Joseph S. Nye*, La Stampa 23/6/2010, 23 giugno 2010
IL FUTURO DELL’EUROPA APPESO ALLA SUA MONETA Nella prima metà del secolo passato l’Europa si spaccò nel corso di due guerre e distrusse il suo ruolo centrale nella politica mondiale
IL FUTURO DELL’EUROPA APPESO ALLA SUA MONETA Nella prima metà del secolo passato l’Europa si spaccò nel corso di due guerre e distrusse il suo ruolo centrale nella politica mondiale. Nella seconda metà del secolo leader lungimiranti seppero guardare oltre lo spirito di rivalsa e gradualmente costruirono le istituzioni dell’integrazione europea. Il pensiero di una Francia e di una Germania in conflitto tra loro oggi pare impossibile, e lo sviluppo dell’Unione europea ha enormemente migliorato la forza di attrazione dell’Europa e la sua capacità diplomatica a livello mondiale. Purtroppo, questa storica conquista viene ora messa in discussione. Nel maggio del 2010, i mercati finanziari hanno perso fiducia nella capacità della Grecia di gestire il suo deficit di bilancio e di rimborsare il suo debito. I timori di una ricaduta hanno cominciato a influenzare altri Paesi, come il Portogallo e la Spagna, tra i 16 membri della zona euro. In risposta, i governi europei, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale hanno messo a punto un programma di emergenza da 700 miliardi a tutela della zona euro per calmare le tempeste finanziarie. Se questo intervento garantisce un momentaneo sollievo, l’incertezza perdura nei mercati finanziari. Il mese scorso, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato che, «se l’euro fallisce non cade solo una moneta... sarà l’Europa a fallire e con essa l’idea dell’unità europea». L’unità europea si trova già a fronteggiare notevoli vincoli. L’integrazione fiscale è limitata. Le identità nazionali rimangono più forti rispetto alla comune identità europea, nonostante sei decenni d’integrazione, e gli interessi nazionali sono ancora forti anche se meno rispetto al passato. L’allargamento dell’Ue a 27 Stati (con altri in arrivo) significa che le istituzioni europee rischiano di restare sui generis, e non consente di dare vita a una forte Europa federale o a un solo Stato. L’integrazione giuridica è in crescita, e le sentenze della Corte europea hanno costretto i Paesi membri a cambiare le loro politiche. Ma l’integrazione tra ramo legislativo e ramo esecutivo è rimasta indietro, e se l’Europa ha creato un presidente e una figura centrale per le relazioni esterne, la politica estera e di difesa sono integrate solo parzialmente. Nel corso dei decenni, l’Europa ha altalenato tra eccessivo ottimismo e attacchi di «euro-pessimismo» come oggi. Come ha di recente osservato il giornalista Marcus Walker, si credeva che l’Europa sarebbe salita alla ribalta come protagonista sulla scena mondiale, sostenuta dal trattato di Lisbona. Al contrario sta cominciando a sembrare la parte perdente in un nuovo ordine geopolitico dominato dagli Stati Uniti e dalle potenze emergenti guidate dalla Cina. «Un’immagine determinante» secondo Walker è stata la riunione del 18 dicembre 2009, che mediò il modesto accordo di Copenhagen - un incontro guidato da Stati Uniti e Cina, che invitarono i leader di India, Brasile e Sud Africa, ma non gli europei. E ora la recente crisi finanziaria ha messo in luce i limiti di integrazione fiscale della zona euro e sollevato interrogativi sul ruolo e sul futuro dell’euro. Qual è il futuro dell’Europa? Come ha osservato l’Economist, «si sente parlare dappertutto del relativo declino dell’Europa... Si ascoltano cifre deprimenti sulla futura rilevanza dell’Europa, e con qualche ragione. Nel 1900 l’Europa rappresentava un quarto della popolazione mondiale. Entro il 2060 potrà contare giusto per il 6%, e quasi un terzo della popolazione avrà più di 65 anni». L’Europa ha di fronte seri problemi demografici, ma la dimensione della popolazione non è strettamente correlata con il potere, e le previsioni sulla caduta dell’Europa hanno una lunga storia di errori di previsione. Negli Anni 80 gli analisti parlavano di euro-sclerosi e di un malessere paralizzante, ma nei successivi decenni l’Europa ha mostrato una crescita imponente e sviluppo istituzionale. L’approccio dell’Ue alla condivisione del potere, ritagliando accordi e risolvendo conflitti per mezzo di commissioni multiple può essere frustrante e mancare di mordente, ma è sempre più rilevante per molte questioni in un mondo interconnesso e interdipendente. Come dice Mark Leonard, direttore del Consiglio europeo per le Relazioni Estere: «L’idea comune è che l’ora dell’Europa è arrivata e tramontata. La sua mancanza di visione, le divisioni, l’ossessione per il contesto legale, la mancanza di volontà nel progettare un potere militare e l’economia sclerotica sono in contrasto con degli Stati Uniti più dominanti di Roma... Ma il problema non è l’Europa, è la nostra comprensione arcaica del potere». Il politologo americano Andrew Moravcsik ugualmente sostiene che le nazioni europee, singolarmente e collettivamente, sono gli unici Stati, a parte gli Usa, in grado di «esercitare una influenza globale che spazia dai mezzi di coercizione all’offensiva diplomatica. Nella misura in cui il termine conserva un significato, il mondo è bipolare, ed è probabile che rimarrà tale nel prossimo futuro». Moravcsik sostiene che la prognosi pessimistica è basata su una visione realistica del XIX secolo secondo la quale «il potere è legato alla quota relativa di risorse globali, e le nazioni sono impegnate in una costante rivalità a costo zero». Inoltre, come lui stesso indica, l’Europa è la seconda potenza militare del mondo, con il 21% della spesa militare complessiva, rispetto al 5% per la Cina, il 3% per la Russia, il 2% per l’India, e 1,5% per il Brasile. Decine di migliaia di truppe degli Stati membri dell’Ue sono state dispiegate al di fuori dei loro Paesi d’origine in Sierra Leone, Congo, Costa d’Avorio, Ciad, Libano e Afghanistan. In termini di potere economico, l’Europa ha il più grande mercato del mondo, e rappresenta il 17% del commercio mondiale, rispetto al 12% degli Stati Uniti. L’Europa dispensa anche la metà dell’assistenza estera nel mondo, rispetto al 20% degli Stati Uniti. Ma tutta questa forza potenziale può essere inutile se gli europei non risolvono i problemi immediati derivanti dalla perdita di fiducia dei mercati finanziari nei confronti dell’euro. Tutti coloro che ammirano l’esperimento europeo devono sperare che ci riescano. *Professore alla Harvard University