ad accollarsi per intero o quasi l’impegno? Proprio ieri, al Pirellone, sede regionale, c’è stata una riunione fiume tra i rappresentanti degli enti locali su questo tema. Per oggi pomeriggio è previsto un altro incontro. L’altro punto complesso, che s’intreccia con quello degli acquirenti, è il prezzo. I terreni sono agricoli e l’Agenzia del territorio - richiesta di un parere indipendenti - li ha valutati circa 100 milioni di euro. Pochissimo, secondo i venditori. «il prezzo non sarà certamente da terreno agricolo», ha detto due settimane fa Cantoni, parlando anche di una valutazione «congrua» attorno ai 200 milioni. Le trattative sono in corso, una valutazione compresa tra i 130 e i 160 milioni alla fine potrebbe essere quella più azzeccata, ma se dovrà essere solo la Regione a farvi fronte i problemi aumentano.
Ma ci sono alternative all’acquisto che sembra oggi così difficile? Sì, ce ne sono due, che in queste ore vengono esaminate a fondo. La prima alternativa è quella dell’esproprio. Una soluzione per le vie brevi che si cita da un pezzo nei colloqui ufficiosi senza essere mai apparsa formalmente e che proprio negli ultimi giorni avrebbe ripreso quota anche se proprio ieri Formigoni ha voluto smorzarla: «Non abbiamo mai pronunciato quella parola». Con l’esproprio i terreni finirebbero in mano alla società pubblica con un esborso assai limitato rispetto a quello previsto dalla trattativa in corso, anche perché resterebbero semplicemente agricoli. Ma il rischio - anzi la certezza, assicura chi è vicino ai proprietari - è che i Cabassi e la Fondazione scendano sul piede di guerra muovendosi per vie legali. E cominciare a costruire l’Expo su terreni che da un momento all’altro potrebbero sparire o dove potrebbero essere bloccati i cantieri - magari per anni - è un rischio che nessuno pare disposto a correre.
La seconda alternativa, in realtà, è un ritorno al passato. Due anni fa i proprietari dei terreni avevano firmato una convenzione con il Comune di Milano attraverso la quale si impegnavano a cedere i cosiddetti «diritti di superficie». A diciotto mesi dalla fine dell’Expo quei terreni, era l’accordo, sarebbero tornati agli iniziali proprietari, ormai mondati della loro caratteristica «agricola» e pronti anzi ad accogliere case, uffici e capannoni con un «indice di edificabilità» dello 0,6%, ovvero 0,6 metri cubi edificabili ogni metro quadro, che su un’estensione di un milione di metri quadri ne rende 600 mila costruibili. Poi, specie su spinta della Regione, si passò all’ipotesi di acquisto. Adesso si pennsa a una soluzione mista: alcune aree cedute gratuitamente dai proprietari, altre che tornerebbero a loro dal 2018 con l’appetibile qualifica di terreni edificabili. In questo caso la Fondazione Fiera, ad esempio, sarebbe anche pronta ad accontentarsi di un indice di edificabilità più basso, come ha fatto sapere di recente alle controparti. Ci sarà un ritorno al passato? Il tempo stringe, e non è un modo di dire. Per ottobre il Bie, l’organismo internazionale che sovrintende a ogni Expo, vuole vedere la società milanese con in mano la disponibilità dei terreni dove far partire i lavori. Sarà un’estate calda sui terreni dell’Expo.