Guido Ceronetti, La Stampa 22/6/2010, 22 giugno 2010
GIOSETTA DEGLI SPIRITI
Si può assumere, per l’incanto che ne emana, come segnatura della personalità intima dell’Artista, l’immagine Edera magica che si trova a pagina 218 del volume di Germano Celant Giosetta Fioroni edito da Skira. C’è lacuna di indicazioni ma si può ritenere che sia su carta, un acquarello di piccole dimensioni.
In uno spazio semivuoto sono sparse, eludendo la gravità, alcune appena lambite dal tracciato espressioni appartenenti a un piano di realtà non afferrabile (non riconoscibile) se non nei fondali mobili, ombriformi, dei sogni.
L’Edera è là per «una danza notturna» (così vuole la didascalia d’autore) e ha una farfalla dello stesso colore all’incrocio della punta con l’estremità della venatura: l’insetto sembra scaturire dalla stessa foglia. Alcune macchie di colore sono nominate «elfi della Laguna» (veneziana, L maiuscola). In basso si manifesta un «cuore strappato da una rosa». Sul margine in alto (meglio se hai una lente) due righe di autobiografia eterica precisano che si tratta di «Elementi raccolti dopo un convegno di spiriti di campagna presso Torcello». Al centro svaniscono come una musica nella via minime ghiaie colorate di una Gea (la Terra di materia) che si è sottomessa al destino di diventare invisibile. Tra poco, in quell’umbratile spazio dov’è passata la mano di Giosetta, non ci sarà più nulla. Siamo, non intenzionalmente (ma questa è la mia lettura), al confine inoltrato del sûtra buddista Paramìta: «Tutto è vuoto, l’Universo è Vuoto, lo spazio è Vuoto». La data è il 1972, cuore di un periodo fondamentale, al laccio del Piave, in anni di pienezza meditativa dell’Artista vagabonda (1971-1974).
L’origine biografica di questo e altri incantesimi grafici (direi meglio: grafico-musicali) è spiegata nel volume a pagina 222, l’incontro di Giosetta con gli spiriti della campagna veneziana, che nella sua traccia di uccello nell’aria si materializzano in struggimenti figurativi. I titoli raccontano: Cucina di Coboldi, Casa in campagna, Coboldo Soffione, Spiga di Omiciattolo, Orto di una Baba (un adepto New Age non sarebbe deluso). In Sul Prato a Salgareda la bellezza del Vuoto Spaziale sfiora l’ala della farfalla dell’Edera magica.
Fugaci estasi del Fungo-senza-il-Fungo, territori psichedelici senza il guru Leary e le loro sequele neurologiche. Inebriamenti da puro piacere di dar vita, mediante il colore tenue che racchiude il fiore. L’essenza immateriale che libera dalle vergogne incurabili della realtà apparente.
Versatilità - uno dei suoi nomi è Fioroni.
Sperimentalismi ed esiti s’incalzano lungo l’intero arco di un Vissi d’Arte.
Tanti porti e angiporti ha toccato questa fragile nave, caricando ogni specie di merce da rovesciare in inesausti suk.
Giosetta ha avuto un appassionato legame col Teatro, e da poco dopo la morte, a Ponte di Piave, di Goffredo Parise, nell’agosto 1986, il suo lavoro nel e per il teatro si è incrociato col mio, del poco visto ma molto celebre Teatro dei Sensibili. Nel volume, questo lungo sodalizio artistico - che si è rarefatto ma dura tuttora - è largamente e puntualmente evocato e documentato. Ho davvero, verso Giosetta, un fortissimo debito di gratitudine! E da oltre vent’anni non c’è spettacolo di questo mio teatro dove manchino scenografie e locandine rigorosamente d’autore, di mano sua. Sfogliare e ammirare... Copertine, buste, libri illustrati, fotografie, poesie: in quasi tutta la mia attività di scrittore-teatrante l’Artista geniale ha impresso il suo segno. E, perfetta archivista di se stessa, non ne ha dimenticato nulla.
Un sodalizio che mi ha in profondo accresciuto, che mi ha resa migliore la difficile vita.
La Giosetta che, a sessant’anni passati, si getta con una specie di furore a inventare, plasmare, cuocere ceramica in un forno faentino è un fenomeno di rigenerazione e di ricostituzione giovanile di cui soltanto può rendersi perfettamente conto chi condivida un parallelo vivere di arte. I suoi sgangherati, brutali quasi, Teatrini di ceramica, sono discese agli inferi e la narrazione silente del ritornarne. Dov’è finito, venti anni dopo, il leggero mondo degli elfi, dell’invisibile che accenna appena, senza forzare il significato, delle passeggiate venete, campagna di Salgareda, foglia e farfalla di edera magica? Questi boccascena sono delle masticazioni mortuorum in tumulis, sarcofaghi alla lettera («divoratori della carne»: la parola greca, se la traduci, è spietata); e in quelle bocche molocheggianti si agita una lady Macbeth ideale per regie della crudeltà, in drappi insanguinati (p. 324), e ci puoi mettere come in un tritacarne le matricide Elettra o Erika, la fuga urlante della piccola Kim Phuc da Trang Bang nello scatto inaudito dell’United Press (Napalm!), la Mary Kelly di Jack o la neve sporca dell’agonia tedesca di Stalingrado. (La città della Volga, boccascena divoratore che maciulla la Sesta Armata di Von Paulus). In L’età dell’ansia (pagina 330) la visione si placa, il boccascena sono quinte ricomposte tra le quali un oscuro personaggio esita a inoltrarsi, la scena si svuota per ripopolarsi d’ombre, di fantasmi, di marionette partecipi di più mondi.
Giosetta Fioroni: nessun giorno senza il disegno e il colore.