Umberto De Giovannangeli, lཿUnità 21/06/2010, 21 giugno 2010
ULTRA ORTODOSSI CONTRO LAICI. IL SECONDO FRONTE DI ISRAELE
Erano più di centomila gli ebrei ebrei ultra-ortodossi scesi in piazza giovedì a Gerusalemme e a Bnei Brak, nei pressi di Tel Aviv, per denunciare l’ingerenza della Corte suprema di Israele a nome del primato della Torah (la legge religiosa ebraica) sulle leggi civili. Era
dal 1999 che gli ultraortodossi non davano vita a manifestazioni così imponenti. Manifestazioni trasmesse in diretta dalla tv e che hanno anche oscurato l’alleggerimento del blocco di Gaza annunciato dal governo. La causa: una sentenza della Corte che vieta la segregazione fra bambini ashkenaziti e sefarditi nelle scuole religiose. A questa sentenza è direttamente collegata la vicenda della colonia di Immanuel, in Cisgiordania, dove 86
genitori ashkenaziti (ebrei originari dell’Europa centrale e orientale) hanno preferito due settimane di carcere piuttosto che obbedire al verdetto della Corte che li costringeva ad accogliere bambine di famiglie sefardite (originarie delle comunità orientali) nella loro scuola.
Accusati di discriminazione razziale, i genitori, accompagnati da migliaia di manifestanti, si sono presentati giovedì in un commissariato di Gerusalemme da dove dovevano
essere trasferiti in delle prigioni nel centro del Paese. Nel 1999, gli ebrei haredim (gli ultraortodossi) avevano radunato mezzo milione di persone a Gerusalemme, la più partecipata manifestazione della storia d’Israele, per protestare contro «la dittatura» della Corte suprema. La vicenda della colonia di Immanuel ha riacceso il conflitto fra laici e ortodossi. I primi accusano i secondi di voler imporre la loro visione del mondo e
contestano l’esonero dal servizio militare obbligatorio. In virtù di un accordo con lo Stato, i giovani ebrei ultraortodossi non sono obbligati al servizio militare se studiano fino a 25 anni nelle scuole talmudiche.
SCONTRO INTERNO
«Vogliono fare di Gerusalemme la capitale del fanatismo oltranzista, liberandola da ogni presenza ”contaminante”. Una deriva inquietante perché rende evidente la determinazione dell’Israele integralista di minare le basi stesse dello Stato secolarizzato», dice a l’Unità
Avraham Burg, ex presidente della Knesset (il Parlamento israeliano). «Quello che si è andato sempre più rafforzando è un nazionalismo biblico aggressivo, fortemente ideologizzato, determinato a imporre in Israele il monopolio ortodosso sulla religione stessa, per legge se necessario», aggiunge Avishai Margalit, docente di Filosofia all’ Università
ebraica di Gerusalemme.
«Hanno dichiarato questa ribellione per un motivo molto ovvio. Sanno di avere molte possibilità di vincere. In ogni altro Paese obbediscono all’autorità dello Stato. Solo qui,
nello Stato che non hanno contribuito a costituire e che non si impegnano minimamente a mantenere, fanno legge a sé. Ci siamo gettati addosso questa calamità con le nostre ma-
ni, con le nostre debolezze e le nostre concessioni. Mentre ogni altra nazione degna di questo nome si sforza di separare lo stato dalla religione, qui le due cose sono ancora
mischiate nello stesso fango, entrambe sporche», denuncia l’ex ministro dell’Educazione, oggi editorialista di Haaretz, Yossi Sarid. «Solo in Israele - aggiunge Sarid - ci sono eroi di questo tipo. Non riconoscono la legittimità dello stato d’Israele, eppure mangiano al suo tavolo. E lo stato d’Israele, da parte sua, sta rinunciando alle sue componenti più
democratiche».
Riflette Eli Barnavi, storico e politologo, già ambasciatore d’Israele a Parigi: «Di fronte a un ebraismo monopolizzato dalla sua corrente più retrograda e più aggressiva, minoritaria ma politicamente organizzata e che gode della complice indulgenza dello Stato come della tolleranza della maggioranza laica, Israele deve riaffermare con forza il carattere aperto, pluralista e democratico della sua società. Ora - conclude Barnavi - l’erosione da parte degli ortodossi minaccia di reinventare il ghetto tutto rattrappito su se stesso: sarebbe davvero una triste caricatura dell’ideale sionista».
VOCI CONTRO
Un ghetto che esclude a forza chi viene visto come altro da sé: i pacifisti «traditori», gli arabi israeliani (20% della popolazione d’Israele) sodali dei terroristi di Hamas. «La società
israeliana sta raggiungendo nuove punte di razzismo», denuncia lo scrittore Sami Michael, presidente dell’Associazione per i diritti civili in Israele. «La brutalità del discorso politico dominante ha ormai contaminato gran parte della società israeliana», gli fa eco Michel Warschawski, giornalista e scrittore, voce critica dell’Israele che non accetta la deriva
fondamentalista.