Mario Cervi, Il Giornale 23/6/2010, 23 giugno 2010
LETTERA - LA STANZA DI MARIO CERVI
Caro Dottor Cervi, ci sono persone che, pur avendo acquisito nell’ultima guerra meriti indiscussi,hanno subito la damnatio memoriae perché poco gradite agli storici della sinistra: tra queste vi è anche Luigi Parrilli. Di nobile famiglia napoletana, ebbe una parte non secondaria nell’operazione Sunrise, la trattativa fra tedeschi e alleati che portò, con la sconfitta del gruppo di armate C, alla firma della resa a Caserta il 29 aprile 1945. In quelle trattative, iniziate nel febbraio dello stesso anno, egli aveva contribuito a creare i primi contatti tra le due parti. Anche se gran parte della storiografia italiana l’ha criticata o ignorata, l’operazione Sunrise diede importanti benefici. Uno dei protagonisti fu Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, che abilmente cercava una via d’uscita dalla trappola nazista. Ai primi di marzo diede ordini perché fossero vietate violenze contro le persone e limitate alla «necessaria apparenza» le azioni contro i partigiani, inoltre nulla venisse distrutto né asportato. Le benefiche conseguenze di questa operazione furono limitate dal ritardo col quale si arrivò alla firma della resa,dovuto all’irrigidimento di Kesselring, ai tentennamenti di Vietinghoff e agli ostacoli creati da Mosca nel timore che le truppe alleate arrivassero a Trieste prima di Tito. Parri riconobbe l’opera svolta da Parrilli per la sua liberazione. Anche Dulles scrisse che egli aveva «lavorato incessantemente come intermediario», in un’attività «essenziale per il successo dei negoziati». Ma aveva una colpa che certa storiografia italiana del dopoguerra non poteva perdonargli: il fatto di essere anticomunista. Non crede che meriterebbe di essere meglio ricordato?
Rino Moretti
Argenta
Caro Moretti, so, come lo sa lei, che la più diffusa vulgata storica ha dedicato e dedica scarsa attenzione a quanti, nella Resistenza, fossero estranei all’ambito della sinistra socialcomunista. Sono stati così oscurati tra gli altri sia Alfredo Pizzoni che della lotta partigiana fu il gestore finanziario - sia il barone Parrilli. Le cui vicende, insieme a un prezioso diario autobiografico, hanno avuto tuttavia ampia risonanza in un libro di Ferruccio Lanfranchi (capocronista del Corriere della Sera )
dal titolo La resa degli ottocentomila . Libro nel quale le vicende da lei rievocate ebbero efficace narrazione e puntuale documentazione.
Napoletano, Cavaliere di Malta, cameriere di cappa e spada del Papa, il barone Luigi Parrilli contattò a Lucerna il potente Allen Dulles, sovrintendente per conto di Washington delle operazioni segrete alleate in Europa. Dulles lo descrisse poi come «un signore basso, magro, calvo e dai modi cerimoniosi, che faceva pensare al proprietario di un alberghetto italiano, che volesse convincerci a mangiare da lui».
Ma l’occasionale intermediario si dimostrò capace. Il capo delle SS in Italia generale Karl Wolff era propenso alla resa, e sopravvisse a un tempestoso incontro con Hitler nel bunker di Berlino. Ma, come lei accenna, altri impedimenti vennero da Mosca. I sovietici, saputo del negoziato, pretendevano di parteciparvi, e gli Stati Maggiori Usa, presi da panico, intimarono ad Allen Dulles di piantarla. Questo lavorio affannoso e tormentoso ebbe il suo epilogo alle 14 del 29 aprile 1945 a Caserta: dove due plenipotenziari di Wolff e del generale Vietinghoff firmarono appunto la «resa degli ottocentomila», con un «cessate il fuoco» fissato al 2 maggio. In realtà i tedeschi del fronte italiano avevamo già da giorni smesso di combattere, sapendosi dell’accordo imminente. Questa trama parallela d’una liberazione patteggiata e burocratica non appaga gli slanci epici di tanti cantori della Resistenza: ai quali il libro di Lanfranchi diede fastidio. Ma i fatti sono fatti.