Gabriele Beccaria, La Stampa 23/6/2010, 23 giugno 2010
HO LETTO L’ARCHIVIO DELLA TERRA
Noi Sapiens siamo antichi più o meno 200 mila anni, vale a dire un battito di ciglia. Moltiplicate questo periodo per 100 e avrete, all’incirca, la data d’inizio di un’altra storia, che si inabissa per una fase così lunga da ribellarsi all’immaginazione e approda a 150 milioni di anni fa. A noi non dice nulla, eppure è un’era decisiva per la Terra, perché racchiude una duplice collisione (sebbene il termine sia inadeguato a rendere l’idea), quella terrestre tra l’Italia e l’Europa e quella spaziale tra una cometa - o un asteroide - e il nostro Pianeta. La prima catastrofe plasmò la Penisola che conosciamo, la seconda spazzò via il regno dei dinosauri.
C’è chi è riuscito a resettare la macchina del tempo e, per quanto appaia incredibile, a leggere le avventure di ammoniti e giganti, di mari e montagne, di eruzioni improvvise e sedimentazioni al rallentatore, in cui la specie umana non ha diritto di cittadinanza. Walter Alvarez, professore a Berkeley, indaga da un quarantennio l’archivio segreto che conserva le testimonianze di quegli eventi. Giace - ed è un altro aspetto sorprendente - in Italia: dal Monte Nerone, nelle Marche, percorre un’ampia zona degli Appennini, tra Lazio, Umbria e Toscana, dove - scrive nel saggio-reportage «Le Montagne di San Francesco» - «la storia dell’uomo e quella della Terra sembrano intimamente connesse». E’ tutto registrato nelle rocce. Cambia solo il codice: invece delle parole, si sovrappongono strati di calcari, scisti, granito e sabbie, intrecciati a sostanze «loquaci» come il potassio o l’iridio, mentre anche i colori recitano una parte, dalle scaglie dolcemente rosate ai toni fuligginosi del magma solidificato.
La decifrazione prosegue (130 milioni di anni richiedono - è ovvio - pazienza), ma apre in continuazione scenari inattesi e non solo per gli specialisti: i nostri piedi scivolano su un pianeta terribilmente inquieto, che fa di tutto per mandarci a gambe all’aria. Le ricerche - spiega Alvarez - «hanno evidenziato una Terra molto più dinamica di quanto si pensasse», periodicamente sconvolta da tempeste «solide», a base di pietre e metalli. E, calandosi un po’ nel tecnico, si sta scoprendo che la teoria della tettonica a placche ha bisogno di correzioni e affinamenti, vista la complessità dei movimenti della crosta terrestre. Dagli inizi, prima della nascita dell’Italia, quando nel Giurassico il promontorio «Adria» puntava verso Nord nell’oceano tra Africa ed Europa, al presente, segnato dal sisma dell’Aquila, il tempo lungo geologico e il tempo breve umano rivelano così legami multipli. Sono proprio quelli che hanno spinto Alvarez a diventare uno dei fondatori di una disciplina inedita, la «Big History».
Professore, come si collega la forza che spinge in alto una montagna con la strategia di una battaglia?
«Con la ”Big History”, appunto. Interpretiamo il passato come un unico campo unificato, in cui, se è vero che si perdono i dettagli, si guadagna però in prospettiva. Non a caso il mio corso a Berkeley porta come sottotitolo ”Cosmo, Terra, vita e genere umano”. E’ lavorando negli Appennini che sono rimasto affascinato dalla storia umana, oltre che da quella geologica, e d’altra parte, studiando l’estinzione dei dinosauri mi sono immerso nell’origine della vita. E’ stata questa traiettoria impressa alla mia carriera ad avermi reso famigliari discipline tanto eterogenee».
Lei sostiene che la battaglia di Ponte Milvio tra Costantino e Massenzio del 312 d.C., quella che determinò una svolta decisiva per l’Impero Romano, avrebbe potuto avere un esito diverso se il corso del Tevere non fosse stato cambiato, molto prima, da un’eruzione avvenuta 550 mila anni fa.
«In effetti è un esempio perfetto di come scienza e studi umanistici possano collaborare sulla natura e i paesaggi, ma ci sono tanti altri casi: mi riferisco, tra gli altri, al rame, protagonista dell’Età del Bronzo, 3 mila anni prima di Cristo. Da dove proviene? Se ci si concentra su un luogo-chiave dell’antichità, Cipro, si può osservare che le miniere si originarono da un remoto letto oceanico, poi sollevatosi, in cui i ”black smokers” - i camini idrotermali - emettevano particelle di molti metalli, compreso il rame. Andando ancora più indietro, al Big Bang, quando si formò l’Universo, esistevano solo idrogeno ed elio. Il rame, invece, si creò nelle supernovae, insieme con gli altri elementi pesanti, e fu poi inglobato in pianeti come la Terra. E, tra le connessioni che si stabiliscono tra aspetti così diversi, ne esiste una, particolarmente discussa».
Di quale connessione si tratta?
«Dell’ipotesi che la vita stessa sia sbocciata non in superficie, ma nelle profondità marine. Dai ”black smokers” sarebbero nati gli archeobatteri, antenati delle colonie che oggi prosperano su molti fondali. E allora, se si vuole capire l’assedio di Troia, si devono anche esplorare i vari backgrounds astronomici, geologici e biologici. Ogni episodio della storia umana è dipendente dalla storia del Pianeta e, ormai ne abbiamo la certezza, nessun luogo al mondo è meglio delle rocce dell’Appennino per leggere il passato: c’è ancora così tanto da imparare!».
Lei sostiene che la geologia, nata in Italia nel Seicento grazie a Niccolò Stenone, diventerà la scienza più importante del XXI secolo: non sta un po’ esagerando?
«No, perché studia i meccanismi della Terra: ne abbiamo una sola e, se la renderemo inospitale, saranno guai seri».