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 2010  giugno 24 Giovedì calendario

NON CREDO CHE FINIREMO DIVISI COME IL BELGIO


La prima reazione, dopo le elezioni belghe, è stata quella di riflettere sul destino del paese. Vi sarà ancora il Belgio nel 2030, secondo centenario della nascita dello stato? Riusciranno i valloni e i fiamminghi a spartirsi le risorse nazionali senza ricorrere alla violenza? Oggi dovremmo piuttosto chiederci se la vicenda belga non racchiuda anche qualche lezione per l’Italia. Le somiglianze sono evidenti. Anche noi abbiamo un problema Nord-Sud. Anche noi abbiamo cercato di risolverlo adottando il modello dello stato federale. Anche noi siamo afflitti dalle dimensioni del debito pubblico (115 per cento del prodotto interno lordo in Italia, 98 in Belgio). E anche noi sappiamo, sebbene molti preferiscano non ammetterlo, che il federalismo, soprattutto nella fase della transizione, è costoso.

I governi promettono di «semplificare», sopprimendo le istituzioni che hanno trasferito alle regioni le loro competenze. Ma finiscono inevitabilmente per duplicare. Tutti convengono sulla necessità di risparmiare, ma nessuno vuole perdere consensi elettorali. Le riforme a costo zero, così frequentemente sbandierate, non esistono. E nel frattempo, in Italia come in Belgio, il Nord accusa il Sud di vivere alle sue spalle ed è stanco di pagare le tasse anche per coloro che ne pagano meno o, addirittura, riescono a evitarle.

Esiste tuttavia un’ importante differenza. In Belgio i partiti sono tutti locali e persino le formazioni politiche tradizionali, come quelle dei popolari e dei socialisti, sono divise in due distinte organizzazioni. Il residente delle Fiandre vota per i partiti fiamminghi e il residente della Vallonia vota per i partiti francofoni. Non esiste quindi una classe politica nazionale, interessata alla conservazione dell’unità. Ogni eletto risponde dei suoi atti alla propria comunità piuttosto che all’intera nazione. In Italia, invece, i partiti sono nazionali. La Lega, al Nord, non sdegna di raccogliere voti anche in regioni diverse da quelle in cui ha le sue radici. E i movimenti politici del Sud non nascono generalmente con un vero e proprio programma politico, ma per meglio negoziare con il governo il trasferimento delle risorse. Quello praticato dal Sud è generalmente un federalismo di basso profilo: denaro contro voti. La classe politica sa che il sistema funziona male, ma vuole continuare a pescare voti in un bacino elettorale nazionale. Non è unitaria per ragioni ideali, ma semplicemente perché il collegio di riferimento è la nazione. Incidentalmente, queste considerazioni valgono anche per i sindacati e per tutte quelle istituzioni che perderebbero, nell’eventualità di una separazione, la ragione della loro esistenza o buona parte della loro influenza. Se confrontata a quella belga la situazione italiana presenta un vantaggio e uno svantaggio. Allontana il trauma della scissione, con tutte le incalcolabili e imprevedibili conseguenze che potrebbe provocare. Ma assicura una unità spesso ipocrita e opportunistica che non serve in ultima analisi né al Nord né al Sud.

Occorre tuttavia segnalare, per completezza, che fra i due paesi esiste un’altra differenza. Mentre in Belgio, dove il federalismo è già fallito, il problema all’ordine del giorno è il passaggio da una federazione a una più sciolta confederazione, l’Italia punta sul federalismo fiscale e spera che esso costringa il Sud a sbarazzarsi delle sue cattive abitudini. questa speranza che rende l’Italia non interamente simile al Belgio.