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 2010  giugno 22 Martedì calendario

E I CALCIATORI-SUDDITI TEMONO L’IRA DEL CARO LEADER

Almeno questa volta non saranno puniti per festeggiamenti «immorali e borghesi», come quando tornarono dal glorioso Mondiale inglese del ”66. Allora a salvarsi dalle reprimende fu soltanto Pak Doo Ik, perché l’autore del gol che eliminò l’Italia di Albertosi, avendo la gastrite, non si lasciò andare a bevute capitalistiche. Ma se li punirono dopo essere arrivati ai quarti, cosa faranno dopo questa umiliazione?
«Non ho paura di tornare a casa – ha detto An Yong Hak ”. Il calcio è solo un gioco». Peccato (per lui) che «a casa» il calcio non sia solo lo sport più seguito. In quale altro Paese l’allenatore avrebbe detto che l’obiettivo è ben figurare «per rendere felice il Caro Leader»? E se si fa una figuraccia? Kim Jong-il, «il caro leader» che governa e affama la Corea del Nord, non sarà come il figlio di Saddam Hussein, che se la squadra perdeva male costringeva i giocatori a prendere a calci una sfera di pietra. Però dev’essere parecchio arrabbiato. Ma come: è questo il riconoscimento? Prima ha pagato le comparse cinesi (i suoi cittadini avrebbero chiesto subito asilo politico) per volare in Sudafrica a tifare Jong Tae-se, detto il Rooney nordcoreano (che piange all’inno nazionale, guida un gippone americano, è nato e gioca in Giappone). E poi ha elargito il grande regalo della diretta: ieri per la prima volta i sudditi-cittadini hanno potuto vedere live una partita della loro squadra all’estero, merito anche di un accordo a costo zero (alla faccia della Fifa) che il Caro Leader ha ottenuto da un’emittente della Malesia.
L’onorevole sconfitta con il Brasile era stata trasmessa dopo 17 ore. Ieri sera la nazione più isolata del mondo era tutta davanti alle tv, sintonizzata sull’unico canale disponibile. Il regime fiutava un’occasione unica di patriottismo. E invece è stato un tremendo dopocena (ammesso che ci sia stata la cena, vista la carestia cronica che affligge un Paese che negli ultimi anni ha visto morire di fame oltre due milioni di persone). Al 90’ il telecronista ha chiuso così: «Il Portogallo ha vinto e ha 4 punti. La diretta termina qui». Fine. Nessun commento, nessun dopopartita.
Qualcuno a casa si sarà consolato con una birra Taedong, di quelle che si stappano la domenica quando le strade della capitale Pyongyang si fanno deserte e la tv manda in onda (in differita) un match della Premier League o della nostra serie A.
Una vittoria contro il Portogallo avrebbe vendicato l’eliminazione inferta dai lusitani di Eusebio (da 3-0 a 3-5) nel pur trionfale Mondiale inglese (il pullman della nazionale in Sudafrica porta la scritta «1966 bis») e avrebbe avuto una diversa coda di propaganda. Invece silenzio. I giocatori hanno chinato il capo, l’allenatore si è assunto la colpa della disfatta. Aspettando la Costa d’Avorio e cercando di allontanare il più possibile la data del ritorno.
Come disse Pak Doo Ik, «nel calcio non c’è solo l’obiettivo di vincere». Cos’altro? Ah sì: «Rendere felice il Caro Leader».
Michele Farina