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 2010  giugno 24 Giovedì calendario

TUTTI I COMPLOTTI PORTANO A ROMA


L’inchiesta sul presunto complotto contro Silvio Berlusconi (ma anche contro il governatore della Puglia Nichi Vendola) ha fatto il salto di qualità ed è sbarcata a Roma. Gli uomini dello Sco, servizio centrale operativo della Polizia di Stato, coordinati dal procuratore di Bari, Antonio Laudati, stanno concentrando la loro attenzione su alcuni inviati dei principali quotidiani italiani, alti ufficiali del comando generale della Guardia di finanza, politici del centrosinistra.
Secondo la procura di Bari, nella capitale si troverebbe la sala di regia di quel complotto che, grazie a sponde istituzionali e attraverso la pubblicazione di notizie legate a vicende private del presidente del Consiglio, avrebbe provato a destabilizzarlo, se non a costringerlo alle dimissioni.
Il 1º giugno il gip del tribunale di Bari Sergio Di Paola ha ordinato l’arresto del tenente colonnello della Guardia di finanza Salvatore Paglino, accusato di avere utilizzato il cellulare di servizio per motivi personali. Per il giudice è anche colpevole di avere favorito fughe di notizie e di avere mandato a una testimone messaggini come questi: «Bello il libro di Faletti, il titolo si addice a me: Io sono Dio» oppure «Gli uomini duri hanno anche un lato tenero».
Dietro al provvedimento c’è però ben altro. «Questa è solo la prima tranche di un’inchiesta molto più ampia» ha chiosato la procura con un sibillino e inusuale comunicato. A quanto risulta a "Panorama", la vicenda Paglino è stato solo il primo colpo di una partita in cinque mosse. Cinque diversi filoni che ruotano intorno al presunto complotto e che sarebbero in gran parte già al vaglio del gip per ulteriori provvedimenti.
Il fascicolo principale, ancora coperto da segreto, riguarda la pubblicazione dei verbali dell’imprenditore Gianpaolo Tarantini sul "Corriere della sera" tra agosto e settembre 2009.
Un altro filone analizza la presunta trappola preparata a Roma da un importante politico per affossare Vendola, sparandogli contro, con l’aiuto di una redazione romana, un presunto scoop giornalistico alla vigilia delle primarie del Pd.
Un terzo capitolo è riservato ai soldi guadagnati nell’ultimo anno da Patrizia D’Addario, la escort che registrò i dialoghi della sua notte con Berlusconi a Palazzo Grazioli. Un quarto fascicolo ricostruisce ulteriori fughe di notizie causate da finanzieri, carabinieri e poliziotti. Quattro o cinque di loro sono già stati individuati e iscritti sul registro degli indagati. Nel frattempo sono entrate nelle intercettazioni anche le voci di quattro magistrati pugliesi (sembra di secondo piano) mentre parlano con i cronisti.
La loro posizione è all’attenzione della procura, anche se non farebbero parte del presunto complotto romano. Nelle carte depositate presso il tribunale del riesame, nella vicenda Paglino è possibile intravedere l’iceberg che sta emergendo. Il procedimento contro l’ufficiale della Guardia di finanza prende avvio per individuare «i responsabili della divulgazione di taluni atti coperti da segreto istruttorio e in particolare dei verbali di interrogatorio reso dall’indagato Gianpaolo Tarantini in data 28- 29 luglio 2009».
Le dichiarazioni dell’imprenditore, annotano gli investigatori, furono pubblicate da Angela Balenzano e Fiorenza Sarazanini (la prima giornalista a intervistare D’Addario) rispettivamente sul "Corriere del Mezzogiorno" e sul "Corriere della sera" il 30 agosto e il 9 settembre 2009. Chi ha distribuito quei file riservatissimi alle croniste? E perché sono stati pubblicati il giorno dell’insediamento del nuovo procuratore Angelo Laudati, quasi fosse un beffardo omaggio di benvenuto? I magistrati sono convinti di avere individuato «la manina».
Sul tema, in modo indiretto, si è espresso pure Paglino. L’11 giugno nel suo secondo interrogatorio davanti ai pm Teresa Iodice e Giuseppe Dentamaro l’ufficiale, assistito dall’avvocato Michele De Pascale, ha svelato con imbarazzo una vicenda delicata. Questo è, in sintesi, il contenuto delle sue dichiarazioni: «Non sono stato io a consegnare quei verbali. Quando Tarantini è stato interrogato, io ero fuori Bari per la morte di mia sorella. Al mio rientro, la giornalista Angela Balenzano, prima di partire per le ferie estive, mi ha riferito di essere entrata in possesso dei verbali dell’imprenditore. Io ho avvertito il pm Giuseppe Scelsi e il mio comandante Gianluigi D’Alfonso di quanto avevo appreso».
Quindi Paglino ha proseguito il suo racconto e ha spiegato che al ritorno dalle vacanze, a fine agosto, la giornalista lo avrebbe informato di essere pronta per la pubblicazione: «A questo punto io sono andato di nuovo da Scelsi e da D’Alfonso per avvisarli» ha ripetuto Paglino ai magistrati. Ma nessuno ordinò una perquisizione e gli articoli andarono in stampa, in tre date distinte.
Perché Balenzano non aveva pubblicato subito il suo scoop? Perché al dorso pugliese del "Corriere della sera" erano così tranquilli di avere blindato la propria esclusiva a puntate? A quanto risulta a "Panorama" gli inquirenti hanno trovato la risposta a questi quesiti. Purtroppo, però, negli atti depositati al Riesame, riguardanti tre dei cinque fascicoli che fanno riferimento al presunto complotto, le spiegazioni sono coperte da decine di omissis.
Uno dei pochi documenti che gli inquirenti non hanno oscurato è un’informativa dello Sco che ha scandagliato i flussi telefonici tra Balenzano, Paglino e D’Alfonso, senza trovare, in quei tabulati, la soluzione del giallo. In un brogliaccio è riassunta una conversazione tra Paglino e D’Alfonso del 2 dicembre 2009. Sintetizzano gli investigatori: «Parlano della loro indagine a Trani dicendo che è coinvolta quella persona là (Berlusconi, indagato per concussione e minaccia, ndr).
D’Addario e Tarantini
Paglino gli racconta le iniziative che il procuratore vuole intraprendere e che vuole parlarne con lo stesso D’Alfonso e il comandante regionale. I due fanno riferimento alla trasmissione "Annozero" e a ciò che potrebbe succedere. I due si incontreranno per parlarne».
Per gli inquirenti, chi voglia capire l’accaduto deve partire dalle telefonate intercorse tra Paglino e il suo vecchio compagno d’accademia Mario Ortello, ex aiutante di campo del viceministro Vincenzo Visco e dal giugno 2009 (quando esplode il caso D’Addario) consulente proprio di Giuseppe Scelsi, il pm che stava indagando su Tarantini e sulla vicenda delle escort.
Qual è il ruolo di Ortello nella storia? La sua posizione è al vaglio degli inquirenti. Di certo la lettura attenta di queste chiamate lascia intuire una regia superiore nelle fughe di notizie, e intravedere le mani di pupari in azione. L’esempio è una telefonata del 15 febbraio 2010.
Quel giorno Paglino esamina un articolo di Panorama sul complotto e si riconosce nel profilo di uno degli indagati: «Sembra quasi un pezzo dell’informativa che non è andata a buon fine» sostiene. Quindi, dopo aver minacciato di rendere pubblico «tutto quello che c’ho pure per iscritto», aggiunge: «Mario, io ho saputo una cosa strana e la dico a te, ma non so quanto ci sia di vero.
A me una persona, un magistrato che sta a Trani, pochi giorni fa mi ha detto: "Ma è vero che il suo comandante verrà trasferito a Matera?"». Il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Bari è Gianluigi D’Alfonso, uomo considerato nello spoils system delle forze armate vicino al centrosinistra. Recentemente è stato trasferito all’Ufficio centrale per le relazioni con il pubblico del comando generale della Guardia di finanza. Ortello al telefono domanda: «Il tuo comandante Giangi? ».
Paglino prosegue: «Io la mia ricostruzione ormai me la sono fatta». Ortello interviene a difesa di D’Alfonso: «Giangi non mi pare il tipo che va a parlare con la gente. Guarda, avrà centomila difetti, ma non penso proprio quello». Paglino ribatte: «Secondo me è stato messo con le spalle al muro. Qualcuno gli ha detto porta qua ”sti caz... di verbali. Però lui sta tranquillo. Noi ci siamo incazz... dico la verità no? Però il generale (probabilmente il comandante regionale, ndr) dice che dobbiamo stare tranquilli, Luigi dice che dobbiamo stare tranquilli e allora stiamoci tutti quanti tranquilli».
Insomma, i vertici della Guardia di finanza in Puglia si sentivano al centro di un’inchiesta e predicavano serenità sin da febbraio.
In questo quadro, Paglino è considerato dalla procura una pedina più che la mente di un complotto. Oltre che un potenziale ottimo testimone: infatti, nonostante alcuni rilievi disciplinari e benché il suo gruppo non fosse specializzato nei reati contro la pubblica amministrazione, per anni gli sono state affidate le indagini pugliesi più delicate sull’intreccio tra politica e affari, da quelle sull’attuale ministro Raffaele Fitto a quelle su Berlusconi, a Trani e Bari. Per questo i magistrati sono convinti che, se deciderà di collaborare, i contorni del piano antipremier saranno molto più chiari.