Francesco Semprini, La Stampa 22/6/2010, 22 giugno 2010
I MARINES A SCUOLA DI SBARCO
Mancano un paio d’ore all’alba quando il colonnello Todd Simmons, comandante del Primo battaglione del Settimo reggimento Marine, dà l’ordine di imbarcarsi sui mezzi anfibi. Non lontano il generale Joseph Dunforod Jr, capo del Primo corpo di spedizione, osserva attentamente ogni movimento dei suoi uomini. L’operazione «Dawn Blitz» (blitz dell’alba) ha inizio: nel giro di poco tempo migliaia di Marine sbarcano via mare e si calano dagli elicotteri con una strategia a tenaglia che ricorda le battaglie di Iwo Jima e Inchon. Si tratta della più grande manovra militare dagli attentati dell’11 settembre 2001, ma questa volta ad essere prese d’assalto sono le coste della California meridionale. E’ su quel tratto di spiaggia larga e bianca che i volontari del corpo scelto si preparano a muoversi in nuovi potenziali scenari di azione simili a quelli che potrebbero vederli costretti a un attacco via mare.
Del resto gli sbarchi sono un patrimonio importante della storia dei Marine e anche un motivo di orgoglio: «Sono nel nostro Dna», spiega il colonnello Bruce Laughlin, responsabile operativo di «Dawn Blitz». Il problema però è che i Marine non prendono d’assalto una spiaggia dai tempi di Inchon, ovvero dalla guerra di Corea. Da allora sono trascorsi sessanta anni e per questo non pochi strateghi a Washington, compreso Robert Gates, si chiedono se lo storico corpo sia ancora in grado di condurre con successo operazioni del genere. In un recente discorso al Congresso il capo del Pentagono ha osservato come nazioni ostili e movimenti considerati dagli Usa «terroristici», tra cui Hezbollah, sono in possesso di tecnologie militari sofisticate come missili teleguidati che consentono di colpire unità navali a distanza costringendole a rimanere lontane dalle coste.
Per oltre otto anni inoltre, i Marine sono stati impiegati in operazioni condotte a centinaia di chilometri lontano dalle coste, nella provincia di Anbar in Iraq, ad esempio, o in quella di Helmand, in Afghanistan, si sono reinventati esperti in contro-guerriglia, hanno sconfitto o cooptato militanti islamici in Iraq, e stanno tentando di fare la stessa cosa con i taleban in Afghanistan. Ma in questo periodo non hanno ricevuto l’addestramento necessario a conquistare le spiagge di un Paese ostile, a muoversi nella notte, a organizzare un’operazione a sorpresa.
Secondo il colonnello Simmons l’85% dei suoi marine non è nemmeno mai stato a bordo di una nave visto che negli ultimi anni il trasporto delle truppe sui «ground zero» di battaglia sono avvenute quasi sempre con aerei. Il generale Dunford, l’ufficiale più accreditato a diventare numero due dei Marine, ammette che c’è poca esperienza in questo senso e ciò potrebbe rendere operazioni di sbarco più complicate del previsto: «Stiamo cercando di lavorare proprio su questo aspetto». Anche perché, osservano gli esperti militari, gli sbarchi non riguardano solo manovre militari sull’esempio di Iwo Jima o Inchon, ma sono necessarie anche nell’ambito di missioni umanitarie, per la distribuzione di aiuti in caso di disastro naturale, come avvenuto ad Haiti lo scorso gennaio, o ancora in operazioni di evacuazione come quelle di cittadini americani residenti in Libano durante la guerra del 2006 tra Israele ed Hezbollah.