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 2010  giugno 22 Martedì calendario

L’INPS IN ROSSO NELL’ANNO DELLA CRISI. MA RISPARMIERA’ 40 MILIARDI IN 10 ANNI

Tra il 2011 e il 2020, i 15 milioni di pensionati del settore privato daranno un contributo di circa 40 miliardi di euro ai conti pubblici, e dunque, indirettamente, allo sviluppo del Paese. A tanto ammontano i risparmi di spesa previdenziale generati dall’agganciamento automatico dell’età pensionabile alla crescente speranza di vita, deciso nel luglio 2009 a valere dal 2015, e allo slittamento delle finestre di pensionamento di 12 mesi per i lavoratori dipendenti e di 18 per gli autonomi, introdotto dalla manovra correttiva ora all’esame del Parlamento. Le previsioni le ha fatte l’Inps e sono state spedite, in via riservata, ai ministeri dell’Economia e del Welfare.
Sono numeri da considerare senza pregiudizi. Non autorizzano trionfalismi, e il rendiconto 2009 dell’Inps, che il presidente Antonio Mastrapasqua ha appena sottoposto al Consiglio di indirizzo e vigilanza, lo conferma mostrando un risultato della gestione ordinaria in rosso per 1,2 miliardi, ed è la prima volta da anni. Ma non si può più nemmeno parlare di riforma delle pensioni utilizzando argomenti usurati quali il «buco» dell’Inps, che non c’è, lo scalone Maroni, che nel 2011 sarà superato dagli scalini Prodi-Damiano, o il «nuovo patto generazionale», che non si capisce quale debba essere se con la riforma Dini e le successive modifiche l’Italia si è avviata a dare la pensione in base ai contributi versati abbandonando gradualmente il principio in base al quale la generazione al lavoro «mantiene» la precedente.
L’anzianità media
Al bar o in treno si discute ancora delle pensioni baby, pur fermate da lustri, e delle pensioni di anzianità ai cinquantenni, residuo per lo più di vecchi accordi settoriali. In realtà, nel 2009 l’età media reale del pensionamento di anzianità dei lavoratori dipendenti supera i 59 anni e la media generale (anzianità più vecchiaia) va oltre i 61. Ora, con gli ultimi due provvedimenti, dal 2015 l’età minima per avere la pensione di vecchiaia salirà a 66 anni e 3 mesi per i dipendenti maschi e a 61 anni e 3 mesi per le donne, stessi anni ma tre mesi in più per gli autonomi, mentre l’età minima per la pensione di anzianità salirà a 63 anni e 3 mesi per i dipendenti e a 64 e 9 mesi per gli autonomi. Gli aggiornamenti quinquennali, secondo gli esperti attuariali dell’Inps, eleveranno l’età pensionabile nel 2050 a 69 e 4 mesi per i dipendenti e a 69 anni e 10 mesi per gli autonomi. Tra i grandi Paesi europei solo la Germania ha soglie più alte e nessuno aggancia l’età di pensionamento
alle speranze di vita in automatico.
L’effetto della riforma Dini
Saranno rispettati questi limiti? Anno dopo anno, la progressiva estensione della riforma Dini assicura che sì: con il regime contributivo, chi poco versa poco riceve, e dunque viene amancare l’incentivo ad anticipare il pensionamento tipico del trattamento a ripartizione su base retributiva. Se poi, come sembrerebbe logico, l’Italia recepisse il richiamo europeo a parificare i trattamenti tra maschi e femmine non solo nella pubblica amministrazione ma anche nel settore privato, le masse monetarie risparmiate avrebbero un’impennata, che l’Inps ancora non rende nota. Donne a parte, gli effetti degli ultimi due aggiustamenti dell’originaria riforma Dini saranno ancora maggiori dopo il 2020. Negli anni Venti prossimi venturi, stima l’Inps, il risparmio sarà di 85 miliardi. E negli anni Trenta arriverà a 117 miliardi.
Tutto bene, dunque? No. La crisi pone una domanda scomoda: qual è lo stato dei conti dell’Inps su cui andranno a impattare questi risparmi di erogazioni? La risposta non è semplicissima. Con la manovra correttiva si è parlato molto dello sfoltimento delle pensioni di invalidità, circa 4 miliardi di spesa, e degli assegni di accompagnamento, circa 12 miliardi, il cui numero è esploso perché, fino a ieri, l’Inps fungeva solo da ufficiale pagatore, mentre erano le Asl e le Regioni, che spesso delegavano a Province e Comuni, ad accertare il diritto all’assegno con la manica larga e clientelare di chi dà con i soldi degli altri. Ora il controllo è in mano all’Istituto eMastrapasqua può promettere maggior rigore con una certa attendibilità. Ma, va detto, i risparmi su invalidità e accompagnamento andranno a beneficio dello Stato che da sempre finanzia questo tipo di spese assistenziali. Per l’Inps si sgonfierà un po’ la parte assistenziale del bilancio che, sulla carta, tende al saldo zero: tanto prende dallo Stato, tanto dà in pensioni sociali, integrazione ai minimi, maternità, invalidità, accompagnamento, prepensionamenti. Il punto, qui, è un altro. E riguarda proprio la previdenza, ovvero le pensioni propriamente dette e le casse integrazioni finanziate con i contributi. Un’attività che fino al 2008 era in attivo, come il «Corriere» ha a suo tempo rilevato aggiornando le vecchie tesi sull’Inps carrozzone dai conti con il buco.
Bilanci e ricavi
L’Inps del 2010 è una macchina abbastanza efficiente, che ha dimezzato il personale pur coprendo sempre nuove funzioni e accelerando il servizio. L’anno scorso ha ulteriormente limato il costo del lavoro dell’1,7%. Ma la crisi morde in profondità. Imprese che chiudono, tagliano precari e gli immigrati, ricorrono a casse integrazioni lunghe significano minor contribuzione. Nel 2009 la massa dei contributi netti incassati scende da 141,6 a 135,9 miliardi. Lo Stato dà un apporto netto di 76,4 miliardi, 4 in più rispetto all’anno precedente, per far fronte alle maggiori spese assistenziali sostenute, per conto suo, dall’Inps. Ma, alla fine, questa è una partita di giro. La realtà è che l’Inps, con le sue attività d’istituto, chiude in utile per 3,2 miliardi solo perché ha potuto dimezzare gli stanziamenti a fondo rischi (da 6,6 a 3,3 miliardi) e ha registrato proventi straordinari netti per 4,5 miliardi rivedendo i residui attivi e passivi, mentre l’anno prima aveva dichiarato oneri straordinari netti per 1,1 miliardi. Considerando adeguati gli stanziamenti a fondi rischi, il peggioramento operativo è dell’ordine dei 9 miliardi.
Quale morale ricavare dal terribile 2009 e dagli anni precedenti? Negli anni della crescita stenta del Pil, ma non dell’occupazione che saliva in proporzione di più, l’Inps vantava risultati positivi. Ancora nel 2008, anno di recessione ma non ancora di disoccupazione crescente, aveva guadagnato 6,8 miliardi. Il tracollo generale non lo poteva lasciare indenne. Quest’anno sarà ancora dura perché la modesta ripresa del Pil non genera ancora occupazione. Ma il patrimonio netto dell’Istituto resta alto: 42,5 miliardi di euro. Per il futuro, la soluzione è nel ritorno alla crescita. A maggio la contribuzione ha interrotto la discesa. Sarà la rondine che annuncia la primavera? presto per dirlo. All’Inps basterebbe una crescita dell’1% del Pil per rimettersi a posto. Altrimenti i risparmi messi in cantiere dal governo non serviranno all’economia ma all’Inps medesimo.
Massimo Mucchetti